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08/02/2012

Pronti a bombardare in Afghanistan. Ma il Parlamento?

Domani al Quirinale il presidente Giorgio Napolitano presiederà un Consiglio supremo di Difesa di cruciale importanza, poiché si esprimerà non solo sull’acquisto dei costosissimi cacciabombardieri F-35, ma anche sulla delicata decisione di autorizzare bombardamenti aerei italiani in Afghanistan.
L’imbarazzo e lo scaricabarile del premier Monti di fronte alla domanda di Lilli Gruber, sommato alle numerose dichiarazioni pubbliche del ministro della Difesa Di Paola sull’assoluta necessità di “andare avanti” con il programma F-35, suggeriscono che non vi saranno retromarcia sostanziali su questa folle spesa militare (almeno 13 miliardi di euro, destinati a lievitare di molto). Si può sperare solo in minime riduzioni o dilazioni.
Silenzio di tomba invece, anche da parte del mondo politico, sull’altra importantissima questione che verrà discussa domani in Consiglio supremo di Difesa al punto dell’ordine del giorno che recita “riqualificazione dell’impegno italiano” nelle missioni militari internazionali: la scelta di rimuovere i ‘caveat’ che finora hanno impedito ai nostri cacciabombardieri Amx (proprio quelli che andrebbero rimpiazzati dagli F-35) di effettuare azioni di bombardamento.
Questa cruciale decisione, che nemmeno Ignazio La Russa osò prendere d’autorità senza l’avallo del Parlamento (e infatti alla fine vi rinunciò), Di Paola si è limitato a comunicarla alle commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato, senza sottoporla alla minima discussione per un parere. Anzi, la cosa è venuta fuori in commissione solo perché il senatore Pd Gian Piero Scanu glielo ha esplicitamente chiesto, dopo che Di Paola aveva genericamente parlato di misure per rafforzare la sicurezza del contingente italiano in Afghanistan.
Di fronte a una notizia del genere, riportata con grande evidenza anche da La Repubblica, ci si sarebbe aspettati una qualche reazione da parte di quei partiti progressisti che, seppur non contrari alla guerra, rivendicano il ruolo del Parlamento nel decidere su una materia di tale rilevanza politica e costituzionale. Esattamente com’era accaduto nell’ottobre 2010, quando la stessa proposta la avanzò La Russa.
In quei giorni, non così lontani, il Pd Arturo Parisi – forse perché all’epoca non distratto da qualche scandalo come oggi – affermò con forza che l’autorizzazione dei bombardamenti aerei “può essere decisa solo dal Parlamento” perché “non è una questione tecnica da lasciare sulle spalle dei militari”. Lo stesso segretario del Pd Bersani allora riteneva “assurdo mettersi a parlar di bombe”.
Oggi che i Democratici non stanno più all’opposizione, nessuno dice più una parola.
Nessuna voce si è levata dal Pd nemmeno dopo che la decisione del ministro di Di Paola è stata confermata dalle parole del capo di Stato Maggiore, generale Blagio Abrate, che durante la sua recente visita al contingente italiano in Libano, ha dichiarato: “Gli Amx avevano la possibilità di sparare solo con i cannoni di bordo. L’Italia non li usava al 100 per cento delle potenzialità. Adesso invece i nostri uomini potranno intervenire alla pari e con una tempistica diversa. Le bombe sono una difesa. Anche in Libia abbiamo sganciato le bombe e abbiamo fatto bene”.
Neanche il senatore Scanu, che aveva inizialmente dichiarato a La Repubblica che “ogni cambiamento dei caveat deve essere deciso in modo formale davanti alle Camere e non notificato durante un’audizione”, ha più voluto parlare dell’argomento. E online l’ha ripetutamente sollecitato un suo ulteriore commento, ma ci ha risposto che prima doveva capire quale fosse, se vi fosse, una posizione ufficiale del suo partito. Visto che la posizione alla fine è stata quella del “silenzio-assenso”, è rimasto silente anche lui.
La Difesa non ravvisa la necessità, né tantomeno l’obbligo, di consultare il Parlamento perché, come sostengono sia il generale Abrate che lo stesso Di Paola, “le regole d’ingaggio non cambiano” e anche perché, argomenta il ministro, “in Parlamento c’è stato un forte sostegno alla necessità di proteggere i nostri militari, quindi questa decisione è solo una conseguenza logica di questo sostegno”.
“Se il Parlamento ritiene di dover essere consultato ha gli strumenti per chiederlo, ma non mi pare l’abbia fatto”, ha osservato parlando a E online il capoufficio stampa del ministero, generale Giancarlo Rossi.
In effetti la stessa Camera dei deputati, in occasione del voto sul rifinanziamento delle missioni militari, ha paradossalmente respinto quasi all’unanimità un ordine del giorno presentato dai deputati Radicali del Pd che impegnava il governo “a rimettere al Parlamento la decisione sull’uso di ordigni bellici a caduta libera o guidata (GBU-39 Small Diameter Bomb o similari) da parte dei velivoli dell’Aeronautica militare italiana impiegati in Afghanistan”.
“Lo stesso fatto che le commissioni competenti, informate dal ministro, non abbiano fatto osservazioni rappresenta un implicito via libera”, dice a E online l’ex sottosegretario alla Difesa del governo Prodi, Lorenzo Forcieri. “Detto questo, ritengo che una simile decisione richieda eccome un pronunciamento parlamentate in quanto si vanno a modificare sostanzialmente le regole d’ingaggio decise dal Parlamento al momento dell’autorizzazione all’invio dei nostri bombardieri in Afghanistan. Per non parlare della contraddittorietà politica di una simile scelta in una fase del conflitto in cui si tende a privilegiare l’aspetto civile e a limitare sempre di più il ricorso a strumenti dimostratisi estremamente rischiosi dal punto di vista degli affetti collaterali”.
In vista del Consiglio supremo di Difesa di mercoledì, E online ha provato a chiedere ulteriori delucidazioni al ministero di Di Paola, ma fino a lunedì sera negli uffici di via XX Settembre non c’era nessuno a causa della neve: “E’ ‘na giornataccia”, ci ha risposto l’unico addetto dell’ufficio stampa che rispondeva al telefono.
Domani rischia di essere una giornataccia anche per la democrazia di questo Paese. Che la decisione di autorizzare bombardamenti in Afghanistan implichi o meno l’obbligo formale di un pronunciamento parlamentare, rimane il fatto che un governo ‘tecnico’, non legittimato dal voto popolare, avrebbe quantomeno il dovere politico di consultare il Parlamento su una decisione che – come sosteneva l’ex ministro alla Difesa Parisi – muta radicalmente la natura della nostra missione militare in Afghanistan e viola quindi l’articolo 11 della nostra Costituzione.
Speriamo che domani se ne ricordi almeno il presidente Napolitano, che della Costituzione è garante.

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