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01/02/2019

Chi protegge i fascisti? Il “format Castellino”

Lo scorso novembre, il Tribunale di Roma condanna, in primo grado, a 3 anni e 10 mesi Nunzio D’Erme, figura tra le più conosciute e stimate dei movimenti sociali nella capitale. La condanna riguarda i fatti avvenuti nel maggio 2014, quando, nella sede del VII Municipio di Roma, in un convegno istituzionale sull’educazione alla diversità, i partecipanti subirono un aggressione da parte dei militanti di Militia Christi, gruppo di fascisti travestiti da fondamentalisti cattolici.

Come riporta l’Osservatorio Repressione, secondo l’accusa Nunzio «avrebbe preso parte all’“evasione” di un ragazzo fermato dalla polizia e un agente si sarebbe procurato una prognosi di 55 giorni. L’inchiesta della magistratura, invece di colpire e indagare sugli aggressori portò invece, nel settembre 2014, all’arresto di Nunzio D’Erme con l’accusa di resistenza e lesioni aggravata nei confronti di agenti di polizia, procurata evasione e lesione ai danni dei militanti di estrema destra Militia Christi». Per quei fatti, vengono condannati anche gli attivisti del centro sociale “Spartaco”, Marco Bucci a un anno e quattro mesi, e Marco Liodino a un anno e sei mesi.

Questo episodio è solo un esempio di come, in termini di repressione, la giustizia di questo paese utilizzi un esplicito doppio standard quando si tratta di intervenire sugli episodi, come si suol dire, di “ordine pubblico”; durissimi nei confronti di compagne e compagni antifascisti, “carezzevoli” con gli esponenti di tutti gruppi di estrema destra.

Da qui, vi proponiamo un caso esemplare di come l’agibilità politica di questa gente sia “garantita” da parte di un sistema che storicamente ha bisogno di servi (dei servi dei servi...), disposti a fare quello “sporco lavoro” necessario al mantenimento dell’ordine costituito. Salvo magari poi fallire clamorosamente quando lo spazio lasciato è tale da permettere l’invasione e la sovversione delle istituzioni: vedi l’esperienza del fascismo.

Stiamo parlando di Giuliano Castellino, esponente di spicco dei nazifascisti di Forza nuova, la formazione di Roberto Fiore, anch’essa travestita da vetero-cattolicesimo ante Concilio.

Citiamo per comodità un breve estratto del «Corriere della Sera», aggiornato soltanto al primo della lunga catena di episodi che lo hanno visto “protagonista”, e di cui vi riportiamo un sintetico itinerario nel resto dell’articolo, relativo ai soli ultimi anni:
Giuliano Castellino, 38 anni, esponente di spicco dei movimenti di estrema destra, già dirigente nel 2013 della Destra di Francesco Storace e prima ancora segretario romano di Fiamma Tricolore, portavoce del Popolo di Roma, vicino a Gianni Alemanno, del Movimento sociale europeo e adesso di Contropotere. In passato il suo nome è comparso in alcune inchieste sull’ultradestra – dai ricatti al presidente della Roma Franco Sensi (con Daniele De Santis, accusato oggi [poi condannato, ndr] dell’omicidio di Ciro Esposito a Tor di Quinto) all’attentato al cinema Nuovo Olimpia del ‘99 – e di recente in varie iniziative di piazza: le manifestazioni pro Priebke, le impiccagioni di manichini per i suicidi causati dalla crisi, le occupazioni abusive di edifici, la solidarietà ai Forconi.
Sia chiaro, non stiamo registrando un caso di “totale impunità”, ma a una gestione, si potrebbe dire, poco edificante per una “democrazia” che si dichiara tale.

31 dicembre 2014, poco prima di capodanno Castellino viene fermato per aver “bruciato” un semaforo rosso in via di Cristoforo Colombo: ai controlli di rito, oltre a risultare sprovvisto di patente, gli agenti trovano nello scooter una busta contenente quasi un etto di cocaina. Tuttavia, solo due giorni più tardi Castellino è assolto dall’accusa di detenzione e spaccio, perché – precisa l’avvocato difensore Michele D’Urso – «il giudice ha riconosciuto che era per uso personale». Paradossalmente, la condanna avviene invece per il possesso di 30 petardi, trovati nella perquisizione della sua abitazione a seguito del fermo.

23 agosto del 2017, Castellino aggredisce alcuni agenti della Digos, intervenuti per bloccare la protesta fuori la redazione dell’Avvenire (quotidiano dei vescovi italiani), organizzata da Forza Nuova contro le posizioni assunte dalla Conferenza episcopale italiana sul tema dell’immigrazione.

È il 29 agosto del 2017 quando una donna racconta di esser stata trascinata via per i capelli da un gruppo di migranti residenti nel centro accoglienza di via del Frantoio. L’accusa di sequestro, assieme al nipote di 12 anni, a sua detta vittima di una sassaiola da parte di uomo abitante dello stesso centro, si è rivela una bufala (così come l’aggressione).

Tuttavia, l’evento dà vita a una sequela di eventi tra cui, nella sera dell’8 settembre, una “passeggiata per la sicurezza” tra le strade della Magliana, organizzata proprio da Castellino per fermare l’invasione di «questi infami che stuprano le nostre donne». La manifestazione, non autorizzata, si risolve con il solito intervento della polizia, seguito dall’arrivo di 15 denunce agli aderenti di Forza nuova, tra cui ovviamente Castellino.

Nota a margine, ma neanche troppo, il lunedì successivo i fascisti di CasaPound vengono sbrigativamente cacciati da Tiburtino III da un contingente antifascista, intervenuto per impedire il consiglio municipale, indetto, in via del tutto straordinaria, proprio su “ordine” di quelli di Via Napoleone III. Notizia di poche settimane fa, ben 26 denunce hanno colpito i compagni e le compagne protagoniste di quel pomeriggio. Zero per i fascisti, che in alcuni video mostrano mazze e cinture e finiscono per menarsi persino tra loro (per errore, ma a conferma delle intenzioni della “visita” nel quartiere).

28 settembre 2017, Castellino e altri esponenti del movimento “Roma ai romani” (originali, eh?) vengono arrestati dalla polizia per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale (tre agenti colpiti alla testa dal lancio di “sanpietrini”) in seguito ai tafferugli scoppiati in uno degli stabili di via Giovanni Porzio, al Trullo. Nell’occasione, gli esponenti dell’estrema destra capitolina cercano di impedire l’ingresso a una famiglia italo-etiope (madre, padre e bimbo piccolo), legittima assegnataria, alla casa popolare.

21 febbraio 2018, Castellino è fermato per aver preso parte ai disordini, insieme ad altri esponenti di Forza nuova, esplosi fuori la sede romana del Pd, durante una giornata di protesta dei tassisti contro l’“emendamento Lanzillotta”; il tutto mentre a Montecitorio si svolge un incontro tra i sindacati e l’allora ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio.

Ancora, la sera del 17 aprile 2018, mentre porta a spasso il cane, Castellino viene arrestato dai Carabinieri di Monteverde Nuovo per “evasione e resistenza a pubblico ufficiale”. Era, infatti, temporaneamente agli arresti domiciliari per i fatti del Trullo riportati poco sopra.

9 luglio 2018, Castellino, da poco uscito dai domiciliari, viene denunciato per resistenza a pubblico ufficiale. In questa occasione i poliziotti erano intervenuti a seguito di un’animata discussione tra il capo romano di Forza nuova e un esponente dell’estrema destra della capitale sulla possibilità di occupare, in via Ottaviano, una storica sede missinia, tutt’ora tra i beni immobili della fondazione Alleanza nazionale. Inutile dire che, per l’avvocato, Castellino avrebbe solo opposto una “resistenza pacifica” al solo fine di non entrare in auto.

23 luglio 2018, Castellino è di nuovo in manette, insieme a Giorgio Mosca, per una truffa di 1,3 milioni di euro ai danni del Sistema sanitario nazionale. Titolari di un punto vendita di prodotti specifici per celiaci, Celiachia World, i due (per l’occasione definiti «imprenditori» da Francesco Curridori su «il Giornale»...), avrebbero dichiarato la vendita, mai avvenuta, di una notevole quantità di prodotti, incassando illegalmente i rimborsi. L’accusa è di truffa aggravata, falsità materiale commessa dal privato e contraffazione e uso di pubblici sigilli.

7 gennaio 2019, in occasione dell’anniversario dei fatti di Acca Larentia, Castellino, stavolta assieme a Vincenzo Nardulli, leader di Avanguardia nazionale, viene arrestato nei pressi del Verano con l’accusa di minaccia, lesioni personali e violenza privata nei confronti di due collaboratori de L’Espresso, il cronista Federico Marconi e il fotografo Paolo Marchetti.

In quest’occasione, Castellino si trovava alla commemorazione nonostante fosse sottoposto al regime di sorveglianza speciale, infrangendo dunque, di nuovo, il divieto imposto dalla misura di prevenzione.

Altri episodi, ne siamo convinti, seguiranno...

La sequenza degli “infortuni” giudiziari dello squadrista di professione è già così troppo lunga per non far pensare a una “protezione particolare” attiva all’incrocio tra azione di polizia e uffici giudiziari. Non è del resto una novità, specie per quanto riguarda la piazza di Roma. Ricordiamo che decenni fa la Procura locale era nota come “porto delle nebbie”, perché vi scomparivano senza problemi tutti i procedimenti giudiziari aperti contro i vertici imprenditoriali e politici d’allora.

Nelle pieghe di questa “funzione principale” trovava posto anche la protezione speciale concessa ai vari gruppi fascisti, fino al caso clamoroso del giudice Alibrandi – considerato ai tempi lo “spicciafaccende” di Giulio Andreotti per i casi più spinosi – il cui figlio era un componente di spicco dei Nar, sempre giudiziariamente “salvato” fin quando non è rimasto casualmente ucciso in uno scontro a fuoco con una pattuglia di polizia.

Ma basterebbe ricordare soltanto la clamorosa rapina alle cassette di sicurezza della banca interna a Piazzale Clodio (allora forse il posto più sorvegliato d’Italia) per gettare una luce nera sull’intreccio tra parte della magistratura, “forze dell’ordine” (in quel caso i Carabinieri) e fascisti “di strada” (per quella rapina Massimo Carminati è tranquillamente “reo confesso”).

Castellino, insomma, sembra un continuatore in tono minore di quella stessa storia. Neanche l’aggressione a un giornalista, fatta sotto le telecamere, peraltro mentre contravveniva pubblicamente alle misure di prevenzione cui era sottoposto, gli è valsa un’interdizione concreta. Pensandoci bene, Roberto Spada avrebbe potuto consultarlo prima della famosa “capocciata” che gli è valsa il carcere speciale...

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