Domani al Quirinale il presidente Giorgio Napolitano presiederà un
Consiglio supremo di Difesa di cruciale importanza, poiché si esprimerà
non solo sull’acquisto dei costosissimi cacciabombardieri F-35, ma anche
sulla delicata decisione di autorizzare bombardamenti aerei italiani in
Afghanistan.
L’imbarazzo e lo scaricabarile del premier Monti
di fronte alla domanda di Lilli Gruber, sommato alle numerose
dichiarazioni pubbliche del ministro della Difesa Di Paola sull’assoluta
necessità di “andare avanti” con il programma F-35, suggeriscono che
non vi saranno retromarcia sostanziali su questa folle spesa militare
(almeno 13 miliardi di euro, destinati a lievitare di molto). Si può
sperare solo in minime riduzioni o dilazioni.
Silenzio di tomba
invece, anche da parte del mondo politico, sull’altra importantissima
questione che verrà discussa domani in Consiglio supremo di Difesa al
punto dell’ordine del giorno che recita “riqualificazione dell’impegno
italiano” nelle missioni militari internazionali: la scelta di rimuovere
i ‘caveat’ che finora hanno impedito ai nostri cacciabombardieri Amx
(proprio quelli che andrebbero rimpiazzati dagli F-35) di effettuare
azioni di bombardamento.
Questa cruciale decisione, che nemmeno
Ignazio La Russa osò prendere d’autorità senza l’avallo del Parlamento
(e infatti alla fine vi rinunciò), Di Paola si è limitato a comunicarla
alle commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato, senza sottoporla
alla minima discussione per un parere. Anzi, la cosa è venuta fuori in
commissione solo perché il senatore Pd Gian Piero Scanu glielo ha
esplicitamente chiesto, dopo che Di Paola aveva genericamente parlato di
misure per rafforzare la sicurezza del contingente italiano in
Afghanistan.
Di fronte a una notizia del genere, riportata con grande evidenza anche da La Repubblica,
ci si sarebbe aspettati una qualche reazione da parte di quei partiti
progressisti che, seppur non contrari alla guerra, rivendicano il ruolo
del Parlamento nel decidere su una materia di tale rilevanza politica e
costituzionale. Esattamente com’era accaduto nell’ottobre 2010, quando
la stessa proposta la avanzò La Russa.
In quei giorni, non così
lontani, il Pd Arturo Parisi – forse perché all’epoca non distratto da
qualche scandalo come oggi – affermò con forza che l’autorizzazione dei
bombardamenti aerei “può essere decisa solo dal Parlamento” perché “non è
una questione tecnica da lasciare sulle spalle dei militari”. Lo stesso
segretario del Pd Bersani allora riteneva “assurdo mettersi a parlar di bombe”.
Oggi che i Democratici non stanno più all’opposizione, nessuno dice più una parola.
Nessuna
voce si è levata dal Pd nemmeno dopo che la decisione del ministro di
Di Paola è stata confermata dalle parole del capo di Stato Maggiore,
generale Blagio Abrate, che durante la sua recente visita al contingente
italiano in Libano, ha dichiarato: “Gli Amx avevano la possibilità di
sparare solo con i cannoni di bordo. L’Italia non li usava al 100 per
cento delle potenzialità. Adesso invece i nostri uomini potranno
intervenire alla pari e con una tempistica diversa. Le bombe sono una
difesa. Anche in Libia abbiamo sganciato le bombe e abbiamo fatto bene”.
Neanche il senatore Scanu, che aveva inizialmente dichiarato a La Repubblica
che “ogni cambiamento dei caveat deve essere deciso in modo formale
davanti alle Camere e non notificato durante un’audizione”, ha più
voluto parlare dell’argomento. E online l’ha ripetutamente
sollecitato un suo ulteriore commento, ma ci ha risposto che prima
doveva capire quale fosse, se vi fosse, una posizione ufficiale del suo
partito. Visto che la posizione alla fine è stata quella del
“silenzio-assenso”, è rimasto silente anche lui.
La Difesa non
ravvisa la necessità, né tantomeno l’obbligo, di consultare il
Parlamento perché, come sostengono sia il generale Abrate che lo stesso
Di Paola, “le regole d’ingaggio non cambiano” e anche perché, argomenta
il ministro, “in Parlamento c’è stato un forte sostegno alla necessità
di proteggere i nostri militari, quindi questa decisione è solo una
conseguenza logica di questo sostegno”.
“Se il Parlamento ritiene di
dover essere consultato ha gli strumenti per chiederlo, ma non mi pare
l’abbia fatto”, ha osservato parlando a E online il capoufficio stampa del ministero, generale Giancarlo Rossi.
In
effetti la stessa Camera dei deputati, in occasione del voto sul
rifinanziamento delle missioni militari, ha paradossalmente respinto
quasi all’unanimità un ordine del giorno presentato dai deputati
Radicali del Pd che impegnava il governo “a rimettere al Parlamento la
decisione sull’uso di ordigni bellici a caduta libera o guidata (GBU-39
Small Diameter Bomb o similari) da parte dei velivoli dell’Aeronautica
militare italiana impiegati in Afghanistan”.
“Lo stesso fatto che
le commissioni competenti, informate dal ministro, non abbiano fatto
osservazioni rappresenta un implicito via libera”, dice a E online
l’ex sottosegretario alla Difesa del governo Prodi, Lorenzo Forcieri.
“Detto questo, ritengo che una simile decisione richieda eccome un
pronunciamento parlamentate in quanto si vanno a modificare
sostanzialmente le regole d’ingaggio decise dal Parlamento al momento
dell’autorizzazione all’invio dei nostri bombardieri in Afghanistan. Per
non parlare della contraddittorietà politica di una simile scelta in
una fase del conflitto in cui si tende a privilegiare l’aspetto civile e
a limitare sempre di più il ricorso a strumenti dimostratisi
estremamente rischiosi dal punto di vista degli affetti collaterali”.
In vista del Consiglio supremo di Difesa di mercoledì, E online
ha provato a chiedere ulteriori delucidazioni al ministero di Di Paola,
ma fino a lunedì sera negli uffici di via XX Settembre non c’era
nessuno a causa della neve: “E’ ‘na giornataccia”, ci ha risposto
l’unico addetto dell’ufficio stampa che rispondeva al telefono.
Domani
rischia di essere una giornataccia anche per la democrazia di questo
Paese. Che la decisione di autorizzare bombardamenti in Afghanistan
implichi o meno l’obbligo formale di un pronunciamento parlamentare,
rimane il fatto che un governo ‘tecnico’, non legittimato dal voto
popolare, avrebbe quantomeno il dovere politico di consultare il
Parlamento su una decisione che – come sosteneva l’ex ministro alla
Difesa Parisi – muta radicalmente la natura della nostra missione
militare in Afghanistan e viola quindi l’articolo 11 della nostra
Costituzione.
Speriamo che domani se ne ricordi almeno il presidente Napolitano, che della Costituzione è garante.
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