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20/06/2013

I curdi ritagliano la loro autonomia nella Siria in fiamme

Le bandiere rosse, bianche e verdi, con un sole al centro, che sventolano sulle case e sui palazzi dei villaggi curdi in Siria, nelle aree nord-orientali, sono il segno evidente di un vuoto politico che la comunità curda sta colmando, approfittando del caos causato da oltre due anni di conflitto.

Libertà inconcepibili quando Bashar al Assad aveva il pieno controllo del paese, adesso sono esercitate alla luce del giorno: parlare curdo per strada, ostentare la propria cultura fino alle targhe delle macchine con la dicitura "Kurdistan occidentale", una propria forza di sicurezza (Asayish) in cui sono reclutate anche le donne.

I curdi, fa notare il giornalista Bassem Mroue della Associated Press, si sono ritagliati uno spazio autonomo e, tra loro, in tanti auspicano che la Siria del dopo-Assad sia uno Stato federale con una regione curda indipendente, alla stregua di quanto accaduto nel vicino Iraq.

Per Asia Abdullah, co-segretario del Partito dell'unione democratica (Pyd), frangia siriana del Pkk, è già una realtà. In un'intervista al sito KurdNet, parla del "Kurdistan occidentale" come di una "entità ufficiale, democratica e indipendente", istituita senza ricorrere a sostegni esterni. E poi ammonisce chiunque pensi di intromettersi negli affari interni di questa nuova entità: "Il futuro della Siria non è chiaro e noi curdi dobbiamo essere pronti a ogni sorta di scenario, ma non permetteremo a nessuno di venire a comandare nel Kurdistan occidentale di nuovo, è la linea rossa che non deve essere oltrepassata".

La guerra siriana potrebbe evolversi in diverse direzioni, dipenderà anche dagli equilibri e dalle scelte delle potenze regionali e occidentali, e pure il destino della comunità curda siriana, che rappresenta il dieci per cento dei 23 milioni di abitanti, è legato a questioni regionali che travalicano i confini dell'autoproclamato Kurdistan occidentale e della stessa Siria.

Uno stato autonomo, seppure all'interno di una federazione, rafforzerebbe le istanze indipendentiste dei 25 milioni di curdi divisi tra Turchia, Iran, Siria e Iraq, con un impatto regionale non prevedibile.

Quello che sta accadendo nelle povere regioni nord-orientali, dove però ci sono aree petrolifere come quella di Hassakeh, è una sorta di rivoluzione parallela a quella siriana, che apparentemente ha come antagonisti dei curdi entrambi gli attori della rivolta: Assad e gli insorti.

Damasco ha tentato, in parte riuscendoci, soprattutto all'inizio delle proteste, di ingraziarsi la comunità concedendo la cittadinanza siriana a 200.000 curdi che erano considerati stranieri nella terra in cui sono nati. Concessioni che però non cancellano la politica discriminatoria nei confronti di questa minoranza, tradottasi spesso nella negazione, assieme alla cittadinanza, del diritto al lavoro e all'istruzione.

Sotto Assad era proibito insegnare il curdo o celebrare le festività curde, e gli attivisti erano imprigionati. Non c'è dunque da fidarsi e, infatti, molti curdi hanno partecipato alle proteste.

Ma la comunità non si fida neanche degli insorti nelle cui file, in particolare al Nord, sono reclutati molti islamisti, ad esempio il gruppo Jabhat al-Nusra, vicino ad al Qaida. La distanza culturale tra i curdi, più laici, e le milizie sunnite più estremiste è sfociata in scontri armati, che rischiano di inserire un conflitto etnico, arabi contro curdi, in quello settario che da due anni contrappone, genericamente, i sunniti e gli alawiti, sostenuti dagli sciiti. La cittadina a maggioranza curda di Afrin, a nord-ovest di Aleppo, è presa d'assedio dagli insorti che si sono visti negare il passaggio dalle milizie curde: l'Osservatorio siriano dei diritti umani ha denunciato la carenza di cibo e farmaci per la popolazione che nell'ultimo anno è aumentata molto con l'arrivo di migliaia di sfollati.

Scontri e diffidenze che la dicono lunga sul ruolo dei curdi nella guerra siriana. Non hanno preso parte in maniera massiccia e decisa alla rivolta, preoccupati che la fine del regime decreti la salita al potere di fazioni islamiche estremiste da cui questa comunità non si aspetta concessioni.

Puntano a fondare uno Stato autonomo. La diffidenza nei loro confronti è parecchia: alcuni dell'opposizione accusano il Pyd di sostenere Damasco, sbarrando la strada all'avanzata degli insorti e, in generale, i curdi di voler dividere la Siria. E poi c'è il petrolio di Rumailan, in Hassakeh, che fa gola a tutti i contendenti e adesso è sotto il controllo delle milizie curde.

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