Un anno vissuto di illusioni e di "quantitative easing" da parte delle
banche centrali principali (Fed, Bce, Boj, BoE), ma ora arriva il conto.
Crollano le borse e le aspettative.
Mettere le notizie in fila non è difficile. La Grecia è il
primo paese sviluppato che si vede retrocesso - dalle amorevoli agenzie
di rating - tra quelli "emergenti". Dopo oltre tre anni di "cure"
amorevoli da parte della Troika il paese è praticamente morto. Chiude la
televisione di Stato, per ridurre la spesa pubblica. Se chiudessero o
almeno riducessero anche la polizia quel governo non starebbe in piedi
un minuto di più. In "compenso" sono leggermente risalite le
esportazioni, dal nulla in cui erano precipitate. "Merito" degli
stipendi più che dimezzati, ma nessuno l'ha preso come un segnale di
ottimismo.
Crolla la borsa di Tokyo ancora una volta e in modo
tragico (-6,35%), portando al -20% le perdite totali in sole sei
settimane. Sembra già sepolta la "Abe economics" che in tanti avevano
frettolosamente promosso a nuova promessa. Hai voglia a "iniettare
liquidità" - ovvero stampare denaro - per "stimolare" la crescita; se
non sei l'Impero reale (gli Stati Uniti, ancora per un po') non
te lo puoi permettere, non sei credibile; ovvero non hai "navi", ossia
armi, sufficienti a convincere il resto del mondo che il tuo denaro sia
anche "buono". Il Pil interno giapponese era improvvisamente risalito,
dopo due decenni di stagnazione, ma sarebbe stato davvero strano il
contrario: la massa di denaro "iniettata" era tale che qualcosa doveva
pur finire nell'"economia reale", anche se la gran parte - come nel
resto del mondo - resta dentro le casseforti virtuali delle banche
private.
"Virtuali" perché questo nuovo denaro "stampato" sono
semplici righe di codice, che permettono alle banche di veder crescere
le proprie disponibilità senza che nulla di fisico entri o esca dalle
filiali.
Cos'è che spaventa "i mercati", ora? Una sola cosa: che
questa manna virtuale, innescata fondamentalmente dalla Federal Reserve
statunitense, stia volgendo al termine. I segnali, da parte del suo
presidente, Ben Bernanke, sono stati appena accennati, ma chiari. Per
quest'anno andrà ancora avanti così, a botte di 85 miliardi di dollari
al mese, poi però qualcosa dovrà cambiare. Se non un innalzamento dei
tassi, almeno il termine degli acquisti di titoli "junk", spazzatura.
Già,
perché il "quantitative easing" operato dalla Fed è davvero indicativo
dello stato delle cose. In pratica, la Fed dà soldi alle banche private
che chiedono prestiti accettando come "garanzia" titoli derivati
prodotti dalle stesse banche e che non hanno più un prezzo sul mercato.
Carta straccia in cambio di denaro nuovo di zecca. La Fed sta insomma
lavorando come un "lavanderia" che ricicla spazzatura, incamerandola. Ma
nemmeno la banca centrale degli Stati Uniti può funzionare in eterno in
una discarica che regala soldi.
Questo gioco finirà forse nel 2014,
ma - come si sa - i mercati "anticipano" le tendenze. E quindi gli
investitori istituzionali (le banche stesse, assicurazioni, fondi di
investimento e fondi pensione, private equity, ecc.) cominciano a
"realizzare" (liberarsi di titoli azionari e obbligazionari, vendendoli
ora che il prezzo è ancora alto). I prezzi - i valori di borsa - quindi
crollano.
E' l'inizio della fine per quel "socialismo per ricchi"
denunciato a suo tempo da Stiglitz? Probabile, non certo. Ma la
dimensione dei flussi dovrà per forza di cose ridursi di molto. Si va
insomma a chiudere una fase durata sei anni, in cui la crisi è stata
affrontata con strumenti classicamente "keynesiani" (iniezioni di
risorse pubbliche, con conseguente dissesto delle finanze statali di tre
quarti del mondo), ma con una "novità" decisiva: invece di indirizzarsi
come 80 anni fa verso "l'economia reale", industrie, infrastrutture,
servizi, ecc, queste "iniezioni di denaro" (costose per le varie
collettività) sono state riversate nelle fauci rinsecchite di un sistema
finanziario crollato sotto il peso dei suoi stessi strumenti (prodotti
derivati, cds, cdo, mutui subprime, ecc.).
L'effetto era stato
"miracoloso". Mentre le borse continuavano a risalire senza sosta e lo
spread si riduceva (persino i titoli greci erano tornati
"appetibili"...), le economie dei paesi industrializzati entravano in
recessione. Il credito a famiglie e imprese - a livello mondiale, non
solo nella miserabile Italia che conosciamo - restava bloccato, i
consumi continuavano a crollare e gli investimenti a ridursi. Un vero
miracolo, se si pensa che i valori borsistici dovrebbero orientarsi
sulla profittabilità futura delle imprese "reali" (il rapporto price/earnings, ritenuto teoricamente ottimale se collocato intorno al 16/1).
Questo
gioco va verso l'esplosione. Ma nessuno ragiona in termini più lunghi
dei "rapporti trimestrali" obbligatori per le aziende quotate in borsa.
E quindi le imprese giapponesi, per dirne una, non si accontentano più
delle "iniezioni di liquidità", ma pretendono anche una radicale
riduzione delle tasse. Lo Stato dovrebbe insomma tirar fuori più soldi e
pretenderne di meno. Un altro miracolo, come la moltiplicazione dei
pani e dei pesci...
Ma l'economia ama la prosa, non le parabole. E
così la Banca Mondiale ha tagliato le proprie stime sulla crescita
dell'economia globale nel 2013, con un progresso atteso che passa dal
2,4% al 2,2%. Tutto merito delle economie emergenti, che sono previste in
espansione del 5,1%. Il resto del mondo industrializzato, infatti, naviga
in pessime acque: l'Eurozona vedrà il Pil calare dello 0,6%, un
peggioramento di mezzo punto percentuale rispetto alle precedenti stime.
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