di Mauro Baldrati
Esiste un genere/fusion di generi, che potremmo definire
fantascienza/thriller/action (di seguito fta). La fantascienza
rappresenta il luogo, il tempo, la proiezione; il thriller è la trama,
l’intreccio, il divenire; l’action è la velocità, il dinamismo, il colpo
di scena.
Questo genere triplo vale per i romanzi, e per il cinema. Forse
soprattutto per il cinema, che ha prodotto alcune opere che possiamo
definire pietre miliari: il primo Matrix, il primo Predator, La cosa, il primo Alien, Blade Runner. E il primo Terminator,
che nell’arco di 28 anni ha generato una saga di sei capitoli. Ora,
dopo l’ottimo n. 2, sempre diretto da James Cameron, un buon n.3, il
discreto n.4 (Salvation), e il meno che mediocre n.5 (Genisys), è arrivato il n.6 (Destino oscuro).
Cameron è tornato, anche se non come regista (è diretto da Tim Miller),
ma come sceneggiatore e produttore (ovvero nothingall). E si vede.
Infatti anche se non può arrivare alle vette del n.1, perché i
capolavori sono quasi sempre unici, si tratta di un fta di ottima
fattura, con effetti speciali di ultimissima generazione che non
scivolano mai nel videogioco, una storia avvincente, e un ritmo serrato.
Il effetti il “plot” sembra lo stesso: l’arrivo dal futuro di un
terminator spaventosamente indistruttibile, un Rev-9, una ulteriore
versione del metallo liquido, il T-1000 che abbiamo già visto nei n. 2 e
3. La creatura da incubo deve eliminare qualcuno, che tuttavia non è
John Connor, perché morirà infettato da un nano-terminator in un altro
segmento di futuro. È una ragazza, Dani, che proprio come Sarah Connor
non sa di essere l’unica speranza di salvezza dell’umanità. E non ci
crede, teme che un’altra ragazza, Grace, una sconosciuta che continua a
ripeterglielo, sia una pazza.
Grace è arrivata a sua volta dal futuro, proprio come il terminator
Schwarzenegger T-800 arrivò nel n. 2. Ma non è una macchina. È un’umana
potenziata, alta, dinoccolata, con un collo da giraffa e un viso
bellissimo. La sua missione è proteggere Dani, come quella del Rev-9 è
di ucciderla. Due cavalieri insomma, uno del bene e uno del male,
contrapposti in uno scontro che ha come unico epilogo la morte. Lei non
conosce Sarah Connor né suo figlio John, perché il futuro è cambiato,
grazie all’azione di Sarah, di suo figlio e del T-800. Skynet, il
programma diventato autocosciente che ha scatenato la guerra, è stato
distrutto, ma alla nuova catastrofe ci penserà Legion, un nuovo sistema
di guerra cibernetico che infetterà i computer, i telefoni, l’intera
rete delle comunicazioni e delle attrezzature.
Si rinnova la caccia spietata, ossessiva, e la fuga senza fine. Gli
inseguimenti in macchina, obbligatori per legge in qualsiasi film
americano, sono ancora più estremi, e non ne manca uno addirittura in
aereo, tra un enorme velivolo da trasporto e una cisterna, con effetti
spettacolari e un uso magistrale del rumorismo.
A un certo punto ritroviamo anche un’invecchiata, sarcastica,
antipatica Sarah Connor, interpretata dalla stessa Linda Hamilton, e il
T-800, a sua volta invecchiato, con la barba e le rughe. Per cui uno
potrebbe chiedersi come fa un robot a invecchiare, a sgonfiarsi la
muscolatura da body builder. Ma non ce lo chiediamo. È troppo fascinoso
il ritorno di Schwarzenegger umanizzato, che ha addirittura messo su
famiglia, con moglie e figlio.
Insomma, una riscrittura dei n.1 e 2? Un’ottima cover?
In realtà no. Sarebbe un giudizio semplicistico. Non è la copia di un
quadro coi colori appena cambiati e qualche dettaglio spostato. È come
il blues, che a un ascolto superficiale sembra la musica più ripetitiva
della storia. Ma l’anima del blues non è solo tecnica. E’ il sentimento,
l’intensità. Basta l’intonazione della voce, il tocco della chitarra,
il soffio dell’armonica, per creare un nuovo viaggio, e godere di
un’altra avventura. Il blues è un’immanenza che non si estingue, tocca
corde profonde perché è nata come musica vitale, di resistenza e di
speranza nell’inferno sulla terra. Per questo è sempre diversa. Non ha
bisogno di distinguersi a tutti i costi, per non perdere l’appeal.
Così Destino Oscuro fa rivivere la gioia degli appassionati,
perché richiama quello stupore, quell’empatia. Infatti ogni viaggio non
è mai uguale, anche se all’interno dello stesso paesaggio, lungo la
stessa strada.
E può piacere anche ai non specializzati di fta, gli spettatori per
così dire generalisti, purché non siano snob, ovvero che non si neghino
il piacere di amare le storie, e le favole avventurose.
Fonte
Bah, parecchio in disaccordo, a partire dal considerare le uscite comprese tra Il giorno del giudizio e Destino oscuro come buoni e discreti...
Il paragone con il blues poi è tirato parecchio per i capelli.
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