Non ho votato il Movimento 5 Stelle (non ho proprio votato). Non
credo che lo farò. Almeno fino a quando durerà questa fase roboante e
confusa, figlia dei tempi e della natura di quel movimento. Fino a
quando assisteremo all’esuberanza leaderistica del suo fondatore. Fino a quando quel movimento resterà soprattutto l’espressione del risentimento contro la politica piuttosto che il motore di una nuova politica. Non l’ho votato perché continuo a pensare che la chiave di volta della realtà sia ancora l’ineguaglianza e l’ingiustizia sociale,
che l’obiettivo sia eliminare la faglia sempre più ampia tra chi vive
di profitto e chi invece di salari, e spesso nemmeno di quelli. Lo
scarto indegno tra la stragrande maggioranza della popolazione, il 99%, che ha poco o niente e una ristretta minoranza che controlla risorse, capitali, governi.
Detto questo, però, non si può non provare fastidio per il modo in cui buona parte della sinistra, politica e giornalistica,
prova a fare le pulci a quel movimento e al suo leader. Andatevi a
leggere le dichiarazioni di quegli stessi dirigenti che espellevano i
dissidenti anti-guerra, durante il governo Prodi. Allora non ci misero
un fiato a decretare l’incompatibilità con i propri partiti di coloro che non se la sentivano di avallare le missioni militari. Oggi è tutto un solidarizzare con la sconosciuta Adele Gambaro che sembra avere, come unico pregio, una cazzuta dichiarazione contro il proprio leader. Senza contare le decine di espulsioni decretate dal Pd, dalla Lega, dagli altri partiti di cui non si sa nulla, di cui non si è mai parlato.
Fa
bene, allora, Grillo a espellere? Certamente, no. Anche se la domanda
andrebbe posta a quelle migliaia di persone che hanno deciso di seguirlo
online. Ma anche su questa procedura si ragiona a tentoni. Il
meccanismo, poco invidiabile, è in realtà quello di una consultazione di
“partito” tra i propri iscritti. 19.790 hanno
partecipato, il 65,8% (pari a 13.029 voti) ha votato per l’espulsione,
il restante 34,2% (pari a 6.761 voti) ha votato contro. Le espulsioni qualificano chi le compie, a meno di non apprezzare il Lenin del “Che fare”secondo
il quale “le epurazioni rafforzano il partito” (e non va escluso che a
Grillo questa linea vada bene). In ogni caso, il movimento si è mosso
con le procedure che tutti conosciamo, criticabili ma note. Lo ha fatto
in ‘adorazione del capo?’. Pare di sì, Grillo ha ancora una forte presa
nel suo movimento. Ma non ci risulta che nel caso di altre espulsioni
siano stati chiamati gli iscritti a decidere.
Eppure, il dito è
puntato tutto contro ‘la scarsa democrazia’ di Grillo e dei grillini.
Come se gli altri partiti potessero esibire chissà quali quarti di
nobiltà. La politica, in realtà, è tutta in apnea, inadeguata alla fase,
con pochi spiragli all’orizzonte. Troppo comodo provare a salvarsi
scaricandone il peso sui 5 Stelle.
Il bello è che le accuse provengono soprattutto da sinistra. E’
chiaro che in questo campo si spera di poter lucrare qualcosa da quella
crisi che è evidente ed imputabile agli errori dello stesso movimento. Il 22 giugno, ad esempio, Antonio Ingroia rilancia la sua “Azione civile” con l’obiettivo di incunearsi in quella difficoltà. Una parte di Sel ha lo stesso obiettivo. Ed è chiaro che anche Stefano Rodotà abbia
deciso di utilizzare la ritrovata notorietà offertagli da Grillo per
provare a coagulare un’area alternativa. Da qui lo scontro con l’ex
comico.
Quello che non convince, e che motiva il titolo,
ovviamente provocatorio, di questo articolo, è che le critiche restano
tutte superficiali. Emotive quando va bene, pretestuose nei casi
peggiori. E non si coglie, o non si vuole farlo, il livello di
complessità della crisi in corso.
Le istanze che hanno portato oltre 8 milioni di persone a votare 5 Stelle,
infatti, restano ancora intatte, anzi sono state avvalorate dall’esito
della crisi politico-istituzionale che ha seguito il voto e ha trovato
il suo apice nella comica elezione per il Quirinale. Lo scorso febbraio, nelle urne, è stato chiesto alla politica istituzionale di mettersi all’altezza del ‘popolo’,
di scendere dal piedistallo, a partire da prebende e privilegi. Sono
state chieste misure contro la crisi per far respirare chi ne è stato
colpito violentemente; è stata chiesta una riforma generale della
democrazia con regole in grado di far contare di più coloro che non
decidono mai. E’ questo ad aver motivato il successo grillino. Richieste
neanche troppo radicali, democratiche e spesso di buon senso. Ma a
quelle domande è stato risposto, nell’ordine: eleggendo per la seconda
volta una Presidente della Repubblica quasi novantenne, baluardo del
sistema politico contestato; realizzando un governo innaturale, delle
larghe intese che è servito a riabilitare il Caimano; riproducendo
fedelmente le politiche rigoriste dettate dalla Troika. Poi dice che
uno…
In secondo luogo, non esiste un movimento politico in grado di gestire, in poche settimane, un successo inaspettato ed enorme come quello che si è verificato il 25 e 26 febbraio.
Grillo si era preparato a un risultato stimato attorno al 15%. Aveva
fiutato qualcosa di nuovo nelle ultime battute della campagna
elettorale. Ma il 25%, un risultato possibile, nella storia
repubblicana, solo per i due grandi partiti (Dc-Pci e i loro eredi), è stato decisamente troppo. L’unico ad aver ottenuto nel giro di pochi mesi un risultato analogo è il Silvio Berlusconi del
1994. Ma Berlusconi aveva dietro un impero finanziario, giornali,
manager, uomini di mercato e anche qualcosa di inconfessabile. Aveva un
mare di soldi e con quella forza ha messo in piedi, di imperio, un
partito. Grillo ha solo un numero imprecisato di volontari, un mare di
deputati e senatori ancora increduli di trovarsi lì, un programma
limitato, in grado cioè di contrastare l’esistente ma non di fondare,
davvero, un’alternativa. Qualcuno sostiene che è ricco e ha dietro Casaleggio.
Ma stiamo parlando di briciole in confronto a Berlusconi. E non va
dimenticato che parliamo dell’unico movimento che ha rinunciato a 42 milioni (quarantaduemilioni) di euro di rimborsi ai partiti.
Un
partito, un movimento politico, un programma, non si improvvisano, per
quanto i Cinque stelle siano in campo da diversi anni. Servono prove, scontri, lotte, contraddizioni. La
strada è lunga. L’evoluzione dei Cinque stelle non è oggi prevedibile.
Potrebbe diventare una ridotta anti-sistema, autocentrata e tendente al
populismo, oppure trasformarsi in un movimento democratico-radicale
capace anche di offrirsi a ipotesi di governo. Una traiettoria seguita,
ad esempio, dai Gruenen in Germania.
Difficile che possa mantenere ancora a lungo il profilo incerto e
ambivalente che conserva oggi e continuare a fare politica senza dotarsi
di un “gruppo dirigente”, nazionale e locale, di decisioni prese in
modo collettivo, di un programma generale e non solo di un elenco di
punti.
Non sta a noi dare consigli ma il dibattito andrebbe
portato su questo piano. Del resto, quando le critiche sono state mosse a
partire da istanze di democrazia diretta e su contenuti forti, come a Messina,
le cose sono andate diversamente. Quello che non funziona è provare a
lucrare vantaggi politici dall’erosione di quel movimento e dalla sua
crisi senza farsi carico delle dinamiche che ne hanno permesso
l’esistenza. Che trovano origine tutte dentro la crisi politica,
economica e istituzionale dell’Italia, e dell’Europa, nelle sue
devastazioni, nei suoi fallimenti. Soprattutto quelli dell’intera
sinistra, moderata e radicale. L’ultima in grado di dare lezioni.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento