Chi stava peggio sembra star bene. Chi aveva nel sangue la rimonta
sembra smontato. Chi aveva cavalcato la nausea sembra aver nauseato.
Tutti quelli su cui i primi tre tipi pasteggiano stanno messi fuori da
ogni gioco, sfibrati. Forse.
I ballottaggi confermano una tendenza inarrestabile e
probabilmente voluta: l'astensionismo. Lungi dal rappresentare – come
nell'immaginario realistico degli anni '70 – un rifiuto del rito
elettorale in favore di “pratiche” più partecipate e risolutive, oggi
l'astensione segna “semplicemente” la separazione irrecuperabile tra
paese reale e amministratori “conto terzi” della cosa pubblica. È
insomma consapevolezza dell'inutilità del voto, e quindi anche di se
stessi come “cittadini” dotati di un potere. Riconoscimento
dell'impotenza, rifiuto della collaborazione, ma non (ancora) protesta.
Dal governo alle circoscrizioni, in fondo, non è che si possa far nulla
di ragionevolmente diverso. Gli ordini della Troika sono chiari, i
confini delineati, la gabbia istituzionale e costituzionale ben chiusa.
Quindi la “progettualità politica possibile” dentro questa gabbia è bene
espressa dal “governo delle larghe intese”, variante non modificata del
“governo Monti” o dei governi di “salvezza nazionale” senza più una
nazione da salvare. La quale, all'opposto, deve essere strangolata dal
proprio governo per ripianare debiti fatti da altri.
Che questa
fuga dalla politica abbia “premiato” il Pd non dovrebbe sorprendere più
tanto. Avevamo scritto che era l'ultimo “partito” rimasto, pur se
ridotto a puro recinto per capitribù timorosi di mettersi in proprio e
alla ricerca di uno speaker “giovanile”. Sarà Renzi, in attesa che Letta
venga riconosciuto come un “nemico del popolo” impresentabile quanto lo
è stato Monti. È l'unico contenitore che può ancora contare su un
pubblico pagante, pronto a “tapparsi il naso” e votare soltanto per
sbarrare la strada al vecchio ex nemico ora alleato di governo. Sono
sempre di meno, è vero, man mano che passano a miglior vita gli ex
militanti del Pci capaci di “fare opinione”, o almeno “senso comune”, in
una blocco sociale in via di sfarinamento.
Nel Pd hanno trovato
accoglienza quasi tutti i “tecnici” in grado di manovrare le cose
pubbliche nella direzione voluta dalla Troika e quindi anche da
Napolitano. Il Pdl proprio non ha più nessuno da presentare (la stagione
dei Tremonti, ovvero della finanza creativa e dell'illusionismo
contabile, è finita per decisione europea).
Le politiche
economiche da “continuare” prevedono una riduzione della biada anche per
i cavalli clientelari, che quindi sono rimasti in casa, cogitando
meditabondi sul prossimo futuro. Che non possono vedere, perché il loro
“modello economico” – se così lo si può chiamare – è definitivamente
morto e sepolto. Il “keynesismo per piccoli banditi” è stato soppiantato
dal “socialismo per ricchi”, ovvero dal keynesimo per le grandi banche
di dimensioni “sistemiche”. I Fiorito sono una specie già estinta,
soppiantata da un funzionariato tecnico di più modeste pretese. E senza
alcun legame serio con un “blocco sociale” qualsiasi. Senza quel
“keynesismo per piccoli banditi”, infatti, non c'è più alcun “blocco
sociale” aggregabile.
Del Movimento Cinque Stelle c'è poco da
dire. Sotto l'urlaccio niente, sotto lo streaming niente. Un contenitore
vuoto per assenza di progetto, che ha raccolto la nausea prima che si
trasformasse in ritiro dalla scena. E ora scompare, con la stessa
rapidità con cui era apparso.
E quindi?
Metà paese è
fuori da questa “politica”, e la metà che vi resta aggrappata è in
sofferenza crescente. Non solo perché tra gli “ideali” e la realtà c'è
un divario incommensurabile, ma per il buon motivo che diminuiscono ogni
giorno quanti possono a buon diritto sentirsi “cittadini” in un sistema
simile; man mano che spariscono i posti di lavoro e la speranza di
trovarne uno, che si riducono i servizi sociali essenziali, che si
prolunga l'età lavorativa e si riducono le prestazioni pensionistiche e
assistenziali, ecc.
Questa maggioranza crescente potrà restare a
lungo senza una rappresentanza politica? Accetterà di sparire senza
nemmeno trovare un conato di risposta?
La speranza del potere attuale è proprio questa, e l'astensionismo – non a caso – viene dipinto come “fisiologico” dai suoi contractors intellettuali. Ma ogni speranza nasconde una preoccupazione, un problema per cui non si hanno soluzioni.
Che la “coesione sociale” – detto altrimenti: la capacità di sopportare
l'impoverimento crescente e la scomparsa del futuro – possa reggere a
lungo in queste condizioni pare decisamente un'illusione. Che la si
possa affrontare con le sole forze militari può diventare una
tentazione, in menti così poco attrezzate come quelle oggi al comando
del paese.
E quindi?
La risposta sta nel mettere in
campo una risposta all'altezza della domanda. È finito il tempo
dell'opposizione finta, della “sinistra radicale” a parole e con il
“voto utile” in canna. È finito il tempo dei piccoli gruppi contenti di
esser tali.
È arrivato il tempo di un movimento di massa dotato
di radicalità e conoscenza, di audacia e saggezza; capace di unire e
dividere, di far entrare in campo la conflittualità sociale e di far
uscire dalla scena attori che hanno recitato in maniera inaccettabile il
ruolo dell'opposizione.
È un altro tempo. E comincia ora. Astenersi perditempo.
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