Vedere un nesso tra le manovre NATO “Defender Europe 2020”, le più estese dalla cosiddetta “fine della guerra fredda”, e il 75° anniversario della vittoria sul nazismo, che Mosca si prepara a celebrare come evento caratterizzante l’intero anno in corso, può ovviamente essere niente più che un’opinione soggettiva. Il nesso potrebbe davvero limitarsi a una semi-coincidenza di date, dal momento che le manovre NATO in Polonia e Paesi baltici, ai confini di Russia e Bielorussia, si svolgeranno tra aprile e maggio, a cavallo cioè di quel 9 maggio che rischia di segnalarsi per l’assenza, sulla Piazza Rossa, di molti rappresentanti istituzionali delle libere democrazie occidentali.
Non sembra, al contrario, potersi parlare di semplice coincidenza, tra quella probabile assenza e il fatto che pressoché tutti i rappresentanti dei paesi i cui reparti militari prenderanno parte alle manovre NATO, il 19 settembre 2019 avessero convintamente votato a Strasburgo l’equiparazione tra comunismo e nazismo e l’eguale responsabilità di Germania nazista e Unione Sovietica nello scatenamento della Seconda guerra mondiale.
Tanto più che, proprio alla vigilia della ricorrenza del 9 maggio, uno dei primi firmatari del fogliaccio redatto dal Parlamento europeo, la Polonia della reazione anticomunista e dell’oscurantismo religioso, si appresta tra un mese a battere ancora una volta sul tamburo del “NKVD responsabile del massacro di Katyn’”.
Andiamo con ordine. Mezzi militari e 20.000 soldati USA, che parteciperanno alle “Defender Europe 2020” insieme ad altri 10.000 militari yankee e 7.000 uomini da 18 stati europei, hanno già cominciato a sbarcare in vari aeroporti europei o in porti (Bremerhaven, Amburgo e Anversa); altri tre trasporti sono in navigazione, altri ancora stanno per mollare gli ormeggi in USA.
Oltre agli hub di arrivo in Polonia, scriveva giorni fa Die junge Welt, ci sono in Germania importanti stazioni intermedie sulla strada verso est. Ad esempio, a Bergen (nel circondario di Celle), la Bundeswehr ha realizzato il più grande deposito europeo di carburante, in cui sono stivati 1.350 m3 di combustibile per le esercitazioni militari USA nell’area di Bergen-Hohne. Un’altra stazione è quella di Greifen, a Torgelow, in Pomerania, lungo il tragitto da Bremerhaven alla Polonia.
Qui, sono già pronti giganteschi depositi in cui mezzi e uomini verranno alloggiati in attesa del via alle esercitazioni, che prevedono lo spiegamento di cinque divisioni e tre corpi lungo il cosiddetto “Przesmyk suwalski” (in inglese “Suwalki Gap”): quell’ipotetico corridoio di circa 100 km che va dal confine bielorusso alla regione russa di Kaliningrad e coincide grosso modo con la frontiera tra Polonia e Lituania. La NATO considera il corridoio uno dei punti deboli dell’Alleanza, perché potrebbe tagliar fuori i Paesi baltici dal resto dell’Europa libera e democratica.
Secondo i calcoli occidentali, in caso di avanzata russa lungo il corridoio, le forze NATO reggerebbero all’urto per non più di 60 ore. Tanto più che le democratiche forze corazzate occidentali avrebbero qualche problema di peso e dimensioni a superare liberamente i ponti che attraversano i numerosissimi corsi d’acqua delle pianure est-europee.
Anche per questo, già un paio d’anni fa l’Alleanza atlantica aveva posto all’ordine del giorno l’adeguamento delle infrastrutture viarie ai propri mezzi militari. Pare infatti che, all’epoca del Patto di Varsavia, ricorda Igor Iščenko su Svobodnaja Pressa, i ponti venissero costruiti per reggere a un peso non superiore alle 55 tonnellate, giusto quanto basta per carri T-72, T-80, T-90 e Armada, ma insufficienti, secondo Breaking Defense, a reggere le 60 tonnellate di Abrams M-1, Leopard II, Changeller II e anche dei leggeri Leclerc.
Questo, per quanto riguarda le manovre, a proposito delle quali il Segretario alla difesa USA, Mark Esper, ha apertamente dichiarato che il loro obiettivo è quello di mandare un segnale alla Russia per costringerla a cambiare la sua “cattiva condotta”, mentre il Ministro degli esteri lituano, Linas Linkevičius, invita i liberi e democratici paesi europei a disertare le celebrazioni russe del 9 maggio, poiché, afferma, la Russia non ha cambiato la sua politica estera, esibisce “la propria potenza non solo nella regione, ma anche nel mondo; non partecipa alla risoluzione dei conflitti, ma li crea, in Georgia, Ucraina, Siria e Libia”.
È forse ancora presto per dire chi ci sarà e chi no sulla Piazza Rossa il 9 maggio. A partire dal 2000, la partecipazione straniera più larga, nelle date quinquennali, ci fu nel 2005, presenti leader di Francia, USA, Germania, Cina, India, Giappone e persino Italia. Nel 2015, tra tutti gli ospiti stranieri di rango, si recò a Mosca la sola Angela Merkel, senza peraltro assistere alla parata del 9 maggio sulla Piazza Rossa. Anche per il 2020, nonostante Donald Trump abbia definito “probabile” la partecipazione, secondo The Guardian, lui e Boris Johnson potrebbero disertare Mosca e presenziare invece alla parata prevista a Kiev per l’8 maggio, secondo la libera interpretazione occidentale della capitolazione tedesca, che in realtà era effettiva solo dalle ore 24.00 del 8 maggio 1945.
Di sicuro, a Mosca non ci saranno i leader polacchi e baltici. I secondi, probabilmente, impegnati in proprie parate di veterani SS. I primi, perché, democraticamente ignorando la vittoria sul nazismo, ribadiscono il mito di una fantomatica alleanza sovietica col Terzo Reich nello “strangolamento della Polonia” e anche perché, in base alla libera interpretazione polacca e occidentale, tra poche settimane dovrebbero cadere 80 anni del “massacro di Katyn’ a opera del NKVD”, che Varsavia si accinge a ricordare a metà aprile, in coincidenza anche con un altro anniversario: la morte dell’ex presidente Lech Kaczyński, deceduto il 10 aprile 2010, insieme ad altre decine di esponenti polacchi, in un incidente aereo proprio nell’area di Smolensk, dove intendeva ricordare l’anniversario polacco di Katyn’. Ovviamente, anche nel caso di Kaczyński, ça va sans dire, Varsavia accusa la Russia, nonostante il controllo voli di Smolensk avesse sconsigliato l’atterraggio, a causa delle condizioni meteo.
Per parte russa, a dire il vero, l’interpretazione polacca della tragedia di Katyn’ non dovrebbe creare particolari problemi “storiografici”, considerando, ad esempio, la “ricostruzione” fattane a suo tempo dalla russa RT. Tale agenzia, non ha infatti remore a ricalcare la vulgata lanciata dal Dipartimento di stato USA nel 1948, di un “patto segreto tra URSS e Germania nazista per spartirsi tutta l’Europa orientale”, a parlare di “mezzo secolo di silenzio” su quegli eventi, rotto solo nel 1990, allorché Mikhail Gorbačëv consegnò a Wojciech Jaruzelski il faldone segreto contenente, tra l’altro, la famigerata lettera con cui Lavrentij Berija “proponeva a Stalin l’eliminazione degli ufficiali polacchi” (tra cui lo stesso Jaruzelski) internati nella regione di Kalinin dopo il 17 settembre 1939; non esita a rievocare il “sacco intero di pistole Walter” tedesche, con cui i sanguinari čekisti avrebbero ucciso, uno alla volta, oltre undicimila ufficiali polacchi e avrebbero messo addosso ai cadaveri giornali, cartoline e altro materiale datato 1941, per far passare il massacro, perpetrato dai sovietici nel 1940, per un bestiale crimine commesso dai nazisti solo dopo l’occupazione di Smolensk; non ha dubbi, la fida RT, a riferire di testimoni russi, eliminati perché non dichiarassero di aver visto i prigionieri polacchi condotti via, non si sa dove, sotto scorta NKVD...
Ora, a parte la “lettera di Berija”, da molto tempo dimostratasi un falso; a parte i bossoli in ottone inossidabile rinvenuti accanto ai cadaveri, da molto tempo essersi dimostrati di esclusiva fabbricazione tedesca; a parte l’accurata disposizione a strati dei cadaveri, “in file da 9 a 12, uno sopra l’altro, con le teste in direzioni opposte“, come recitava il telegramma spedito il 15 maggio 1943 dall’ambasciatore britannico, Owen O’Malley al Ministro degli esteri Anthony Eden; a parte il rifiuto addirittura della Corte di Strasburgo, nel 2012, ad ammettere come prova i “documenti d’archivio” riguardanti il massacro, “miracolosamente rinvenuti”, insieme a decine di altri, guarda caso proprio in epoca di perestrojka, a “provare” la malvagità bolscevica e il dovere, per la nuova Russia, di adeguarsi al pensiero delle libere democrazie occidentali... a parte questo, è interessante notare come la “ricostruzione” RT-liberale venga sbugiardata anche dai comunisti ucraini, che nei giorni scorsi hanno riproposto la ricostruzione di Vladislav Šved, autore del volume “Katyn’. Storia contemporanea della questione”.
Nella primavera del 1943, scrive Šved, dopo la sconfitta di Stalingrado, i nazisti compresero che con la sola forza militare non sarebbero venuti a capo della guerra; decisero così “di ricorrere a una provocazione, per disgregare la coalizione anti-hitleriana. Nacque così Katyn’, come simbolo delle atrocità del NKVD“. Il 13 marzo 1943 Hitler arrivò a Smolensk e incontrò il capo-dipartimento propaganda della Wehrmacht, colonnello Hasso von Wedel, i cui ufficiali avevano già preparato tutti i materiali sul caso Katyn’.
Lo stesso giorno, il Völkische Beobachter usciva con l’editoriale “GPU-Mord an 12.000 polnischen Offizieren”. I nazisti organizzarono quindi uno show propagandistico con l’esumazione dei cadaveri, invitando delegazioni di paesi europei”. I nazisti, scrive ancora Šved, “avevano all’epoca stretti contatti con il governo polacco in esilio a Londra”.
Ufficialmente, l’esumazione e l’identificazione dei cadaveri fu effettuata dal 29 marzo al 7 giugno 1943. Tuttavia, secondo Šved, i nazisti lavorarono nell’area da febbraio ad agosto, coadiuvati dalla Commissione tecnica della Croce rossa polacca.
Šved cita ovviamente molti altri particolari, che lo spazio non consente di riportare. In sintesi: nel 1945, tutte le “prove documentali” della responsabilità del NKVD, raccolte dalla commissione Buhtz (l’esperto forense tedesco Gerhard Buhtz, che aveva condotto i primi “esami” nel 1943), furono distrutte su ordine di Berlino, come afferma il giornalista polacco Jozef Mackiewicz.
Nell’autunno dello stesso 1945, il procuratore di Cracovia, Roman Martini, aprì un procedimento penale sul caso, incaricando gli esperti forensi polacchi Jan Olbyht e Sergiusz Sengalevich di lavorare sui materiali nazisti “Amtliches Material zum Massenmord von Katyn”. La conclusione fu che le affermazioni naziste non reggevano a un esame scientifico. Purtroppo, Martini fu ucciso nel marzo 1946 e i materiali non comparvero al processo di Norimberga.
Secondo la relazione di Buhtz, i cadaveri vestivano l’uniforme, completa di gradi e decorazioni; ma, come ormai ribadito da varie fonti, il codice sovietico dell’epoca vietava che i prigionieri di guerra portassero gradi, mostrine o altri segni distintivi.
Come afferma lo storico Vladimir Sakharov, il cosiddetto “elenco dei fucilati” mostrato dai nazisti, era la lista dei prigionieri polacchi che l’amministrazione del campo di raccolta sovietico aveva preparato per il loro trasferimento e che finì in mano ai nazisti quando occuparono la direzione del NKVD di Smolensk. Insomma: c’è questo e molto altro; ma per Varsavia, i colpevoli sono sempre gli stessi e arrivano da est.
Il cerchio sembra dunque chiudersi e gli eredi indiretti del Terzo Reich possono ben avere un ruolo centrale nell’attacco agli epigoni liberali di coloro che – la storia democratica presto lo dimostrerà – assalirono la pacifica Germania, travolgendo sul loro cammino l’innocente Polonia.
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