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03/05/2013

Horror Italia. Enrico Letta e le zombie bank, il Sole 24 ore ed il governo Frankenstein

Il concetto di zombie bank non appartiene solo ad una qualche ibridazione tra letteratura, finanza e giornalismo. Indica piuttosto un preciso tipo di banca: quella di fatto morta, quindi fallita, ma tenuta in un qualche stato di vita dal trasferimento di fondi pubblici a copertura di irrimediabili voragini di debito dell’istituto bancario privato. Dovrebbe suscitare un qualche interesse il fatto che il Financial Times, il giorno della fiducia alla camera al governo Letta, ha parlato delle zombie bank (testuale) italiane come uno dei due principali problemi del paese. Assieme all’immancabile assenza di crescita che oramai appartiene al novero della categorie che ognuno interpreta veramente come preferisce.

La zombie bank italiana per eccellenza sembra essere il Monte dei Paschi che, oramai è luogo comune, di fondi pubblici è costata nel 2012 quanto il gettito dell’Imu. Monte che ha visto le proprie azioni in ascesa nei giorni della fiducia del governo Letta per un preciso motivo: si è scommesso che la zombie bank starebbe stata tenuta in vita dal nuovo esecutivo per evitare un crack del sistema bancario italiano. Ma è solo il Monte dei Paschi a rischiare il crack, magari trascinando con sé il resto del sistema? La situazione appare più complessa se si guarda all’ultimo rapporto Moody’s sull’Italia. Rapporto che è stato citato, senza critiche, dal Sole 24 ore nonostante suonasse a morto non solo nei confronti del Monte dei Paschi ma dell’intero sistema bancario italiano. Moody’s infatti sostiene che le banche italiane si occupano più di detenere ingenti stock di credito che di sostenere l’economia, perdendo contatto con l’economia reale, manifestando anche una sotto capitalizzazione tale da renderle vulnerabili ad ulteriori schock finanziari. Entrambi i fenomeni si chiamano sotto capitalizzazione, appunto, e più prosaicamente eccesso di titoli di stato in pancia che impedisce un rapporto con l’economia reale (essendo più redditizia l’operazione di acquisto e collocamento di titoli di stato). La combinazione di questi fenomeni produce, secondo gli analisti, i non performing loans ovvero crediti di banche che non riescono a ripagare capitali ed interessi dovuti ai creditori. Mettendo in crisi sia il sistema del credito che quello dell’economia.

Il primo grosso elemento di crisi sistemica del capitalismo italiano resta quindi stabilmente radicato nella rete bancaria nazionale. Una crisi del prestito e della circolazione economica di moneta spesso e volentieri sottovalutata rispetto ad analisi che ritengono, a torto, questo mondo del credito subordinato rispetto a quello della decisione politica. Una crisi del prestito e della circolazione della moneta che avviene aspirando liquidità pubblica, da ogni dove, senza ripagare e riprodurre capitali. Se ne sono accorti Moody’s, il Financial Times ma anche Enrico Letta che è andato a Berlino, da Angela Merkel, prima di tutto a parlare del problema delle banche italiane e del loro salvataggio. E prima di Letta se ne è accorto Giorgio Napolitano che, non a caso, ha messo Saccomanni, direttore della Banca d’Italia, al ministero chiave dell’Economia. Ministero che così assume un accento prevalentemente bancario servendo cosi’, all’istante, tutti coloro che hanno parlato di governo “delle larghe intese” per affrontare i problemi economici ed occupazionali del paese.

La verità è un’altra: a cinque anni dall’esplosione di Lehman Brothers il sistema bancario europeo, con in testa Deutsche Bank che pare detenere il 10% dei titoli tossici del pianeta, e quello italiano producono voragini di debiti che sembrano non avere fine. E proprio per questo il viaggio di Letta a Berlino è andato male.
La richiesta di allentamento del rigore nei conti pubblici, per promuovere il mondo delle banche italiane come asse privilegiato della “ripartenza”, si è pubblicamente infranta contro il muro dei “no” tedeschi.  Ma non solo. Se si considerano le analisi del Wall Street Journal Deutschland, i tedeschi sono rimasti sorpresi. Dai toni morbidi che Letta ha usato sulla questione dell’allentamento del “rigore”, ben diversi da quelli usati in parlamento a Roma ad uso delle telecamere. Insomma, se si seguono gli analisti tedeschi siamo a Letta che usa i toni duri a Roma e Parigi e quelli morbidi a Berlino. Segno che c’è la possibilità che Letta voglia tenersi il “rigore”, alla faccia di chi l’ha votato per “senso di responsabilità”, come moneta di scambio per magari ottenere un salvataggio reale di tutte le zombie bank italiane entro il nuovo sistema europeo di vigilanza bancaria. Ma, sfortuna di Letta, questi non sono tempi in cui la Germania fa sconti od è in grado di aiutare, dal punto di vista capitalistico, l’Italia. Proprio Yalman Onaran e  Sheila Bair in Zombie Banks (Bloomerg Books, 2011) dedicano infatti il quarto capitolo alla Germania. Parlando di “untouchable Zombie” delle banche tedesche, anche quelle locali, gonfie di titoli tossici, attualmente fuori dall’accordo europeo sulla vigilanza bancaria. Il “no” all’Italia anche e soprattutto su questo piano bancario, per adesso ben esplicito da Berlino, fa capire che, mentre tiene alta la retorica sulla crescita e tace sulle banche, il governo Letta al momento non trova vie d’uscita favorite dai rapporti continentali.

Già ma che governo è l’esecutivo Letta? Il Sole 24 ore ha parlato di governo Frankenstein, giudizio non proprio lusinghiero da parte del quotidiano di Confindustria. In questo governo c’è di tutto: c’è Saccomanni, direttamente “in touch” con Napolitano e Monti sul rigore dei conti; c’è l’ipoteca anti-rigore di Berlusconi, c’è l’atlantismo della Bonino, ci sono una serie di ministri ufficialmente più attenti al sociale e meno rigoristi e persino due ciellini. Oltre che Alfano a garanzia degli interessi di Berlusconi con l’ex integerrimo antiberlusconiano Franceschini passato nelle fila dei garanti dell’accordo con il cavaliere. Le differenti esigenze di politica economica possono paralizzare questo governo. Se le banche italiane restano zombie e se la “crescita” rimane slogan da recitare davanti ai corazzieri del Quirinale è evidente che l’esplosione politica, al governo Pd-Pdl, è assicurata. La crisi delle banche europee, la contrazione del Pil dell’eurozona, la recessione prevista anche per il 2014 dovrebbero macinare seriamente il piano di Letta e di Napolitano. Piano composto da canonici classici, salvare i capitali prodotti con i capitali e rilanciare quelli da lavoro, in un tempo in cui l’efficacia di questa classicità è tutta in discussione.

Quanto alla razionalità politica delle masse, stretta tra indifferenza, livore contro il lusso in cui vivono le istituzioni e  miriadi di pratiche non riducibili a sintesi ne rappresentabili come linee di fuga dal capitalismo, non sembra per adesso la sua stagione. Inutile negare il problema se si vuol fare politica di massa davvero.

Redazione

2 maggio 2013


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