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21/06/2013

Scoppia la bolla, tutti giù per terra...

La bolla sta esplodendo. Quale bolla? L'unica che conta davvero, quella delle attività finanziarie denominate in dollari.

Il che si porta dietro tutte le altre “bollette” fin qui tenute gonfie soltanto dalle “iniezioni di liquidità” della Federal Reserve statunitense e da quelle – rilevanti per gli emittenti, ma comunque minori – delle altre principali banche centrali.

Il “botto” di ieri su tutte le principali borse del pianeta è stato di quelli che segnano un cambio di stagione. -2,34% a Wall Street (fronte Dow Jones), -3 a Londra e Milano, -3,66 a Parigi, -3,28 anche a Francoforte; una fuga di massa dei capitali dal “rischio”, ovvero dalle borse.

Non ci era voluto molto a capirlo, dopo che Ben Bernanke – presidente della Fed ormai prossimo all'uscita di scena – aveva spiegato con inconsueta chiarezza l'intenzione di cessare con i regali in moneta sonante già all'inizio del prossimo anno se – e si tratta di un “se” molto controverso – l'occupazione statunitense scenderà al 6,5%.

È inutile discutere, come fanno molti analisti sui giornali di oggi, se il linguaggio usato sia stato criptico come al solito o un po' meno. “I mercati” sanno ormai leggere dietro le sfumature e le virgole di discorsi ritualizzati, come pure sono quelli dei banchieri centrali. Sanno leggere perché, soprattutto, i dati reali sono sotto gli occhi di tutti: l'economia globale è “ferma” (concetto da interpretare in modo differente da un'area monetaria all'altra, ma globalmente così è) e la finanza globale ha continuato, anzi ripreso, la sua folle corsa alla speculazione solo grazie ai soldi concessi dalle banche centrali.

Il fenomeno è comunemente descritto così: la nuova “liquidità” emessa non defluisce verso l'economia reale, ma resta nelle banche private.

E perché dovrebbe “defluire” via? Le banche sistemiche stanno ancora affrontando il “deleveraging” imposto dall'esplosione 2007-2008. Che vuole dire? Fin lì avevano usato una “leva” finanziaria decisamente eccessiva; ovvero avevano concesso una quantità di prestiti quasi senza più rapporto con il loro patrimonio netto (soldi realmente in cassa, proprietà immobiliari, partecipazioni azionarie, ecc). Si erano “protette” dai rischi connessi a questa “esposizione” generando quantità altrettanto inconcepibili di “prodotti finanziari derivati”, con un prezzo slegato da qualsiasi riferimento concreto o almeno da un riferimento rintracciabile. Debito su debito, titoli “garantiti” da altri titoli, montagne di carta straccia che sono andate crescendo fuori di ogni controllo, su mercati “over the counter”, fuori da ogni regola borsistica (che già sono fin troppo lasche).

Il programma di quantitative easing che Bernanke sta gestendo da ottobre prevede acquisti di questa carta straccia per 85 miliardi di dollari al mese. Carta straccia pagata con dollari americani nuovi di zecca (in realtà moneta elettronica, righe di codice), buoni da spendere subito per qualsiasi attività. Questo è il “deleveraging” che rimette in sesto i bilanci.

Ma le stesse banche hanno usato questo “miglioramento” patrimoniale per “garantire” nuovi titoli derivati, per aprire nuove “attività rischiose” ma potenzialmente molto redditizie (se poi ti garantiscono le banche centrali, puoi giocare come i bambini in una piscina di marmellata). Facendo insomma ricrescere la montagna della carta straccia.

Del resto, trasferire anche solo una parte della nuova liquidità all'”economia reale” non avrebbe per loro senso. La produzione fisica (compresa quella presuntamente “immateriale” di alcuni servizi informatici o informatizzati) ha margini di redditività assai bassi, tempi di rotazione del capitale (dal momento dell'investimento a quello del ricavo) assai lunghi e comunque non paragonabili a quelli istantanei degli scambi elettronici sulle piazze globali. Anche le merci fisiche più indispensabili (dall'abbigliamento al cibo, dall'energia all'auto, ecc.) soffrono ormai da anni di eccesso di produzione di fronte a una domanda invece addirittura in calo nei paesi più avanzati e storicamente approdati al “consumismo” di massa. Negli altri la “domanda solvibile” (gente con redditi sufficienti a fare acquisti) non è tale da garantire l'assorbimento del prodotto (Cina a parte, ma con problemi ormai evidenti anche lì). Gli investimenti industriali calano, non c'è necessità di “finanziarli”.

Si chiama “sovrapproduzione di capitale” (ricordiamo sempre che significa “soldi, mezzi di produzione, merci, persone, ecc.). Il capitalismo “reale” è incagliato in queste sabbie mobili, e non da ora. Aveva supplito con l'espansione del credito (del debito, dunque) e la finanziarizzazione globale. La crisi del 2007-8 aveva annullato in parte anche questa “dinamicità sostitutiva” e solo il soccorso delle finanze pubbliche globali aveva garantito la “stabilità” del sistema finanziario (con qualche dolorosa pedita, come Lehmann Brothers). Subito dopo sono entrate in crisi le finanze pubbliche, dando origine a quel “risanamento” che stiamo pagando con la distruzione del “modello sociale europeo” e il più massiccio trasferimento di liquidità mai visto dai redditi da lavoro alle banche. Nemmeno questo però bastava, e allora ecco le “iniezioni di liquidità”... che ora volgono alla fine.

E dopo?

A noi il gioco sembra finito, ma sappiamo di avere meno “fantasia” dei prestigiatori... Paradossalmente, ma non troppo, proprio la gigantesca “correzione” (crollo dei valori e fuga dei capitali) partita ieri sui mercati potrebbe provocare nuovi disastri nell'economia reale già a pezzi; e quindi far allontanare quell'obiettivo – disoccupazione interna Usa al 6,5%
che la Fed considera “dead line” per le attuali iniezioni di liquidità. Costringendola insomma a prolungare la manna qualche mese in più...

Può essere, naturalmente. Ma proprio questo fa emergere come ultimo “baluardo” di stabilità... il dollaro. Ovvero la sua “stampabilità” ad libitum. Ma vi sembra credibile una moneta – una “divisa”
usata come l'eroina?

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