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13/06/2013

Il mondo di Epifani. Alle amministrative votano solo gli elettori del Pd

Per i collezionisti del D'Alema d'annata, ai tempi della bicamerale, troviamo una risposta precisa ad una altrettanto precisa domanda di un giornalista. Al giornalista televisivo che chiedeva se D'Alema, all'epoca non ancora presidente del consiglio, non  fosse preoccupato per l'emergere dell'astensione (in forma incomparabile con quella delle ultime amministrative) l'allora segretario del Pds rispose: "nelle democrazie mature è normale [calcando l'accento sulla sua parola totem, ndr] che si vada a votare di meno".

Tutto normale quindi se si segue il D'Alema della seconda metà degli anni '90. Ma anche i già consolidati schemi del centrosinistra. Sempre in quel periodo, frutto di una astensione anomala, il centrosinistra conquistò la provincia di Palermo. Seguirono complimenti reciproci tra i membri del centrosinistra. Un paio di giornali d'area provarono a sottolineare l'astensione record per l'epoca, oggi norma alle amministrative, ma non seguì mai riflessione su questo fenomeno. Il motivo è semplice: governare i territori, concezione frutto della vecchia società fordista e disciplinare, non interessa a nessuno. Per governarli, per disciplinare la popolazione come forza produttiva, c'è bisogno di una alta partecipazione alle urne. Ci deve essere consenso, e convinto, a procedure e politiche che poi si occuperanno direttamente della popolazione. Al di là della propaganda, la vittoria alle amministrative ha oggi altri scopi: una cordata, con pochi e mirati obiettivi, si impadronisce delle residue risorse pubbliche a livello locale. Poi deve rispondere agli sponsor che l'hanno promossa, alle logiche di spartizione etc. Le politiche di rigenerazione urbana, le nuove direttrici di sviluppo scompaiono presto dopo la campagna elettorale. Nemmeno le retoriche della sicurezza, in questo contesto, fanno presa più di tanto. Dopo le elezioni sui territori subentra la routine: privatizzare, seguire le indicazioni del patto di stabilità, gestire qualche fatto eclatante.

L'interesse al governo dei territori può essere un grosso problema: può emergere troppo facilmente che l'amministrazione pubblica non è in grado di tutelare che pochi interessi privati e ritirarsi dai servizi pubblici. Ben venga quindi un'astensione mostruosa. Come a Roma dove ha votato poco più del 44 per cento degli aventi diritto, oltre trenta punti in meno delle ultime amministrative. O come a Pisa dove il sindaco è stato eletto al primo turno ma grazie ad un calo del 30 per cento degli elettori rispetto all'ultima tornata amministrativa. Tutto questo "amministrare" pare oggi interessi solo gli elettori di centrosinistra. Per fare un esempio: Rutelli nel 2008 subì una sconfitta storica da Alemanno prendendo poco più di 670 mila voti nel comune di Roma. Oggi con 5 mila voti in meno del Rutelli del 2008, Ignazio Marino ha trionfato con una percentuale superiore al 60 per cento dei voti. E' rimasto in piedi l'elettorato di centrosinistra, eroso e minoritario, che diviene maggioritario nella fuga di massa dalla politica istituzionale.

Ma chi continua a votare Pd, con autentico sprezzo del ridicolo? Prima di tutto dobbiamo dire che si tratta di un voto spontaneo. Il processo di disciplinamento del partito non c'è, i gruppi di interesse legati concretamente alla politica riguardano sempre meno persone e le iniziative di propaganda sul territorio sono poco, a parte le eccezioni, affollate e partecipate. C'è uno zoccolo duro di pensionati, oggi una fascia strategica di elettorato, disciplinato nei decenni precedenti che vota, e vota centrosinistra, a prescindere da ogni evidenza e per ogni candidato. Minore, rispetto al passato, la fascia dei newcomer (che invece vanno verso Grillo, alle politiche, o verso l'astensione), ancora forte pubblico impiego e scuola. Nell'illusione, residuo del legame fiduciario del passato, che il centrosinistra "metta le cose a posto" sui territori. C'è poi una fascia di professionisti, in parte per interesse e in parte per dare identità ai processi di gentrification di cui è protagonista, che vota centrosinistra o Pd. Quello che accadrà nelle amministrazioni appena elette lo sappiamo tutti: tra patto di stabilità e privatizzazioni questa nuova ondata di amministratori (poi non tanto nuova: Enzo Bianco faceva il sindaco a Catania già 20 anni fa) al massimo potrà intrattenere i propri elettori con qualche operazione di marketing. Non ci sarà alcun margine, ed è impossibile nel centrosinistra, per modelli di sviluppo territoriali basati sull'inversione del declino. Una delle priorità politiche del futuro sarà quindi quella di aggredire questo informe aggregato elettorale del Pd, senza idee, senza prospettive ma operativo sul piano elettorale. Facendo in modo che non rechi altri danni al paese.

L'altra è guardare alla fuga di massa dalla politica istituzionale dei territori. Venti anni fa, alla fine della prima repubblica, furono proprio le tornate amministrative ad attirare quel consenso di massa per la costituzione degli schieramenti politici della seconda repubblica. Oggi, alla fine della seconda, sta accadendo il contrario. Tornano di nuovo utili le riflessioni di Colin Crouch sulla postdemocrazia, sull'irreversibilità della fuga di massa dalla politica istituzionale e non?
Nessuna delle forze attualmente in campo (dal centrodestra, alla Lega al Movimento 5 stelle) è riuscita nell'impresa di invertire il processo di fuga dalla politica. I movimenti, al di là delle lodevoli intenzioni, sono ampiamente minoritari. E' la fine della politica di massa?
Di sicuro, il silenzio dell'astensione piace ad Epifani. Sta accadendo qualcosa di favorevole al processo di dismissione del paese, che vede il Pd protagonista. Sta ai nuovi soggetti della politica creare, per Epifani, quel clima di sano dispiacere. Clima che è salute per tutti.

redazione

12 giugno 2013

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