E’ un vero scandalo: nel centro di Roma esistono ancora delle case popolari. Per fortuna ci sta pensando la task force interforze
del prefettocommissario Tronca a liberare il centro cittadino dai pochi
poveri che ancora insistono a volerci vivere. Finito il socialismo
reale che ha di fatto governato l’Italia dal 1945 alla caduta del Muro,
anche la questione abitativa va normalizzandosi. Le 175.000 case
popolari presenti all’interno delle mura Aureliane costituiscono una
vergogna inammissibile per una città che fa del turismo la sua
privilegiata fonte di guadagno. I turisti, inorriditi dalle gimcane tra
poveri e salariati che infestano ancora la città, porteranno sempre nei
loro ricordi non solo le diaboliche tag che contraddistinguono – caso unico al mondo
– la metro romana, ma la puzza di povertà che ancora si respira al
centro, che persiste senza vergogna ad essere luogo di lavoro e di
residenza invece di essere definitivamente ritrovo della middle class internazionale
anglofona. In luoghi unici al mondo come il lungotevere Tor di Nona,
oppure a San Saba, Garbatella, e persino a Trastevere, per non parlare
di Testaccio o del Gianicolo, sopravvivono incrostazioni di edilizia
residenziale pubblica che impediscono alla città eterna di adeguarsi ai
rispettabili canoni internazionali del decoro e della decenza.
L’apparato operativo messo su da Tronca sta però dando i suoi risultati:
14 inquilini
sono risultati percepire un reddito non in regola con i limiti imposti
dall’amministrazione capitolina. Esempio evidente di quanto le politiche
per l’edilizia pubblica rappresentino l’attuazione di un’ideologia
clientelare che ha prodotto il debito pubblico nazionale nonché i
recenti scandali di Mafia capitale. Non c’è trippa per gatti, insomma, e
i fannulloni mantenuti dalla pubblica amministrazione sono avvertiti.
E’ finita la pacchia di vivere a Roma senza poterselo permettere economicamente.
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