Nuovo assalto delle milizie a
Bengasi, molti i morti. Il governo centrale incassa il sostegno di
Stati Uniti e Unione Europea, ma il paese precipita nel caos. E le armi
prendono la via di Algeria e Tunisia.
Torna ad esplodere la violenza a Bengasi, che si conferma
il nodo della crisi che scuote la Libia da settimane e l'occasione è
stata fornita da un nuovo attacco contro strutture oggi controllate
dalle milizie paramilitari che lo Stato sta cercando, non senza
difficoltà, di inquadrare nelle Forze armate o sotto l'egida del
Ministero dell'Interno. Intanto il presidente degli Stati Uniti e i
primi ministri di Italia, Germania, Francia e Regno Unito hanno ribadito
il loro sostegno al governo libico. Il presidente, ha reso noto la Casa
Bianca, ne ha parlato con Enrico Letta, Angela Merkel, Francois
Hollande e David Cameron nella videoconferenza di ieri. I cinque hanno
ribadito il loro ''sforzo comune per sostenere il primo ministro Zeidan e
il lavoro del governo libico per rafforzare la sicurezza e far avanzare
il processo di transizione politica''. La scorsa notte, Bengasi è
stata teatro di azioni violente ad opera di quelli che vengono
etichettati semplicemente come ''fuorilegge'', ma che sono il sintomo
più evidente di come ormai Tripoli sia in balia di chi è più armato e
sceglie appunto le armi per fare valere le sue ragioni. Il bilancio
ufficiale - peraltro solo per quel che riguarda le Forze armate - parla
di sei agenti delle unità speciali morti. Ma appare complicato pensare
che i sei soldati siano le sole vittime di un attacco che è apparso
pianificato, anche perché scattato in diversi punti della città,
compresa la sorvegliatissima strada che conduce allo scalo aeroportuale.
Si parla di più azioni militari quasi contemporanee (attacco ad una
caserma ed ad un commissariato, esplosioni isolate in più punti della
città distanti tra di loro). Altro punto che Tripoli si suppone stia
valutando con attenzione è che, ad appena una settimana di distanza
dall'altro attacco a Bengasi (alla caserma della milizia di ex ribelli
chiamata ''Scudo della Libia'', con 31 morti accertati), chi ha colpito
lo ha fatto anche questa volta con una enorme potenza di fuoco, non
limitandosi a sparare con fucili mitragliatori Kalashnikov o a fare
ricorso a rudimentali bombe a mano, ma anche con i micidiali Rpg,
lanciarazzi che vengono puntati poggiandoli su una spalla. Attacchi
militari in piena regola e non certo esplosioni di violenza estemporanea
o criminale, come Tripoli cerca di accreditare, per marginalizzare il
fenomeno della violenza nella città in un ambito di semplice
criminalità.
A preoccupare non poco è il destino delle armi strappate agli
arsenali dell'esercito durante la rivolta contro il governo di Gheddafi e
che sempre più spesso prendono la via dell'Algeria e della Tunisia, a
disposizione dei gruppi integralisti spesso gravitanti nell'orbita di Al
Qaeda o di altri network jihadisti.
Fonte
La Libia come l'Iraq.
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