di Chiara Cruciati – il Manifesto
Uno a zero per l’Iran.
Ieri la Corte internazionale di giustizia ha ordinato agli Stati Uniti
l’annullamento delle sanzioni introdotte negli ultimi mesi contro la
Repubblica islamica, in particolare quelle relative all’aviazione civile
e all’importazione di cibo e medicinali. Una vittoria politica:
l’Aja non ha potere coercitivo e non può costringere l’amministrazione
Trump a togliere le restrizioni punitive introdotte a partire dall’uscita di Washington dall’accordo sul nucleare siglato con Teheran nel 2015.
Ma, dal punto di vista simbolico e di legittimazione politica
della Repubblica islamica, il governo Rouhani ne esce vincente: per la
più alta istituzione giuridica mondiale, le sanzioni Usa sono illegali.
Era stato l’Iran a presentarsi all’Aja ad agosto: la denuncia si basava
sulla violazione del Trattato di amicizia tra i due paesi, firmato nel
1955 dal presidente statunitense Einsenhower e dal premier iraniano
Hossein Ala. Sebbene in mezzo ci siano stati la rivoluzione khomeinista,
la crisi degli ostaggi e 39 anni di congelamento dei rapporti
diplomatici, il Trattato è considerato valido.
Alla base della decisione della Corte sta il pericolo di una
crisi umanitaria dovuta proprio alle sanzioni, che impediscono di fatto a
Teheran – a tre anni dall’accordo che avrebbe dovuto rilanciarla nel
mercato internazionale – di intrattenere normali rapporti economici e
commerciali con il mondo.
Con gli asset all’estero mai scongelati e l’impossibilità di entrare
nel sistema bancario internazionale, l’Iran sta assistendo alla fuga,
una dopo l’altra, delle grandi compagnie internazionali che dopo il 2015
avevano siglato contratti nel paese mediorientale. Per gli avvocati di
Teheran l’effetto è lo strangolamento dell’economia interna che
danneggia in primis i cittadini.
L’Aja gli ha dato ragione: «La Corte – ha detto il presidente del
tribunale – ritiene che gli Usa debbano, in linea con gli obblighi
previsti dal trattato del 1955, rimuovere qualsiasi impedimento
derivante dalle misure annunciate l’8 maggio 2018».
In particolare le sanzioni non possono bloccare
«l’esportazione nel territorio iraniano di beni necessari per esigenze
umanitarie come medicinali, attrezzature mediche, generi alimentari e
prodotti agricoli, nonché beni e servizi necessari per la sicurezza
dell’aviazione civile». «Gli Usa – conclude – devono assicurare
che licenze e autorizzazioni siano garantite e che i pagamenti e altri
trasferimenti di fondi non siano soggetti ad alcuna restrizione».
E mentre Teheran festeggia e Washington mette in dubbio la
giurisdizione dell’Aja, gli altri firmatari rimasti fedeli all’accordo
(Russia, Cina e Unione Europea) restano in attesa del 4 novembre quando
nuove sanzioni Usa dovrebbero entrare in vigore.
E se Bruxelles resiste proponendo un nuovo sistema fiscale
per aggirare le restrizioni, in Europa appare una crepa: ieri la Francia
ha accusato l’Iran di aver organizzato un attentato a Parigi
lo scorso giugno contro un sit-in degli oppositori del Mek (gruppo che
promuove il rovesciamento violento del governo iraniano e che fino al
2009 è stato considerato di matrice terroristica da Ue e Usa), sventato
dai servizi segreti.
Per questo l’Eliseo ha ordinato due giorni fa un congelamento di sei
mesi degli asset di alcuni cittadini iraniani, tra cui persone vicine ai
servizi segreti della Repubblica islamica.
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