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06/02/2014

Siria colloqui paralleli a Tehran

L’esclusione dell’Iran dai colloqui di Ginevra II ha ostacolato non poco il raggiungimento di un accordo sulla crisi siriana. L’improvviso ritiro dell’invito alla conferenza, dapprima inviato a Tehran dal Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon alla vigilia dei colloqui, aveva suscitato malumori in Iran e a Damasco. Non solo, aveva fomentato le accuse a Stati Uniti (in particolare contro alcuni senatori repubblicani) ed emissari sauditi rispetto a pressioni per impedire al ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif di sedere al tavolo di Montreux.

Eppure in vista del secondo round negoziale, previsto per i prossimi giorni, Tehran è corsa ai ripari. Che una soluzione alla crisi di Damasco passi per l’Iran lo dimostra ancora una volta l’avvio di colloqui tripartiti a Tehran tra rappresentati di Iran (vi ha preso parte il vice ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollah), Siria e Svizzera. La mediazione elvetica è essenziale in questo caso per l’assenza di una rappresentanza diplomatica Usa in Iran. Secondo la stampa locale si è discusso di corridoi umanitari e aiuti finanziari al popolo siriano. Gli Stati Uniti avevano proposto la formazione di un gruppo negoziale parallelo (alla conferenza di Ginevra) che includesse anche l’Iran. La proposta è stata presentata a Monaco dalla delegazione in rappresentanza del Segretario di Stato John Kerry e ha subito trovato il sostegno di Mosca. I componenti del round parallelo di colloqui comprenderebbero Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia e Iran. Il tentativo è superare la ferma opposizione di Tehran alle conclusioni della conferenza Ginevra I, come precondizione, imposta da Washington, per la partecipazione iraniana ai colloqui. Eppure in Iran la mediazione degli Stati Uniti non convince. È sempre più acceso il dibattito sulle concessioni di Tehran ai P5+1 per raggiungere l’accordo di Ginevra del 24 novembre scorso, che metterebbe fine alle sanzioni internazionali imposte al paese. Dopo le dichiarazioni di Obama, che aveva assicurato che, in caso di fallimento dei negoziati, «tutte le opzioni sono sul tavolo», cresce in Iran il malumore degli ultraconservatori che vorrebbero incrementare le attività di arricchimento dell’uranio. In un incontro con docenti e ricercatori dell’Università di Tehran, il presidente Rohani ha chiesto a tecnici e accademici di esprimersi apertamente a favore dell’accordo di Ginevra.

L’ intervento è stato significativo perché il presidente ha chiesto ai radicali, vicini all’ex presidente Mahmud Ahmadinejad, di porre fine alla disputa tra «fazione destra» e «fazione sinistra» del parlamento. Alla prima apparterrebbero pasdaran e conservatori moderati, vicini alla Guida suprema, Ali Khamenei, alla seconda, tecnocrati di Hashemi Rafsanjani e politici riformisti, vicini all’ex presidente Mohammed Khatami. Il politico conservatore Lotfollah Forouzandeh ha tuonato contro l’intervento di Rohani, definendolo una minaccia alla libertà di espressione delle opposizioni. Il presidente moderato ha anche criticato chi considera gli studenti «una minaccia», aggiungendo che le università sono «la soluzione e non il problema». Il riferimento è al ruolo degli atenei iraniani nelle manifestazioni anti-regime della fine degli anni Novanta, del 2003 e del 2009. Per questo, Rohani ha sostenuto l’importanza del «dibattito politico» negli atenei, pur senza trasformare le università in «fazioni politiche». L’economia iraniana, dopo il primo alleggerimento delle sanzioni, trasmette segnali positivi. La Francia – che aveva osteggiato l’accordo di Ginevra – è capofila degli investimenti. Rappresentanti di 100 imprese , tra cui la Total, Orange e Renault sono in Iran. Giro d’affari previsto, 5 miliardi di dollari, con l’avvio di progetti riguardo gas e e miniere in Iran, appetibili per gli investitori d’oltralpe.

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