Provare a capire come funziona il sistema dei media in tempi di guerra è una vera esperienza-limite. È visibile che esiste una “narrazione ufficiale” che ogni soggetto deve avvalorare – non solo “accettare” – con testimonianze minute, trasformate in “spiegazioni”.
L’esempio tipico è costituito dai servizi video di uno qualsiasi degli inviati, che ci mostrano inevitabilmente un palazzo semidistrutto, una casa spianata, qualche cadavere in strada, persone che hanno perso tutto e giustamente piangono.
La guerra è un orrore, diciamo tutti i giorni. E va fermata subito. Trattando e dichiarandosi disponibili a farlo, non inviando altre armi per andare avanti chissà fino a quando.
In guerra muoiono anche i civili, soprattutto quando si combatte nelle città. Ed è sicuramente giusto far vedere quanta distruzione sia provocata.
Ma...
Quelle immagini sono l’elemento visibile, il più esteriore che ci possa essere. E infatti non vediamo e non sappiamo tutto quel che accade quando le telecamere sono spente. Anche perché se vuoi stare con una telecamera in mano al fronte, serve l’autorizzazione dei militari che controllano un lato di quel fronte.
Dunque è scontato che i servizi che arrivano siano in larga misura “approvati”, o “permessi”, da uno dei due contendenti. Che riflettano, insomma, le ragioni di una delle parti.
Il buon giornalismo, di conseguenza, dovrebbe preoccuparsi di mettere a confronto le “versioni” e permettere ai lettori (spettatori, ecc.) di avere un quadro più complesso e provare a capire. Un lavoro che non può essere fatto da un singolo reporter (fisicamente posizionato su uno dei due lati del fronte), ma dovrebbe essere impostato redazionalmente, con inviati su entrambi i lati.
Come sappiamo, c’è invece la proposizione-imposizione di una “verità ufficiale” e la condanna di qualsiasi contro-informazione – anche di alta qualità professionale – come fake news o propaganda. Come se la “propaganda” venisse fatta solo dall’altra parte...
Noi siamo una piccolissima redazione, senza un soldo e tanti collaboratori volontari. Non ci possiamo insomma permettere inviati di guerra. Possiamo solo raccogliere le informazioni, metterle a confronto, scoprire le falsità evidenti, mantenere un senso critico al massimo grado, sentire altre campane che sono – o sembrano – attendibili.
Per esempio, sta girando da un paio di giorni un’intervista a Régis Le Sommier, vicedirettore di Paris Match, settimanale francese che fa parte a pieno titolo dell’establishment mediatico. Non un “sitarello” online che butta lì bufale a go go... Un giornalista che può vantare tra i suoi intervistati anche Barack Obama, il generale Petraeus e altri “big” di quel livello.
Le Sommier ha realizzato un reportage pubblicato su Le Figaro – quotidiano conservatore ma autorevole, un equivalente del Corriere della Sera – in cui racconta come sia andato in Ucraina al seguito di tre volontari francesi che volevano combattere con gli ucraini, rispondendo così all’appello lanciato fin dai primi giorni di guerra da Zelenskij.
Già questa scelta è giornalisticamente molto interessante. Quasi unica, ci sembra di poter dire. Ma niente affatto filo-Putin, no?
Bene. Le Sommier fa il suo viaggio, gira spacciandosi come “quarto volontario”, fino ad arrivare al momento dell’arruolamento vero e proprio nell’esercito ucraino.
Qui fa la sua scoperta, che rivela sia nel reportage su carta che in questa intervista su Cnews. Ve la proponiamo con i sottotitoli realizzati da VoxConn, e chi conosce il francese può verificare da solo la correttezza.
Non ci sono giri di parole. Ha parlato lui stesso con l’ufficiale statunitense, veterano dell’Iraq, che accoglie i volontari e ha il compito di inquadrarli.
Non ci sembra possano esserci dubbi su “chi comanda in Ucraina”, anche sul terreno militare. Questa è una partita tra Stati Uniti e Russia, in cui l’Ucraina fa da “campo di gioco”. Non ci sono in ballo “i valori dell’Occidente”, ma soltanto interessi materiali contrapposti.
E che l’Ucraina sia la leva con cui gli Usa stanno separando a forza l’Unione Europea da Mosca (non solo per quanto riguarda le forniture di gas e petrolio, ma come relazioni complessive) è evidente anche dall’ultima “iniziativa” di Zelenskij: dichiarare il presidente della repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmeier, “persona non grata”.
Chi comanda davvero in Ucraina? In Francia se ne può discutere abbastanza seriamente. Qui è praticamente vietato.
Se si esce dai tg e talk show di regime, forse si comincia a capire qualcosa. Senza cadere nelle bufale...
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