La supponenza falso democratica occidentale, la sudditanza ipocrita e cinica alle cosiddette “leggi dell’economia”, ci hanno impedito di comprendere, nel grande caos generato dal panico per il Covid-19, che i cinesi, con le loro misure draconiane relative al contagio, non stavano suicidandosi economicamente e per puro masochismo, ma stavano mettendo in pratica misure dettate da un‘evidente necessità.
Nella nostrana italietta, invece, continuiamo a pretendere, come bene esplicita la sempre efficace proverbialità partenopea, “a votta chiena e ‘a mugliera ‘mbriaca”.
Imperversano, così, gli sport ugualmente stomachevoli della “banalizzazione” del male e dello “spargimento della paura”.
Il primo, in nome di un‘ ipotetica, nonché demagogica salvezza dell’economia. Il secondo, per fini meramente elettoralistici.
Una sintesi delle due posizioni è riscontrabile nel botta e risposta, avvenuto pochi giorni or sono su Facebook, tra il virologo Burioni e l’economista Boldrin. Con il primo nel ruolo dell’incendiario allarmista e il secondo in quello del pompiere rassicurante.
Così, lo stupidario orripilante, arrogante e cinico delle frasi fatte, abbonda tra i nostri politici. E gli fa irrimediabilmente eco il circo mediatico dell’ignoranza.
Si va da “è come l’influenza” a “muoiono solo i più deboli e i più anziani”, come se queste ultime fossero delle sottocategorie umane ampiamente sacrificabili, probabilmente a causa della loro scarsa produttività.
Quel che è peggio, purtroppo, è che non ci si limita a dar fiato alla banalità, ma la si codifica e la si impone ai propri cittadini sotto la forma, paradossale e irresponsabile, di una sorta di consiglio legislativo.
Si prenda, ad esempio, l’ultimo provvedimento di legge in materia di Coronavirus, dove lo Stato, per l’ennesima volta, pur di evitare di assumere tutta intera la responsabilità della chiusura di luoghi pubblici e privati, ci dice in realtà: “Se hai la possibilità di tenere la gente alla distanza di un metro l’uno dall’altro, assumiti la responsabilità di restare aperto”.
Chi volete che se l’assuma, tale responsabilità? Chi volete che rischi che qualcuno possa accusarlo di non aver rispettato tale distanza? Si può essere più ipocriti, mi chiedo? Perché non dire chiaramente “devi chiudere”? Perché lo Stato Italiano non si assume, chiaramente e per intero, questa responsabilità?
Intanto, questa benedetta distanza salvifica la si dovrebbe mantenere dappertutto. Almeno, così pretenderebbe la logica!
Dunque nelle metropolitane, negli autobus, nei supermercati, nelle fabbriche, negli uffici pubblici, nelle palestre, nelle piscine. Insomma, in tutti i luoghi che continuano le loro attività in virtù di quello che, per alcuni finisce per essere un provvedimento restrittivo e per altri un semplice consiglio cautelativo.
A chi credere, quindi? A quale santo votarsi per avere un briciolo di concretezza su base scientifica, per non sentirsi continuamente presi in giro e danneggiati a discapito di qualcun altro?
Del resto, gli stessi che hanno volontariamente distrutto la sanità pubblica per favorire un sistema clientelare privatistico, gli stessi che combattevano i vaccini, ora farebbero carte false per averne uno contro il Coronavirus.
Blaterano di voler recuperare il terreno perduto. Cianciano dell’eroismo della nostra classe medica e del nostro sistema sanitario.
Sono gli stessi che promettono aiuti ed interventi a favore di chicchessia, ben sapendo di dipendere dai potentati economici europei e dal ricatto del debito pubblico.
Mi chiedo come ci si possa ancora fidare di questa classe politica. Mentre la situazione economica, intanto, è già gravissima!
La nostra categoria ad esempio – per intenderci, quella dello spettacolo dal vivo – fatta di gente in carne e ossa, con famiglie e figli da mantenere, che ha dovuto interrompere bruscamente ogni attività lavorativa, sta subendo danni incalcolabili.
Com’è evidenziato in una interlocuzione tra la Federvivo, Cresco, e altre associazioni di settore con la Direzione Generale dello Spettacolo:
1) i danni “contabili” reali e definitivi si potranno calcolare non prima della fine della stagione corrente, o meglio verso la fine dell’anno solare. Troppo tardi, pertanto, rispetto alla necessità di tempi rapidi per l’assegnazione del Fus 2020;
2) i danni di immagine, cioè l’incrinatura del “rapporto fiduciario” tra gli spettatori e i luoghi fisici in cui si svolgono gli spettacoli non sono facilmente misurabili e comunque non si possono monetizzare a breve termine;
3) lo stravolgimento della programmazione impatta negativamente sulla progettazione artistica, anche in questo caso non quantificabile dal punto di vista economico;
4) la definizione di criteri oggettivi “non impugnabili” e la processazione di migliaia di dati da integrare e comparare richiede risorse umane probabilmente non disponibili e tempi non compatibili con le urgenze del comparto.
Se teniamo conto, poi, del fatto che questo triste panorama si riferisce solo al censibile, a quel teatro, cioè, la cui attività è riconosciuta e sostenuta ministerialmente, si può ben comprendere quanto sia tragica la situazione del teatro indipendente, del teatro autogestito, del teatro che vive di un rapporto stretto con la scuola, dei piccoli teatri di quartiere, degli attori di strada, degli attori indipendenti, di tutto il comparto legato alla formazione teatrale. E così via inoltrandoci sempre più in quella costellazione variegata e complessa che costituisce il tessuto connettivo del sistema teatrale italiano.
Troppo facile dedurre, perciò, che la situazione economica italiana è, tanto per cambiare, soprattutto ai tempi del Covid-19, gravissima per le classi più povere e precarie, per la gente che lavora alla giornata.
Come il tassista che qualche giorno fa mi disse che, a fine giornata, la mia corsa da 10 euro era quasi tutto quello che aveva guadagnato, in totale assenza di turisti in città.
Questo Paese che vive, forse anche troppo, di turismo, purtroppo dovrà abituarsi, ahimè, all’idea di farne a meno per un bel po’ di tempo.
Quasi per contrappasso, infatti, siamo diventati noi italiani gli appestati, noi gli emarginati oggetti di paura razzista.
Per contrappasso anche più fatale, il ricco nord, con il suo decantato sistema sanitario, è andato in tilt in poco tempo, quasi che il virus abbia voluto bilanciare squilibri secolari, e ricordarci la stupidità e la rozzezza del razzismo, della divisione, dell’assenza di solidarietà.
Sembra quasi che il virus abbia voluto scuoterci dalla nostra assuefazione alla mediocrità di una classe politica ridicola, legittimata a governare esclusivamente dalla paura del peggio, dalla paura di un neofascismo risorto dalle italiche fogne a causa della lenta e inesorabile desertificazione culturale del Paese.
Laddove non ci stroncherà la virulenza dilagante, continuando così ci uccideranno l’imbecillità, la corruzione, l’ignoranza del potere, il pantano della burocrazia, la sottocultura, le dinamiche perverse dell’apparire più che essere, la rimozione di comodo della memoria, la sempre pelosa e doppia morale borghese, lo squilibrio insostenibile tra ricchezza e povertà, il degrado del pianeta, la rivoluzione dei “piccoli pesci” pilotata dalle correnti marine di partito, le radiazioni violente dell’idiozia.
Se esistesse un vaccino per tutto questo, avrebbe, dunque, senza dubbio, il diritto alla precedenza.
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