di Michele Paris
Nel corso di
una delle audizioni promosse in questi giorni dal Congresso americano
per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle reali implicazioni
dei programmi di intercettazione messi in atto dall’NSA, il direttore
dell’FBI, Robert Mueller, ha per la prima volta ammesso l’utilizzo di
droni sul territorio degli Stati Uniti con funzioni di sorveglianza.
Durante
la sua testimonianza di fronte alla commissione Giustizia del Senato,
il capo della polizia federale americana ha risposto affermativamente ad
una domanda postagli dal senatore repubblicano dell’Iowa, Chuck
Grassley, sul ricorso ai droni da parte dell’FBI. Quando, subito dopo,
la senatrice democratica della California, Dianne Feinstein, ha chiesto a
Mueller di chiarire la sua affermazione, quest’ultimo ha aggiunto che i
droni negli USA “vengono usati molto raramente e in genere in caso di
particolari incidenti nei quali si rendono necessarie le capacità” di
questi strumenti.
Senza fornire esempi di questi “incidenti”,
Mueller ha poi spiegato ai membri del Congresso che l’FBI sta elaborando
delle linee guida per l’uso dei droni in territorio americano, anche se
“alcune leggi sulla sorveglianza aerea e sulla privacy relativamente a
elicotteri e piccoli velivoli potrebbero essere adattate ai droni”.
Dalle parole di Mueller appare perciò chiaro come l’impiego di droni nei
cieli USA venga attualmente deciso al di fuori di ogni regolamentazione
legale. Un’eventuale legislazione che il numero uno dell’FBI ha detto
di auspicare nel prossimo futuro, peraltro, servirebbe soltanto a dare
una parvenza di legittimità ad una pratica gravemente lesiva della
privacy e ancora una volta contraria ai principi costituzionali.
Per
prevenire ovvie polemiche, lo stesso “Bureau” dopo la testimonianza di
Mueller ha diffuso una dichiarazione ufficiale, spiegando che “i droni
sono consentiti per ottenere informazioni cruciali che, diversamente,
potrebbero essere reperite solo mettendo a rischio il personale di
polizia”. Come esempio dell’uso fatto finora, l’FBI ha poi fatto
riferimento ad un episodio accaduto quest’anno in Alabama, nel quale le
forze di polizia, grazie ad un drone, sono venute a conoscenza di un
nascondiglio dove veniva tenuto nascosto un ostaggio di 5 anni.
L’FBI,
infine, ha fatto sapere che per il momento ogni operazione condotta con
i droni sul suolo americano viene preventivamente approvata dalla
Federal Aviation Administration (FAA), l’agenzia federale che regola e
sovrintende all’aviazione civile negli Stati Uniti.
Come per i
programmi di sorveglianza elettronica dell’NSA rivelati in questi giorni
dall’ex contractor Edward Snowden, il governo americano giustifica
ufficialmente anche l’uso dei droni con la necessità di avere a
disposizione strumenti più efficaci per combattere la criminalità o la
minaccia terroristica. Questi velivoli, tuttavia, forniscono uno
strumento di controllo formidabile della vita e dell’attività di
qualsiasi cittadino che venga considerato una “minaccia” per il paese.
Ugualmente,
come la presunta legalità dei programmi dell’NSA si basa in gran parte
sulle deliberazioni del cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza
dell’Intelligence Straniera (FISC), il quale opera in gran segreto
assecondando ogni richiesta di intercettazione del governo, il ricorso
ai droni avverrebbe solo dopo l’autorizzazione di un ente federale
amministrativo come l’FAA. Questo espediente, a detta del direttore
dell’FBI, sarebbe sufficiente a garantire la legittimità del programma.
Il
tentativo di Mueller di minimizzare l’impiego dei droni con funzioni di
sorveglianza negli Stati Uniti è comunque da considerare con estremo
sospetto, visto che, quanto meno, a inizio anno l’FAA aveva fatto sapere
di avere approvato in meno di sei anni quasi 1500 richieste di vari
enti per operare questo genere di velivoli.
Da quanto si evince
da alcune indagini giornalistiche e sparute dichiarazioni di politici o
amministratori locali, l’uso dei droni in territorio americano viene
oggi già consentito per i più svariati motivi, tra cui il monitoraggio
del confine con il Messico per combattere l’immigrazione clandestina.
Gli
Stati Uniti potrebbero però venire invasi a breve da un numero
elevatissimo di droni, in gran parte con compiti di sorveglianza, dopo
che il Congresso ha fissato al settembre 2015 l’apertura dei cieli a
velivoli comandati a distanza che consentono un risparmio notevole di
costi per le agenzie governative e per i singoli Stati. Entro questa
data, l’FAA dovrà preparare un sistema di regolamentazione complessivo
relativamente ai droni per uso domestico.
Significativamente poi,
anche per i droni, come per i programmi di sorveglianza e
intercettazione, il banco di prova per l’utilizzo domestico sono state
le guerre condotte dagli Stati Uniti all’estero, in particolare in
Pakistan e in Yemen dove questi strumenti di morte hanno causato
migliaia di vittime civili.
Metodi di controllo e di repressione
violenta di ogni forma di resistenza contro l’occupazione americana di
un paese straniero oppure di rivolte contro regimi autoritari collusi
con l’imperialismo di Washington, verranno perciò messi in atto con
maggiore frequenza anche in patria per contrastare un dissenso interno
destinato a crescere nel prossimo futuro con l’aumentare delle tensioni
sociali.
Le dichiarazioni rilasciate mercoledì da Mueller, in
ogni caso, potrebbero essere state orchestrate appositamente per
prevenire lo shock di possibili nuove pubblicazioni di documenti passati
da Snowden al quotidiano britannico Guardian proprio sull’uso dei droni negli USA con funzioni di sorveglianza.
Più
in generale, l’intervento al Congresso del direttore dell’FBI, così
come nei giorni precedenti di altre personalità dell’apparato di
sicurezza degli Stati Uniti, a cominciare dal capo dell’NSA, generale
Keith Alexander, fa parte della campagna in atto per difendere
strenuamente il ricorso a programmi di sorveglianza palesemente
illegali.
Lo
zelo con cui i politici di entrambi gli schieramenti e gran parte dei
media “mainstream” stanno cercando di giustificare la violazione
sistematica dei principi costituzionali degli Stati Uniti e della
privacy dei cittadini di tutto il mondo dimostrano il panico diffuso tra
la classe dirigente americana dopo le rivelazioni di Snowden.
La
tesi sostenuta a oltranza della necessità di accettare una trascurabile
invasione della sfera privata per vivere in un paese sicuro serve
infatti a nascondere la realtà di un governo sempre più autoritario e
invasivo che può continuare a mettere in atto politiche profondamente
impopolari sia sul fronte domestico che internazionale solo grazie
all’inganno, alla segretezza e, appunto, all’adozione di colossali
programmi di sorveglianza per reprimere il dissenso.
Lo stesso
presidente Obama, perciò, è da giorni in prima linea nel propagandare la
presunta legalità dell’operato di agenzie come l’NSA. Sia alla vigilia
della sua partenza per il G8 in Irlanda del Nord, sia durante la
recentissima visita a Berlino, l’inquilino della Casa Bianca si è
sentito in dovere di difendere pubblicamente le intercettazioni e i
programmi di sorveglianza.
Obama li ha così definiti strumenti
fondamentali nella “guerra al terrore”, come dimostrerebbero i circa 50
attentati che essi, secondo la versione offerta al pubblico, hanno
permesso di sventare negli ultimi anni. Ironicamente, le parole del
presidente sono giunte solo pochi giorni dopo l’annuncio di un maggiore
coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto in Siria. Questa
decisione si concretizzerà nella fornitura di armi letali proprio a
formazioni dominate da gruppi terroristici, i quali, d’altra parte, da
tempo vengono considerati alternativamente nemici o partner più o meno
ufficiali a seconda delle necessità degli interessi strategici di
Washington.
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