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01/02/2019

Germania: il gigante indebolito

La quasi recessione della Germania nella seconda metà del 2018 è stata una sorpresa per molti. Ma non avrebbe dovuto esserlo.

Il rallentamento della crescita del commercio mondiale è avvenuto a partire dall’inizio del 2018, proprio quando l’industria automobilistica tedesca ha registrato anche un calo vertiginoso delle vendite sul mercato interno. Questo simultaneo colpo a due delle vulnerabilità della Germania – la schiacciante dipendenza da un robusto commercio mondiale e l’accelerazione dell’obsolescenza della sua struttura industriale – sta spingendo l’economia verso la recessione. In assenza di uno sforzo politico eroico, un protratto rallentamento tedesco frenerà la crescita europea. Ciò potrebbe alimentare un’ulteriore crescita del nazionalismo, che assesterebbe un altro colpo al progetto di un’Europa unita.

Dall’inizio del millennio, la dipendenza dell’economia tedesca dal commercio estero ha comportato una strana dipendenza dalla forza dell’economia cinese. Mentre la Cina sperimentava una crescita esplosiva nei primi anni 2000, gli esportatori tedeschi – acclamati per i loro prodotti ingegneristici di alta qualità – trovarono una miniera d’oro: un governo cinese che investiva su una scala storicamente senza precedenti in infrastrutture d’avanguardia, consumatori con un appetito insaziabile per Mercedes e BMW e un sistema produttivo che si modernizzò con macchine utensili di fascia alta. Tra il 2004 e il 2006, praticamente tutto l'incremento delle esportazioni della Germania è andato verso la Cina. Inoltre, nel 2009, le autorità cinesi salvarono i produttori tedeschi sull’orlo del baratro a causa dal disastro provocato dalla crisi finanziaria globale. Gli stimoli fiscali e creditizi cinesi, progettati per stimolare l’economia domestica, crearono invece una vorace domanda di prodotti tedeschi.

Così la Germania – e l’Europa, come un vagone al suo traino – hanno ripreso a crescere nel 2017 quando i responsabili delle politiche cinesi, frustrati dalla loro incapacità di raggiungere gli obiettivi assurdamente alti di crescita del PIL, hanno iniettato un nuovo round di stimoli.

Tuttavia le autorità governative di Pechino verso la fine del 2017 temendo di gonfiare ulteriormente la bolla del credito, hanno pigiato il pedale del freno agli stimoli, con la conseguenza di aver fatto rallentare tutto il commercio mondiale. L’ovvia conseguenza della politica fiscale di Pechino ha così fatto svanire la produzione industriale tedesca; il PIL di Berlino si è contratto nel terzo trimestre del 2018 ed è a malapena cresciuto nel quarto trimestre. Anche l’indice del mercato azionario blue chip registrò un brusco calo. La conseguenza finale di questo scenario di rallentamento della crescita del commercio mondiale, combinato con una Germania più debole, è stata il rapido rallentamento della crescita europea.

Inoltre, accanto al commercio mondiale più lento, le pressioni a lungo termine sull’industria automobilistica si sono intensificate. I produttori di automobili e la loro rete multilivello di fornitori valgono circa il 14% dell’economia tedesca. Di particolare importanza sono i motori diesel, un’invenzione tedesca dalla quale tutta l’industria automobilistica di Berlino è fortemente dipendente. In Germania e altrove in Europa, le vendite diesel sono diminuite drasticamente in seguito alle rivelazioni del cosiddetto scandalo dieselgate: i produttori di automobili e i loro fornitori ingannavano le autorità e i consumatori sugli standard di emissione di questo tipo di motore.

Nel febbraio 2018, un tribunale tedesco ha stabilito che le autorità municipali e cittadine potranno limitare l’utilizzo delle auto diesel senza la necessità di un intervento legislativo federale. A maggio, Amburgo ha infatti vietato le auto diesel su alcune strade cittadine. Soprattutto, le auto elettriche sostituiranno gradualmente l’odierna auto con motore a combustione interna. E in questa particolare innovazione tecnologica, i produttori tedeschi sono in ritardo rispetto ai leader mondiali.

La Germania retrocederà nella serie B dei paesi produttori?

La caratteristica fondamentale della manifattura tedesca è quella di essersi sempre reinventata negli ultimi decenni anche grazie ad un sistema di apprendistato invidiabile, ma con la debolezza di essere rimasta sempre all’interno dello stesso quadro di eccellenza ingegneristica.

Tuttavia, oggi, la corsa tecnologica globale è basata su tecnologie elettroniche e informatiche basate sulla scienza e sulla matematica, dove la Germania sta dimostrando di non essere all’altezza. Tra i 15 migliori programmi universitari di scienze e matematica del mondo, le economie dell’Asia orientale – Cina, Corea, Giappone e Taiwan – prendono posto assieme agli Stati Uniti. Nessuna università tedesca o europea fa parte di questa lista prestigiosa. La Germania potrebbe facilmente cadere, a causa di questo, nella “serie b” economica dei paesi produttori di secondo livello, a meno che i leader del paese non agiscano con grande urgenza.

La Germania dunque è un esempio emblematico di una grande potenza economica che ha paura di rinunciare a un passato glorioso e quindi si trova intrappolata nel presente. L’industria automobilistica, politicamente potente, infatti sta facendo pressioni per frenare il cambiamento necessario. Questo anche con l’aiuto del cancelliere Angela Merkel che si è opposta, per esempio, a limiti di emissione più elevati per le automobili. Per lei infatti, un cambiamento troppo rapido potrebbe inaridire la capacità di generare ricchezza delle reti di produzione dell’automotive tedesco.

La Merkel ritiene inoltre che l’ira dei tedeschi in età avanzata sia acuita dalla continua innovazione industriale. Gli anziani tedeschi sono infatti in prima fila nelle crescenti tensioni sociali e politiche del paese. Come hanno notato Alexander Roth e Guntram Wolff, del think tank Bruegel con sede a Bruxelles, gli elettori del partito antieuropeo Alternative für Deutschland sono per lo più uomini anziani, scarsamente istruiti, che vivono in aree non urbane e i cui lavori di produzione ben retribuiti sono sempre più trasferirti in paesi dell’Est Europa a basso salario o addirittura eliminati dall’automazione. I nuovi posti di lavoro invece sono sempre più nel settore dei servizi con contratti temporanei e con salari e benefici ridotti.

Il trauma sociale di questa transizione economica sta erodendo il consenso per i principali partiti politici tedeschi mentre i nuovi partiti populisti influenzano sempre di più gli elettori. Di conseguenza il sistema politico si sta frammentando, minacciando così la decantata stabilità politica del paese.

Il risultato finale sarà un rallentamento strutturale dell’economia tedesca, sia a causa di un’economia cinese inevitabilmente più lenta*, e sia per l’obsolescenza graduale della vecchia struttura industriale tedesca. Tutto questo deprimerà il già basso potenziale di crescita a lungo termine dell’Europa. Come se non bastasse l’aumento dell’entropia politica tedesca eroderà ulteriormente il sostegno, già riluttante, della Germania all’Europa.

Fonte

* In tutto il corso dell'articolo si fa una trattazione troppo superficiale dell'economia cinese. Personalmente farei attenzione a etichettarla come in rallentamento, molto più calzante per la fase attuale sarebbe il termine "riorganizzazione", che per come la stanno pensando i dirigenti del PCC, lascerà con l'amaro in bocca praticamente tutte le potenze mercantiliste, Germania in testa.

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