Altro che elezioni della “sopravvivenza” per Recep Tayyip Erdogan.
La vittoria alle amministrative indica che una porzione consistente,
forse la maggioranza della popolazione turca, non tiene in alcun conto
le accuse rivolte al premier islamista di corruzione, nepotismo,
oscuramento dei social e autoritarismo. E ora il “sultano di Ankara”, come qualcuno lo chiama, farà la voce ancora più forte in casa - «C’è chi cercherà di scappare domani, ma pagheranno per quello che hanno fatto», ha minacciato dopo il voto – e anche in politica estera. L’impegno turco in territorio siriano – negato ufficialmente – non potrà che aumentare. Perché se è vero che l’opinione pubblica turca in maggioranza non è
favorevole al confronto militare con Damasco, la caduta di Bashar Assad
era e resta il principale obiettivo in Medio Oriente di Erdogan
duramente colpito nelle sue aspirazioni di “leadership regionale” dal
colpo di stato militare in Egitto che ha deposto il suo principale
alleato, il presidente e leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi.
Il confine tra Turchia
e Siria è il fronte più sanguinoso della guerra civile siriana da
quando, il 21 marzo, i qaedisti del Fronte al Nusra e varie formazioni
ribelli, tra le quali l’Els, hanno lanciato, a quanto pare proprio dal
territorio turco, un’offensiva improvvisa nella regione montagnosa a est
del porto di Latakia, capoluogo di una provincia storicamente fedele
alla famiglia Assad. Hanno occupato il villaggio armeno di Kassab
e persino uno sbocco sul mare per la prima volta dall’inizio del
conflitto tre anni fa. Damasco ha denunciato un pesante cannoneggiamento
turco di copertura al blitz dei ribelli, intenzionati a creare una
testa di ponte in territorio siriano. Ankara ha smentito. Ora
l’esercito di Assad appoggiato dalla milizia filo governativa, sta
impegnando migliaia di soldati e mezzi per riprendere il controllo della
zona. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sono almeno
1.052 i morti complessivi dei due schieramenti caduti in dieci giorni di
battaglie. I combattimenti si concentrano nella periferia nord
della città di Latakia, il capoluogo di provincia. Le truppe
governative hanno bombardato le postazioni dei ribelli, prese di mira
anche dai raid dell’aviazione, e ieri, secondo la tv di stato, avrebbero
riconquistato la Postazione 45, un posto strategico che domina le
alture circostanti e le pianure sottostanti. L’opposizione però non
conferma. La situazione rimane incerta e Damasco continua a lanciare
accuse ad Erdogan di intervento diretto nella guerra. Negli ultimi tre
anni i due Paesi sono stati diverse volte sul punto di andare allo
scontro militare diretto. Nei giorni scorsi la Turchia ha abbattuto un
jet da combattimento siriano, dicendo che aveva violato il suo spazio
aereo mentre il pilota, che si è salvato lanciandosi con il paracadute,
ripete che si trovava all’interno del paese quando il suo Mig è stato colpito
da un missile sparato da caccia turchi. Domenica il ministro siriano,
Omran al-Zoubi, ha nuovamente accusato la Turchia di facilitare
l’ingresso nella provincia di Latakiya «di gruppi di stranieri, armati
fino ai denti».
Erdogan
pare intenzionato a dare quella spallata a Bashar Assad che re Abdallah
dell’Arabia Saudita ha reclamato sabato scorso con forza durante
l’incontro con il presidente americano Barack Obama. Il premier
turco, come tutte le parti coinvolte, hanno abbandonato la possibilità
accarezzata (debolmente) durante la fallita conferenza di Ginevra II. Un
esito che avrebbe spinto l’inviato speciale Onu per la Siria, Lakhdar Brahimi,
a valutare una sua rapida uscita di scena. Secondo il quotidiano arabo
al Hayat, Brahimi darà presto le dimissioni e si ritirerà in pensione a
Bali, in Indonesia, sconfortato dallo stallo seguito ai colloqui di
Ginevra dello scorso gennaio tra regime e opposizioni siriane. Brahimi
starebbe lavorando a un “ultimo tentativo”: un incontro tripartito a
Ginevra da tenere entro il 10 aprile prossimo col vice ministro degli
esteri russo Mikhail Bogdanov e col sotto-segretario di Stato Usa Wendy
Sherman. Ma, scrive il giornale, con pochissime speranze di successo, a
causa della distanza enorme tra Damasco e le opposizioni;
dell’escalation politico-diplomatica tra Russia e Stati Uniti nel quadro
della crisi ucraina; e per l’atteggiamento di vari Paesi mediorientali
coinvolti nella guerra civile siriana dalla parte delle opposizioni o di
Bashar Assad.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento