Le bandiere rosse, bianche e verdi, con un sole al centro, che
sventolano sulle case e sui palazzi dei villaggi curdi in Siria, nelle
aree nord-orientali, sono il segno evidente di un vuoto politico che la
comunità curda sta colmando, approfittando del caos causato da oltre due
anni di conflitto.
Libertà inconcepibili quando Bashar al Assad
aveva il pieno controllo del paese, adesso sono esercitate alla luce
del giorno: parlare curdo per strada, ostentare la propria cultura fino
alle targhe delle macchine con la dicitura "Kurdistan occidentale", una
propria forza di sicurezza (Asayish) in cui sono reclutate anche le
donne.
I curdi, fa notare il giornalista Bassem Mroue della Associated Press,
si sono ritagliati uno spazio autonomo e, tra loro, in tanti auspicano
che la Siria del dopo-Assad sia uno Stato federale con una regione curda
indipendente, alla stregua di quanto accaduto nel vicino Iraq.
Per Asia Abdullah, co-segretario del Partito dell'unione democratica (Pyd), frangia siriana del Pkk, è già una realtà. In un'intervista al sito KurdNet,
parla del "Kurdistan occidentale" come di una "entità ufficiale,
democratica e indipendente", istituita senza ricorrere a sostegni
esterni. E poi ammonisce chiunque pensi di intromettersi negli affari
interni di questa nuova entità: "Il futuro della Siria non è chiaro e
noi curdi dobbiamo essere pronti a ogni sorta di scenario, ma non
permetteremo a nessuno di venire a comandare nel Kurdistan occidentale
di nuovo, è la linea rossa che non deve essere oltrepassata".
La guerra siriana potrebbe evolversi in diverse direzioni, dipenderà
anche dagli equilibri e dalle scelte delle potenze regionali e
occidentali, e pure il destino della comunità curda siriana, che
rappresenta il dieci per cento dei 23 milioni di abitanti, è legato a
questioni regionali che travalicano i confini dell'autoproclamato
Kurdistan occidentale e della stessa Siria.
Uno stato autonomo,
seppure all'interno di una federazione, rafforzerebbe le istanze
indipendentiste dei 25 milioni di curdi divisi tra Turchia, Iran, Siria e
Iraq, con un impatto regionale non prevedibile.
Quello che sta
accadendo nelle povere regioni nord-orientali, dove però ci sono aree
petrolifere come quella di Hassakeh, è una sorta di rivoluzione
parallela a quella siriana, che apparentemente ha come antagonisti dei
curdi entrambi gli attori della rivolta: Assad e gli insorti.
Damasco
ha tentato, in parte riuscendoci, soprattutto all'inizio delle
proteste, di ingraziarsi la comunità concedendo la cittadinanza siriana a
200.000 curdi che erano considerati stranieri nella terra in cui sono
nati. Concessioni che però non cancellano la politica discriminatoria
nei confronti di questa minoranza, tradottasi spesso nella negazione,
assieme alla cittadinanza, del diritto al lavoro e all'istruzione.
Sotto
Assad era proibito insegnare il curdo o celebrare le festività curde, e
gli attivisti erano imprigionati. Non c'è dunque da fidarsi e, infatti,
molti curdi hanno partecipato alle proteste.
Ma la comunità
non si fida neanche degli insorti nelle cui file, in particolare al
Nord, sono reclutati molti islamisti, ad esempio il gruppo Jabhat
al-Nusra, vicino ad al Qaida. La distanza culturale tra i curdi, più
laici, e le milizie sunnite più estremiste è sfociata in scontri
armati, che rischiano di inserire un conflitto etnico, arabi contro
curdi, in quello settario che da due anni contrappone, genericamente, i
sunniti e gli alawiti, sostenuti dagli sciiti. La cittadina a
maggioranza curda di Afrin, a nord-ovest di Aleppo, è presa d'assedio
dagli insorti che si sono visti negare il passaggio dalle milizie curde: l'Osservatorio siriano dei diritti umani ha denunciato la carenza di
cibo e farmaci per la popolazione che nell'ultimo anno è aumentata molto
con l'arrivo di migliaia di sfollati.
Scontri e diffidenze che la dicono lunga sul ruolo dei curdi nella
guerra siriana. Non hanno preso parte in maniera massiccia e decisa alla
rivolta, preoccupati che la fine del regime decreti la salita al potere
di fazioni islamiche estremiste da cui questa comunità non si aspetta
concessioni.
Puntano a fondare uno Stato autonomo. La diffidenza
nei loro confronti è parecchia: alcuni dell'opposizione accusano il Pyd
di sostenere Damasco, sbarrando la strada all'avanzata degli insorti e,
in generale, i curdi di voler dividere la Siria. E poi c'è il petrolio
di Rumailan, in Hassakeh, che fa gola a tutti i contendenti e adesso è
sotto il controllo delle milizie curde.
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