di Mario Lombardo
Alla recente
pubblicazione di documenti riservati che descrivono i programmi di
monitoraggio delle comunicazioni elettroniche di virtualmente tutto il
pianeta, messi in atto dai vari organi dell’apparato di sicurezza
degli Stati Uniti, si sono accompagnate in questi giorni altre
rivelazioni che confermano come il governo di Washington stia procedendo
a passo spedito verso la schedatura della maggior parte della
popolazione americana al fine di controllare e reprimere ogni forma di
dissenso.
In particolare, due ricerche apparse nei giorni scorsi
su altrettanti giornali d’oltreoceano hanno alzato il velo sulla
raccolta sistematica di campioni di DNA di persone non necessariamente
sospettate di un qualche crimine e di immagini di individui da inserire
in un sempre più sofisticato programma di riconoscimento facciale a cui
possono attingere le autorità di polizia nell’ambito di qualsiasi
indagine.
L’attenzione su quest’ultimo programma condotto in
maniera silenziosa da vari stati americani è stata portata da un
articolo pubblicato lunedì dal Washington Post. Il database a
disposizione delle autorità statali conserva oggi oltre 120 milioni di
volti di persone, le cui immagini sono state in gran parte raccolte in
relazione al rilascio di patenti di guida, ufficialmente per prevenire o
risolvere frodi in questo ambito.
Le fotografie riportate sui
documenti di identità vengono così acquisite dalle autorità e
archiviate. Le immagini, tuttavia, possono essere ottenute anche in
seguito al semplice fermo di una persona per il solo controllo dei
documenti. In varie indagini, inoltre, le forze di polizia hanno
ricavato immagini personali dai social network per poi inserirle in un
programma di riconoscimento facciale con l’obiettivo di identificare i
sospettati di un determinato crimine.
Come ha sottolineato il Washington Post,
l’utilizzo di queste tecniche non risponde più soltanto a esigenze
investigative, dal momento che nei database finiscono spesso “immagini
di persone che non sono mai state arrestate”, i cui volti entrano
comunque a far parte di una “raccolta digitale perpetua”. Ad essa, l’FBI
e altre autorità federali possono così accedere facilmente e da
qualsiasi località tramite un personal computer.
Attualmente,
gli Stati che utilizzano tecnologie di riconoscimento facciale per i
propri registri delle patenti di guida sono 37, di cui almeno 26
consentono alle autorità di polizia federali, statali e locali di
accedervi per cercare eventuali corrispondenze con persone sotto
indagine.
L’attuale livello tecnologico non sembra garantire in
molti casi un riconoscimento definitivo, soprattutto se la qualità
dell’immagine a disposizione delle autorità non è ottimale, ma sarebbero
già allo studio nuovi software che permettono un’identificazione
precisa anche quando, ad esempio, un individuo entra per pochi secondi
nell’inquadratura di una telecamera di sorveglianza oppure in caso di
leggere variazioni dell’aspetto fisico.
Alcuni Stati per il
momento impediscono alle autorità di polizia di fare ricerche nei
database dei registri automobilistici ma la tendenza generale va in
direzione esattamente opposta. Tanto più che la legge sull’immigrazione
all’esame del Congresso proprio in questi giorni prevede, secondo il Washington Post,
“la drammatica espansione dei sistemi elettronici di verifica
fotografica, verosimilmente grazie all’accesso ai registri delle patenti
di guida”.
In definitiva, il quadro legale in questo ambito
risulta del tutto insufficiente e, come per la gigantesca banca dati
delle comunicazioni elettroniche monitorate dalla NSA, l’utilizzo della
tecnologia per il riconoscimento facciale da parte delle autorità va ben
oltre le esigenze investigative su determinati crimini. Questo
programma, infatti, potrebbe essere utilizzato, e con ogni probabilità
viene già usato, in occasione di manifestazioni di protesta
anti-governative, di scioperi o altri eventi di massa, durante i quali
le immagini dei partecipanti possono essere raccolte da agenti di
sicurezza o da telecamere di sorveglianza per essere poi conservate in
un database nazionale a disposizione delle forze di polizia.
Come conferma l’articolo del Washington Post,
d’altra parte, i programmi di riconoscimento facciale operano
all’interno di archivi ben più consistenti di quello prodotto dai
registri automobilistici dei vari Stati. L’archivio più grande è quello
del Dipartimento di Stato, il quale raccoglie circa 230 milioni di
immagini di cittadini americani in possesso di un passaporto e di
stranieri che hanno richiesto un visto d’ingresso negli USA.
Complessivamente,
gli uffici dei registri automobilistici, il Dipartimento di Stato, il
sistema giudiziario, l’FBI e il Pentagono conservano qualcosa come 400
milioni di volti di americani e di cittadini di altri paesi. Queste
immagini sono state ottenute in grandissima parte in violazione del
Quarto Emendamento della Costituzione USA, senza cioè che le persone
ritratte abbiano commesso alcun crimine e senza essere state informate
dalle autorità americane.
L’altro programma di schedatura della
popolazione, come già anticipato, è quello della raccolta del DNA. In
questo caso era stato il New York Times a descrivere la scorsa
settimana come le varie autorità di polizia del paese stiano da qualche
tempo procedendo alla creazione di un vasto archivio in cui finiscono a
tempo indeterminato campioni di DNA non solo di persone indagate per un
crimine ma, in alcuni casi, anche di testimoni o addirittura vittime, il
tutto a loro insaputa.
A preoccupare sono soprattutto le nuove
banche dati di DNA create dalle forze di polizia locali, le quali
operano pressoché in totale libertà e senza rispettare i diritti dei
cittadini, al contrario degli archivi statali e federali, definiti dal NYT “altamente regolamentati”.
I
numeri nel caso del DNA sono inferiori rispetto alle immagini della
banca dati per il riconoscimento facciale, anche se in alcuni casi
tutt’altro che trascurabili. La città di New York, ad esempio, possiede
un database con 11 mila campioni, mentre l’ufficio del procuratore
distrettuale della contea di Orange, in California, può vantarne più di
90 mila. Secondo una ricerca dell’Electronic Privacy Information Center
il cosiddetto Combined DNA Indexing System - il database creato
dall’FBI - è aumentato notevolmente negli ultimi anni e a livello
nazionale contiene ora più di 11 milioni di profili.
Questi
numeri aumenteranno vertiginosamente nel prossimo futuro grazie anche ad
una sentenza della Corte Suprema di qualche giorno fa che rappresenta
un nuovo aperto attacco ai diritti costituzionali degli americani. Il
più importante tribunale degli Stati Uniti ha cioè approvato la raccolta
di DNA di individui fermati dalla polizia e non ancora condannati,
nonché la conservazione dei campioni e l’utilizzo in indagini di casi
irrisolti, in relazione ai quali essi non sono sospettati.
Per il
giudice Anthony Kennedy, che ha scritto il verdetto, l’ottenimento del
DNA è una procedura compatibile con il dettato del Quarto Emendamento e
sarebbe una pratica assimilabile, ad esempio, alla raccolta delle
impronte digitali. Per il giudice di estrema destra Antonin Scalia che
ha votato con la minoranza della Corte, invece, in seguito al verdetto
nel caso Maryland contro King “il DNA potrà essere raccolto e inserito
in una banca dati nazionale nell’eventualità che si venga arrestati,
giustamente o meno, per qualsiasi ragione”, compresa la partecipazione
ad una manifestazione contro il governo.
DNA e riconoscimento
facciale, quindi, sono parte integrante dei programmi messi in atto da
almeno un decennio dal governo americano con il pretesto della lotta al
terrorismo e alla criminalità, ma in realtà destinati al controllo
pervasivo di una popolazione sempre meno disponibile ad accettare in
maniera passiva le politiche impopolari di una classe dirigente
ampiamente screditata ed espressione unica della ristretta oligarchia
economico e finanziaria che decide le sorti del paese.
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