di Michele Paris
Ricorrendo
ancora una volta ad accuse completamente fabbricate, l’amministrazione
Obama ha dato il via libera alla fornitura diretta di armi americane ai
“ribelli” in Siria. Facendo uso di armi chimiche nel conflitto in corso,
secondo gli USA, il regime di Bashar al-Assad avrebbe infatti
oltrepassato la cosiddetta “linea rossa” fissata dal presidente
democratico, determinando un intervento diretto degli Stati Uniti a
sostegno dell’opposizione. Le fantomatiche prove addotte da Washington
per giustificare il coinvolgimento in una nuova guerra in Medio Oriente
si basano però su rapporti di intelligence confezionati ad arte,
esattamente come accadde in occasione della disastrosa e illegale
invasione dell’Iraq poco più di un decennio fa.
Nonostante i
recenti commenti di un’autorevole membro della speciale commissione ONU
per la Siria, che attribuiva con buone probabilità l’uso di gas sarin ai
“ribelli” stessi, così come, tra l’altro, l’arresto in Turchia di
membri del gruppo terrorista Fronte al-Nusra attivo in Siria nelle cui
abitazioni erano state trovate sostanze chimiche utilizzabili a fini
militari, il governo americano ha deciso di procedere con un’iniziativa
da tempo richiesta non solo dalle bande armate che compongono la
variegata quanto impopolare opposizione ma anche dagli alleati europei e
mediorientali che hanno finora sostenuto lo sforzo di armare e
finanziare le operazioni anti-regime.
L’annuncio
dell’accelerazione degli Stati Uniti è stato dato nella serata di
giovedì dal vice-consigliere per la Sicurezza Nazionale, Ben Rhodes, e
la svolta era stata anticipata dalla Associated Press qualche
giorno fa in previsione di un vertice del governo USA andato in scena
questa settimana alla Casa Bianca per decidere nuove iniziative in
relazione alla difficile situazione in Siria.
Rhodes ha così
affermato che la conferma dell’uso di gas chimici è basata sull’esame di
campioni biologici provenienti dalla Siria e le conclusioni del suo
governo sono state prese grazie a “flussi multipli e indipendenti di
informazioni”, così che esisterebbe “un alto grado di confidenza” per
accusare Assad, vale a dire nessuna certezza.
La
decisione di distribuire armi ai “ribelli” presa a Washington è la
diretta conseguenza dei rovesci militari patiti dall’opposizione nelle
ultime settimane, a loro volta dovuti all’ostilità nei loro confronti
nutrita dalla maggioranza della popolazione siriana e all’assistenza
fornita da Hezbollah e dall’Iran al regime di Damasco.
Ai primi
di giugno i “ribelli” avevano infatti perso la città di Qusayr, al
confine con il Libano, centro nevralgico del traffico di armi a loro
destinato proveniente dai paesi vicini. Dopo l’ingresso a Qusayr delle
forze regolari e di un contingente inviato oltreconfine da Hezbollah,
Assad ha da poco iniziato la preparazione di nuove operazioni per
riprendere il controllo totale anche di Homs e, soprattutto, Aleppo.
La
riconquista di quest’ultima città, la più grande del paese,
significherebbe l’assestamento di un ulteriore pesantissimo colpo alle
aspirazione dei “ribelli”, i quali vedrebbero messe in crisi le loro
comunicazioni con la Turchia, da cui provengono armi e guerriglieri
fondamentalisti.
Di fronte all’inesorabile avanzata delle forze
del regime, i vertici dell’opposizione armata nei giorni scorsi avevano
perciò ancora una volta supplicato gli Stati Uniti di dare il via libera
all’invio di armi. Il generale Salim Idris, comandante teorico delle
milizie appoggiate dall’Occidente, aveva chiesto migliaia di missili
anti-carro e anti-aereo, così come centinaia di migliaia di munizioni.
La decisione presa a Washington, giovedì, almeno ufficialmente esclude
però dalle imminenti forniture gli armamenti pesanti per il timore che
possano finire nelle mani di gruppi integralisti ed essere usati in
futuro per colpire Israele o gli stessi interessi USA nella regione.
Le
spedizioni di armi a gruppi di opposizione definiti moderati o di
ispirazione secolare, ma che in realtà hanno chiare tendenze islamiste e
le cui operazioni quasi sempre si sovrappongono a quelle di formazioni
apertamente terroristiche, verranno coordinate con ogni probabilità con
Francia e Gran Bretagna, con i cui leader Obama parlerà la settimana
prossima nel corso del G8 in Irlanda.
Parigi e Londra si erano
già mosse verso l’invio di armi in Siria dopo avere recentemente
convinto l’Unione Europea a mettere fine all’embargo in atto da un anno.
Gli stessi governi francese e britannico hanno inoltre agito di comune
accordo con Washington nel diffondere la propaganda sull’uso di armi
chimiche da parte del regime di Assad, così da creare un pretesto
opportuno per giustificare un maggiore coinvolgimento in Siria.
La
decisione presa dall’amministrazione Obama è comunque solo il primo
passo verso una sempre più probabile guerra aperta per rimuovere un
rivale strategico importante come Assad. Il Wall Street Journal
ha infatti rivelato che i progetti del Pentagono per il cambio di
regime forzoso a Damasco includono anche l’imposizione di una no-fly zone,
universalmente considerata uno strumento per condurre una guerra non
dichiarata contro la Siria sul modello del conflitto in Libia nel 2011.
Per dare una facciata presentabile alle proprie manovre, tuttavia, gli USA sostengono che la no-fly zone
- da attuare senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU
vista la ferma opposizione di Russia e Cina - servirebbe soltanto a
creare uno spazio in territorio siriano off-limits alle incursioni aeree
del regime, così da favorire l’addestramento e il riarmo dei “ribelli”.
Per evitare l’impedimento delle Nazioni Unite, inoltre, gli Stati Uniti
potrebbero operare dalla Giordania per abbattere la flotta aerea di
Assad senza entrare in territorio siriano.
L’esplosione
di un conflitto su vasta scala provocato dall’irresponsabilità delle
politiche degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, della Turchia e delle
monarchie dittatoriali del Golfo Persico, appare dunque oggi molto più
probabile. Ad essere coinvolta in una possibile guerra potrebbe essere,
oltre all’Iran, anche la Russia, il cui governo ha subito criticato la
decisione di Obama.
Da Mosca, nella giornata di venerdì un
funzionario del Cremlino ha definito “poco convincenti” le prove nelle
mani degli USA sull’uso di armi chimiche da parte di Assad, suggerendo
un parallelo con le “errate” informazioni di intelligence che fornirono
il pretesto di invadere l‘Iraq all’amministrazione Bush.
Decisamente
più esplicito è stato poi il presidente della commissione parlamentare
per le relazioni internazionali, Alexei Pushkov, il quale ha bollato le
prove sull’uso di armi chimiche come “fabbricate”. Per il portavoce del
ministero degli Esteri russo, invece, la nuova ondata di armi dirette in
Siria farà aumentare “il livello dello scontro e le violenze contro i
civili”.
La svolta americana, infine, potrebbe spingere la Russia
a onorare il contratto siglato con Damasco nel 2010 per la fornitura
del sofisticato sistema di difesa missilistico S-300, la cui consegna,
inizialmente prevista per l’estate di quest’anno ma continuamente
rimandata, secondo gli esperti consentirebbe al regime di Assad di
contrastare efficacemente una campagna di bombardamenti nel paese.
Dopo
avere contribuito in maniera decisiva a fomentare un conflitto settario
che ha causato ormai quasi 100 mila morti, per promuovere i propri
interessi strategici, gli Stati Uniti sono ora pronti a scatenare una
nuova guerra “umanitaria” che rischia di portare il bilancio delle
vittime a livelli esorbitanti.
Il tutto, ancora una volta,
basando le proprie azioni su falsità e prove manipolate, nonché sulla
collaborazione di regimi oscurantisti e repressivi, come quello turco
del premier Erdogan, impegnato a chiedere il rispetto dei diritti
democratici della popolazione siriana mentre reprime nel sangue e con
l’approvazione di Washington le proteste esplose in tutto il paese
contro il suo governo.
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