di Mario Lombardo
Le rivelazioni
dell’ex contractor della CIA e dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale
americana (NSA), Edward Joseph Snowden, sui programmi di intercettazione
delle comunicazioni elettroniche di centinaia di milioni di persone da
parte del governo di Washington, così come le sue dichiarazioni
rilasciate al Guardian da Hong Kong e pubblicate nella giornata
di domenica, contribuiscono in maniera decisiva a fare luce sulla vera
natura del sistema politico e giudiziario degli Stati Uniti a oltre
dieci anni dall’inaugurazione della cosiddetta “guerra al terrore” e a
poco meno di cinque dall’esplosione della più grave crisi del
capitalismo dalla Grande Depressione degli anni Trenta del secolo
scorso.
Il 29enne dipendente della compagnia Booz Allen Hamilton -
appaltatrice del governo americano per la fornitura di servizi di
intelligence presso la quale, ironicamente, era impiegato lo stesso
direttore dell’Intelligence Nazionale, James Clapper - ha infatti reso
un servizio di inestimabile valore alla popolazione statunitense e non
solo, rivelando alcuni dei mezzi impiegati dagli USA per giungere ad una
sorveglianza capillare e pervasiva dei propri cittadini e di quelli di
altri paesi, con il fine ultimo di controllare e reprimere ogni forma di
dissenso.
Le rivelazioni pubblicate nei giorni scorsi dal Guardian e dal Washington Post
hanno consentito inoltre di mostrare il vero volto della politica
americana, sia nell’incarnazione repubblicana che democratica,
interamente dedita alla conservazione di una ristretta élite economica e
finanziaria con interessi globali e priva ormai di qualsiasi riguardo
per i principi democratici fissati nella Costituzione degli Stati Uniti.
La
pubblicazione dei dettagli relativi al monitoraggio delle comunicazioni
dei clienti della compagnia telefonica Verizon e del programma PRISM,
con cui l’NSA ha di fatto libero accesso ai dati web degli utenti di
compagnie come Facebook o Google, è stata seguita da dichiarazioni
ufficiali di esponenti dell’amministrazione Obama e del presidente
stesso che non solo hanno puntato il dito contro i responsabili
di un’imprudente rivelazione di segreti che metterebbero a rischio la
sicurezza nazionale, ma hanno anche difeso senza indugi misure che
violano deliberatamente la privacy e i diritti democratici di ogni
cittadino.
L’inquilino della Casa Bianca ha così ricordato agli
americani che non è possibile “avere il 100 per cento della sicurezza e
il 100 per cento della privacy senza inconvenienti”. In maniera ancora
più preoccupante, Obama ha poi garantito la piena legalità dei programmi
di monitoraggio e intercettazione condotti segretamente dall’NSA,
basando la sua affermazione sul fatto che tutte le istituzioni che
rappresentano i tre poteri dello Stato sono a conoscenza di essi o hanno
un ruolo attivo nella loro implementazione.
Il governo, quindi,
non ha mano libera nell’invadere la privacy degli americani, poiché il
Congresso è continuamente informato di ciò che accade all’NSA e un
apposito tribunale che opera in gran segreto - il cosiddetto Tribunale
per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC) - approva ogni
richiesta di intercettazione. Questa tesi, che tecnicamente corrisponde
al vero, manca però di evidenziare come ognuno di questi atti continui
ad essere condotto nella più totale segretezza, senza che gli americani
siano stati informati o abbiano avuto la possibilità di discutere
pubblicamente sulle relative implicazioni, mettendo di fatto in crisi
anche la residua parvenza di democrazia che caratterizza l’odierno
sistema rappresentativo degli Stati Uniti.
Ciò che Obama, già
docente di diritto costituzionale, ha definito una “modesta intrusione”
nella privacy dei cittadini con il consenso del Congresso e dei giudici
federali corrisponde in realtà ad una flagrante violazione dei diritti
democratici, in particolare del Quarto Emendamento alla Costituzione che
protegge da perquisizioni e confische senza una valida ragione.
Oltretutto, la raccolta indiscriminata di dati relativi alle
comunicazioni elettroniche dei cittadini e al loro traffico in rete
rientra in un disegno volto a creare una gigantesca banca dati che
raccolga informazioni sul maggior numero di persone possibile.
Come se non bastasse, le rivelazioni di Guardian e Washington Post
hanno seguito di meno di una settimana una sentenza della Corte Suprema
che sembra andare nella stessa direzione e che ha trovato relativamente
poco spazio sui media d’oltreoceano e ancora meno da questa parte
dell’Atlantico. Il supremo tribunale americano, coerentemente con il
progressivo smantellamento delle garanzie costituzionali operato in
questi anni dai nove giudici guidati dal presidente John G. Roberts, ha
dato cioè il via libera alla raccolta di campioni di DNA di persone che
semplicemente verranno sottoposte a fermo di polizia, di fatto anche per
avere partecipato a manifestazioni di protesta contro il governo.
Questi campioni potranno essere conservati e utilizzati sia per la
risoluzione di crimini per i quali i proprietari non sono sospettati sia
per facilitare le indagini su possibili futuri reati di qualsiasi
natura.
Per quanto riguarda il livello di violazione della
privacy sul fronte delle comunicazioni elettroniche è stato lo stesso
Snowden a chiarire fino a che punto il governo si stia spingendo nel
controllo dei propri cittadini. Nell’intervista rilasciata a Glenn
Greenwald del Guardian, Snowden ha definito il programma di sorveglianza
dell’NSA “l’architettura dell’oppressione”, volta a “conoscere ogni
conversazione e ogni genere di comportamento”.
Ancora, la fonte
delle recenti rivelazioni ha spiegato che “l’NSA ha costruito una
struttura che, in pratica, consente di intercettare qualsiasi cosa”, in
modo che “la gran parte delle comunicazioni umane venga automaticamente
acquisita senza un obiettivo specifico”. Di fronte ad una struttura con
“capacità terrificanti”, aggiunge Snowden, “non si è al sicuro con
nessun genere di precauzione”.
Una simile struttura inglobata
nell’apparato della sicurezza nazionale americana solleva inquietanti
interrogativi sulle finalità del governo americano e sulla definizione
stessa di “nemico” adottata da una classe politica che nell’ultimo
decennio ha sfruttato la minaccia terroristica in funzione della
promozione o della difesa degli interessi dell’oligarchia
economico-finanziaria di cui è espressione.
Il
fatto che il governo degli Stati Uniti abbia accumulato una serie di
prerogative senza precedenti - che vanno dalla sorveglianza di
virtualmente tutta la popolazione all’imposizione dello stato d’assedio
di intere città con la sospensione dei diritti costituzionali (come è
accaduto a Boston all’indomani dell’attentato alla maratona nel mese di
aprile), dalla detenzione indefinita senza prove o processo
all’assassinio extra-giudiziario di chiunque venga considerato una
minaccia per il paese - ufficialmente per contrastare un avversario,
come l’integralismo islamista, che rappresenta alternativamente una
minaccia da estirpare (Afghanistan, Iraq) o un alleato (Libia, Siria) e
con cui la CIA e i militari continuano ad intrattenere rapporti ambigui -
indica perciò come il timore diffuso negli ambienti di potere sia in
realtà motivato da ben altro.
La vera minaccia che la classe
dirigente degli Stati Uniti intende prevenire e combattere è
rappresentata infatti dalla gran parte dei cittadini americani che è
soggetta ad una colossale operazione di controllo e sorveglianza e che
nutre un sentimento di avversione sempre più profondo nei confronti
della politica di Washington, dell’apparato militare e
dell’intelligence, ma anche di un’onnipotente industria finanziaria con
cui essi operano in simbiosi.
Una tendenza sempre più autoritaria, quella delineata dalle rivelazioni di Guardian e Washington Post,
che affonda dunque le proprie radici non tanto nello schermo della
“guerra al terrore” e della finta necessità di difendere il paese da
minacce esterne quasi sempre già conosciute quando non addirittura
coltivate e finanziate segretamente, quanto nella crisi strutturale di
un sistema economico, la cui sopravvivenza richiede il rimodellamento
dei rapporti sociali e di classe con conseguenze pesantissime per la
maggioranza della popolazione.
Le fondamenta di un vero e proprio
Stato di polizia, gettate dall’amministrazione Bush e utilizzate da
Obama per intensificare il controllo del governo sui propri cittadini,
rappresentano in definitiva un sistema di difesa da parte di chi detiene
il potere a Washington contro le conseguenze dell’impoverimento di
massa imposto in questi anni alla popolazione, vale a dire l’esplosione
delle tensioni sociali e il rapido diffondersi di un dissenso interno
che non può trovare alcuno sbocco democratico nel quadro dell’attuale
sistema di potere.
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