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01/04/2025

Francia - Fuori Le Pen, ora che succede?

Il tema è rognoso, come si vede dalle reazioni. Ma non impossibile da affrontare razionalmente.

Come ormai tutti sanno, ieri Marine Le Pen, leader storica del partito fascista francese Rassemblement Nationale, è stata condannata a oltre quattro anni di reclusione (due condonati, due da scontare con il braccialetto elettronico), una multa di 100mila euro e cinque anni di ineleggibilità con esecuzione immediata.

Di fatto, le è preclusa la possibilità di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali, nel 2027, con i sondaggi che al momento la davano in vantaggio di almeno 10 punti su tutti i possibili rivali.

Fatto l’augurio che sempre ripetiamo nei confronti dei fascisti (“ogni male possibile!”), proviamo a vedere cosa significa e quali possono essere le possibili conseguenze.

Le reazioni delle destre europee sono ovviamente furiose. Da Orbàn a Salvini, dal capo spagnolo di Vox, Abascal, al padre della Brexit britannica, Farage, a Fratelli d’Italia (con Foti), è tutto un digrignar di denti. Sostenuti come sempre da Trump ed un Elon Musk più fuori di cranio del solito («Quando la sinistra radicale non riesce a vincere con un voto democratico, abusa del sistema giudiziario per mettere in prigione i suoi oppositori. Questo è il loro modus operandi in tutto il mondo»).

Inevitabili, scontati ed inutili i soliti balbettii sul “rapporto malato tra politica e magistratura”, condotti senza un briciolo di riflessione sul perché si producano nella stessa epoca fatti molto simili in sistemi politici e giudiziari molto diversi (dal Brasile alla Francia, dall’Italia alla Romania, ecc.).

Comprensibile che il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, Peskov abbia colto l’occasione per ironizzare, sotto i baffi, sulla contraddizione palese tra i princìpi dichiarati e la concreta pratica del potere nell’Occidente capitalistico e neoliberista: «una violazione delle norme democratiche».

Comprensibile anche che un giudizio molto simile (“un furto di democrazia; non spetta alla magistratura decidere chi il popolo debba votare”) sia stato dato anche da Jean-LucMélenchon, leader de La France Insoumise e della sinistra radicale, sia in versione Le Pen che in versione “bancaria” (Macron).

In fondo anche con lui è stato fatto qualcosa di simile, anche se ancora in tono minore, e non è detto che non possa accadere da qui alle presidenziali (largo il suo vantaggio sui macronisti, al momento, per quel secondo posto che garantirebbe l’accesso al ballottaggio).

Anche il reato per cui è stata condannata Le Pen – “appropriazione indebita di fondi pubblici”, di fatto l’aver stipendiato funzionari del suo partito con i fondi messi disposizione dall’Unione Europea – potrebbe essere facilmente contestato a quasi tutti i partiti di quasi tutti i paesi europei (ed extraeuropei, crediamo).

Soprattutto, ci sono i molti episodi simili – con imputazioni ancora più arbitrarie o con prove fasulle – che coinvolgono paesi più periferici come la Romania, la Moldova, ecc., dove sono stati esclusi candidati “anti-europeisti” accusati di essere filorussi o pagati da Mosca.

In generale, cresce dappertutto, in Europa, la tentazione di ridurre le forze politiche “ammissibili” soltanto a quelle che si dichiarano totalmente “pro-UE”.

Non il massimo, in fatto di pluralismo e libertà di opinioni politiche...

Si dice, a giustificazione di questa stretta, che “si tratta di forze reazionarie e fasciste”. Ed è verissimo, lo sa bene chi ci si scontra nelle piazze da decenni. Ma lo erano anche prima di diventare così forti da poter vincere le elezioni o condizionare il dibattito politico (vedi il caso dell’AfD in Germania). Quando, insomma, sia la presunta “anima antifascista europea”, sia il brutale calcolo costi-benefici, avrebbero consentito il definitivo scioglimento di quelli che prima erano solo gruppuscoli nostalgici.

Non c’è inoltre da dubitare che identico trattamento sarà riservato a quei partiti di sinistra radicale che dovessero assurgere a potenziali vincitori in elezioni nazionali.

Non c’è, infatti, soltanto il caso de La France Insoumise già ricordato. Perché – anche se in forma “non giudiziaria”, ma brutalmente politica – anche l’annichilimento della Grecia allora guidata da Tsipras (2015) aveva seguito la stessa logica: non è possibile che un governo nazionale deroghi agli “ordini” provenienti da Bruxelles. Adults in the room, il film di Costas Gavras basato sui diari dell’ex ministro dell’economia Yanis Varoufakis, sta lì a dimostrarlo con durezza.

Al di là della connotazione politica dei singoli protagonisti, insomma, abbiamo davanti un quadro  delineato, ormai, abbastanza chiaramente: se l’Unione Europea va al riarmo e poi alla guerra, gli spazi di dialettica politica interna devono ridursi al minimo, eliminando le “variabili” indisciplinate (i nazionalisti estremi, più o meno fascisti) o potenzialmente “ribelli” (le varie forme possibili di “sinistra radicale”).

I modi per realizzare questa “stretta” possono essere i più diversi, ma quello del lawfare – l’uso politico di regime delle magistrature nazionali e sovranazionali (la Corte Europea) – sembra ancora il più semplice e persino il più gestibile politicamente (“i politici sono ladri per definizione”, anche se non tutti finiscono nei guai).

Il problema è che questa riduzione forzata della “rappresentanza politica” non risolve affatto la marea di ostilità popolare alle politiche decise al riparo dagli interessi popolari ma all’ombra delle lobby economiche (a Bruxelles, sono sono legalmente ammessi e registrati, ci sono quasi dieci lobbisti per ogni europarlamentare...).

Che si tratti di austerità, pensioni, sanità o riarmo e guerra, l’astio di massa esiste e cresce. In assenza di rappresentanti credibili (o “ammessi in campo”) quell’astio prende la forma dell’astensionismo e della fede in qualche “populismo”, anche se rabberciato alla bell’e meglio. E di fatto, negli ultimi anni, ha preso la via della destra estrema, nostalgica, reazionaria ma senza progetti di una qualche realizzabilità. Caccia ai migranti a parte, non a caso (l’unica cosa “facile” e alla loro portata, insomma...).

Inevitabile e facile la previsione: questa eliminazione di Marine Le Pen, fatta in questo modo, si tradurrà in un boost per l’estrema destra francese, favorendone (involontariamente? È persino opinabile...) una crescita al di là delle attese, anche se il “delfino” Bardella – fresco di investitura da parte persino di Netanyahu, quindi preventivamente assolto dalle possibili accuse di “antisemitismo” – non appare ancora all’altezza della sua “capa”.

È quasi una legge della politica neoliberista. Anni passati a favorire la “competizione” – fra imprese, strati sociali, individui, paesi interi, ecc. – come base necessaria di uno “sviluppo della democrazia” si vanno traducendo rapidamente in libertà per le sole imprese e per nessun altro. Ma se tutto deve funzionare come un’azienda – non serviva Musk per ricordarcelo – la “democrazia” è di troppo.

L’ironia della Storia ancora una volta è all’opera. Una restrizione della “competizione politica” giustificata con l’inaffidabilità dei fascisti nell’esecuzione delle politiche europee (figuriamoci cosa potrebbe accadere con l’emersione di forze effettivamente socialiste...), specie quando c’è da continuare una guerra (in Ucraina) e gestire un riarmo di proporzioni colossali, genera una situazione in cui può più facilmente emergere un movimento reazionario di massa.

Che si troverà probabilmente con un arsenale gigantesco e nuovissimo da utilizzare.

L’ultimo spenga la luce...

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