di Fabrizio Casari
L’ultima a ricevere il regio-decreto di espulsione è stata Adele
Gambaro, senatrice, colpevole di aver detto ciò che pensa e non ciò che
gli è permesso dire. Espulsa da un ridicolo referendum via web che ha
fatto seguito ad una ancor più ridicola riunione dei parlamentari del
M5S che sembrano non riuscire a fermare la tendenza al grottesco. Di
espulsione in espulsione, di scissione in scissione, ciò che fu assoluta
novità politica delle ultime elezioni sta progressivamente diventando
una vicenda tragicomica.
Autoavvitatosi su se stesso, il M5S
continua da mesi ad offrire uno spettacolo penoso sotto il profilo delle
più elementari norme di democrazia interna. Sanzioni verso chi pensa,
espulsioni verso chi parla, gogna mediatica per chi addirittura
“dissente”. Il loro capo, Beppe Grillo, minaccia, grida, insulta e
accenna a presunti ritiri del simbolo; somiglia ormai sempre più al
“Caro leader” Kim-Il-Sung in versione 2.0 e i meccanismi di discussione
interna al movimento appaiono sempre più come copie del modello
nordcoreano.
Grillo ormai sembra preda dei suoi istinti
isterici; non riesce più a parlare ma solo a urlare e, nel pieno di una
crisi da ego ipertrofico, indice referendum su se stesso e invoca il
pubblico ludibrio a chi osa criticarlo. In un rovesciamento folle del
primato tra il primario e il secondario, può divenire capogruppo la
“cittadina” Lombardi che scopre nascoste virtù nel fascismo ma non può
rimanere nel gruppo chi ritiene che sia Grillo a sbagliare. E’ probabile
del resto che un modello di organizzazione che prevede il Capo e gli
adepti, non possa avere diverso delinearsi e quello dei partiti
personali è ormai un virus diffuso che vede nella dialettica politica e
nella democrazia interna le sue prime vittime.
Grillo, bisogna
ammetterlo, si è trovato assolutamente spiazzato dai risultati
elettorali, che mai avrebbe previsto nella portata quantitativa poi
verificatasi. L’assoluta incapacità politica, miscelata con un senso
d’onnipotenza, è stata la combinazione fatale che gli ha fatto perdere
la rotta insieme alla ragione.
Una flotta di eletti senza capo né coda, in molti casi privi di ogni
cultura politica e istituzionale, si sono trovati alle prese con
problemi enormi nel processo di trasformazione dalle urla e dai luoghi
comuni in proposte politiche concrete e il loro guru, come uno Schettino
qualunque, li ha portati a rovesciarsi su un fianco. La diaria e i
rimborsi, lo streaming (ma solo per gli altri), i denari di cui non si
parla e le liti da cortile interne per un po’ di visibilità hanno
sostituito proposte e azioni che avrebbero dovuto rappresentare la nuova
politica.
Si
deve però precisare, per chiarezza, che quando si parla di “grillini”
s’incorre in errore: i grillini non esistono, esistono Grillo e
Casaleggio. Sono loro che decidono, loro che dispongono, loro che
designano e loro che ammoniscono e sanzionano. Esistono, e sono numerosi
e degni di assoluto rispetto, gli elettori del M5S, ma non il M5S.
La storiella dell’uno che vale uno è roba per web-gonzi. Come quella
della trasparenza nelle decisioni, che propone in diretta web le
riunioni con gli altri partiti, ma nulla fa sapere delle riunioni
interne, soprattutto quando sono indette per dare luogo a rese dei
conti. Il che non toglie valore ad alcune delle loro proposte né riduce
il peso degli errori e delle castronerie già abbondanti; semplicemente
dà a Grillo quel che è di Grillo.
In qualche modo, l’involuzione
rapida del “grillismo” non è una sorpresa assoluta; in fondo, del
ventennio berlusconiano Grillo è un prodotto, per quanto s’immaginava un
percorso diverso. Solo dopo questo ventennio di ubriacatura totale
delle coscienze, di azzeramento pressoché definitivo della dignità di
nazione, della nostra stessa storia, ha potuto affermarsi un modello di
partito personale a struttura proprietaria, amministrato come un’azienda
e concepito come una protesi degli interessi del padrone.
Con la distruzione delle identità popolari è venuta meno l’idea di
partito come intellettuale collettivo, come comunità di uguali e come
luogo di studio e di militanza, di elaborazione, di analisi e proposte
destinate ad un progetto politico e ideale. Quell’idea della politica è
stata azzerata dall’ingresso sulla scena di miliardi e televisioni, di
guitti e capocomici, di ribaltonisti di professione, revisionisti a
tempo pieno e affaristi dal fiuto sviluppato e dalle potenti mascelle.
Nella
crisi del M5S sembra di rivedere la storia di fenomeni come L’Uomo
Qualunque, nel primo dopoguerra, e il più recente Patto Segni, meteore
del gioco politico in poco tempo esplose e poi implose, fagocitate dal
sistema e suicidatesi grazie agli errori dei rispettivi capi.
Un
cupio dissolvi che però, nel caso del M5S, lascia l’amaro in bocca a
chi ha creduto potesse essere l’inizio di una nuova storia. Ormai le
accuse di complotto, le minacce via web e le espulsioni non fanno
nemmeno più notizia, sono entrate a pieno titolo nel dizionario penoso
del ceto politico, sancendo così la definitiva normalizzazione di ciò
che si riteneva diverso dal resto.
Per chi, pur senza votarlo, aveva intravisto però nel Movimento 5
Stelle una possibilità di recupero dal basso delle ragioni per un nuovo
impegno politico, che aveva trovato nell’idea orizzontale
dell’organizzazione politica un modo per superare i sepolcri imbiancati
delle consorterie di partito, è l’ennesima, cocente delusione. Li si
voleva vedere all’opera, si voleva toccare con mano la praticabilità
dell’utopia, l’irruzione gentile del male di vivere nelle segrete del
privilegio.
Sì, la speranza è che il teatro dell’assurdo veda
rapidamente la fine, che le energie migliori di questo percorso possano
trovare un luogo libero da dove ripartire, ma la delusione è grande. Il
rischio è che di fronte a tanto sprezzo del ridicolo qualcuno possa
riassegnare, di converso, una qualche credibilità ai partiti attuali,
così da delineare il danno oltre che la beffa. Ci si aspettava la fine
di Berlusconi e grazie a manovrette alla Mastella ce lo troviamo al
governo; ci si aspettava la cacciata del partito dei manager e ce li
ritroviamo al governo anch’essi, benché trombati. Ci aspettavamo il
governo del cambiamento e ci troviamo davanti alla realtà che non
cambia, ci aspettavamo che il Movimento ci portasse allo scontro, salvo
scoprire che si arena sugli scontrini. Andiamo avanti. Sarà per la
prossima volta.
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