La missione del ministro degli Esteri russo Lavrov a Damasco, il veto
di Russia e Cina alla risoluzione di condanna Onu, l’indignazione Usa e
Ue, le sanzioni a Damasco. Mentre Homs è assediata e le opposizioni
denunciano centinaia di vittime civili. Un quadro davvero fosco, quello
della situazione in Siria, dove poche sono le notizie verificabili
dall’interno. E – il mensile ha chiesto un parere alla professoressa
Francesca Maria Corrao, docente di Lingua araba presso la facoltà di
Scienze Politiche dell’Università Luiss Guido Carli a Roma e visiting
professor in molte università arabe ed europee, autrice per l’editore
Mondadori del libro Le rivoluzioni arabe – Transizioni mediterranee, pubblicato quest’anno.
La
Siria, vista da lontano, sembra sempre più un rebus. Si può solo
orientarsi in tentativi di analisi con l’idea che, Russia e Cina a
parte, l’isolamento di Damasco e le pressioni esterne suonano come una
condanna del regime di Assad, anche se i tempi paiono difficili da
immaginare. Qual è il suo parere?
Le dinamiche interne,
al pari di quelle esterne, sono complesse e articolate. Anche perché ci
sono pressioni esterne su componenti interne, come quella sunnita. Non è
un mistero che l’Arabia Saudita sostenga il movimento dei Fratelli
Musulmani. Altrettanto evidente è che la Turchia ha interesse a non
veder uscire dalla Siria quella importante componente di curdi privi del
diritto di cittadinanza. Il Libano, poi, con i rapporti di Damasco con
Hezbollah e l’Iran e, infine, Israele. Ecco dunque come la questione
interna siriana dipenda anche dagli equilibri che si possono creare,
come nel caso delle minoranze cristiane, che avevano un ruolo importante
di equilibrio in Siria e che fino a oggi hanno sostenuto gli Assad, che
hanno a loro volta supportato i cristiani per mantenere un equilibrio
politico all’interno del Paese.
La Siria, in qualche modo,
risente anche del mutato scenario regionale creato con l’invasione
dell’Iraq nel 2003, con un mutamento degli equilibri tra sunniti e
sciiti? Quali scenari sono immaginabili con l’eventuale caduta di Assad
nella zona?
Prima di tutto va detto che ci sono anche
delle ragioni interne, non dimentichiamo che ci sono state tutte le
rivoluzioni arabe, che hanno favorito la presa di coraggio delle
opposizioni siriane. Detto questo, però, è innegabile che si siano
alterati alcuni equilibri nella regione, con l’esplosione dell’Iraq, con
la situazione dei curdi al nord e degli sciiti al sud. Tutta la regione
ha visto mutare il suo profilo politico complessivo. Va, però, tenuto
conto di un altro elemento fondamentale: con gli Assad cade l’ultimo
bastione del nazionalismo arabo, collante secolare laico di fronte al
complesso mosaico religioso della regione. Cosa accadrà, in futuro, tra
le varie anime della Siria è difficile prevederlo. A questo proposito si
era pronunciato Adonis, grande poeta siriano, sostenendo che era
difficile che emergesse una democrazia in un Paese dove manca una
educazione, un’abitudine a una convivenza democratica. Gli scenari, per
il momento, non sono rosei.
Immaginando la fine della
dinastia degli Assad in Siria, crede che il processo di transizione di
Damasco sarà uguale a quello egiziano o tunisino? Assisteremo anche in
Siria a un’ascesa politica delle formazioni religiose, che stupiscono
l’Occidente?
Lo stupore occidentale è sistematico,
avviene in maniera prevedibile. E’ accaduto con la vittoria del Fronte
Islamico di Salvezza (Fis) in Algeria all’inizio degli anni Novanta, poi
lo stesso stupore per le prime elezioni democratiche in Palestina,
quando vinse Hamas, e adesso si stupiscono quando in Egitto o in Tunisia
i Fratelli Musulmani guadagnano una presenza ragguardevole nei
parlamenti. La democrazia vuol dire questo: una volta che si elimina il
vincolo della dittatura e si da voce alle persone queste esprimono una
fiducia verso coloro che hanno un’etica, una morale, un programma
politico che è religioso perché di fronte a un vuoto di ideali quello
confessionale diventa un punto di riferimento del discorso pubblico.
Fonte.
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