Da sempre le nomine ai vertici di alcune istituzioni (Arma dei Carabinieri, Aise, Aisi, Guardia di Finanza, Polizia, Eni, Finmeccanica eccetera) sono fatte essenzialmente con criteri di “vicinanza politica” e non potrebbe essere diversamente: spettano al Governo (ed in particolare al suo Capo), non esistono criteri oggettivi di merito né procedure concorsuali ecc, per cui non è possibile stabilire chi è il più idoneo a coprire un posto, ed il governo sceglie quelli che ritiene più “amici”.
Al massimo ci sono criteri generici per poter accedere alla rosa dei “papabili”, per cui il direttore del servizio militare deve essere un generale di divisione o ammiraglio, il direttore di quello civile deve essere parimenti un generale divisionario o un prefetto o dirigente superiore di Polizia e così via, ma questo serve solo a formare liste di candidati piuttosto ampie. Non esistono né automatismi (per cui il vice succede al direttore uscente), né criteri di anzianità, né punteggi.
Di solito, a quei livelli, tutti i “papabili” hanno curricula rispettabili (e se non li hanno si fa in modo di farli risultare), per cui è oggettivamente difficile stabilire se il generale Verdi sia più meritevole del questore Rossi o del Prefetto Bianchi: uno ha diretto la tale operazione di peacekeeping in Africa, l’altro ha diretto una grande operazione antiterrorismo ed il terzo ha coordinato i soccorsi per il terremoto di sei anni fa ed è stato nella missione diplomatica nucleare a Vienna: chi è il più meritevole dei tre? E, peraltro, non sappiamo come siano andate le singole operazioni elencate. Peraltro, anche negli incarichi precedenti hanno pesato amicizie, relazioni ecc, per cui il fatto che uno abbia fatto una cosa piuttosto che un’altra non attesta affatto che sia più adatto di uno che non ha avuto quella opportunità.
Insomma, la legge lascia piena discrezionalità al decisore politico che, ovviamente, sceglie quello che più è nelle sue grazie: se non ripensiamo totalmente il meccanismo sarà sempre così.
Ai tempi della Prima Repubblica, quando c’erano governi di coalizione, c’era una spartizione fra i diversi capi partito, il che dava luogo ad un mercato piuttosto indecente, (non lo nego) la famigerata “lottizzazione”, ma, nello stesso tempo, distribuiva le diverse leve di potere evitando pericolose concentrazioni. E così, almeno in parte, è stato anche nel periodo della Seconda Repubblica che, pur in modo molto attenuato, riproduceva i meccanismi del governo di coalizione.
Le nomine di Renzi rappresentano, invece una decisa novità, saltando del tutto i meccanismi della mediazione fra forze politiche e concentrando tutto nelle mani del Presidente del Consiglio (e Capo del partito che da solo dispone di quasi la metà dei deputati) che si consulta con il solo Presidente della Repubblica (ed anche su questo c’è qualche particolare da approfondire di cui diciamo dopo). Il mercato sparisce ma solo per lasciare il posto ad una pericolosa concentrazione di potere accentuata dalla seconda novità di queste nomine: la durata di due anni, sino alle prossime elezioni.
Sin qui il rapporto fra alte cariche (soprattutto militari e di sicurezza) e potere politico era sottoposto ad un riallineamento in caso di elezioni, ma senza nessun particolare automatismo, come invece accade nei sistemi di democrazia bipartitica in cui vige lo spoil system. La lunga vigenza del sistema proporzionale che originava governi di coalizione, che non duravano l’intera legislatura, ha impedito questa forma di dipendenza particolarmente rigida dell’amministrazione dell’autorità politica, attenuandola considerevolmente.
La consuetudine voleva che in particolare i responsabili di Dis, Aisi ed Aise, mettessero loro nomine a disposizione del nuovo governo che invitava i direttori a restare in carica; dopo alcuni mesi venivano le nuove nomine, ma in qualche caso il periodo di permanenza poteva protrarsi anche 1 anno o addirittura poteva esserci una conferma. Ancora meno automatica era la nomina del vertici militari, dell’Arma, della Polizia e della Guardia di Finanza ed ancor più lenta era la sostituzione al vertice degli enti economici di Stato. Questo anche perché la durata dei governi è sempre stata variabile e non ha mai coinciso né con l’intera legislatura né con la durata del mandato, soprattutto dei manager di Stato. Questo andamento ondulare garantiva una relativa autonomia dei dirigenti di enti e corpi militari e di sicurezza, attenuandone la dipendenza dal governo del momento.
Con queste nomine si introduce un meccanismo che fa fare un salto verso lo spoil system: il termine secco e preventivo dei due anni (resta da capire, se lo scioglimento anticipato del Parlamento possa abbreviarlo o resterebbe comunque valido sino al 2018), da un lato allinea tutte le nomine in unico ”pacchetto”, dall’altro rende direttamente dipendete dal successo dell’attuale maggioranza governativa l’eventuale permanenza nel posto degli attuali capi designati che, ovviamente, sono implicitamente sollecitati a collaborare a tale successo.
E nel merito le nomine hanno già un segno abbastanza preciso. Per non disperderci su ogni singolo caso, concentriamo l’attenzione su tre di esse che hanno un segno politico più evidente: la cyber security, per la quale il Presidente del Consiglio insiste sul nome del suo amico Marco Carrai, la mancata conferma di Massolo e la nomina del nuovo capo della GdF. E le cose sono connesse.
Partiamo dalla cyber security, un ambito sin qui seguito dalle due agenzie di sicurezza (Aisi ed Aise), ma in parte anche dai corpi di polizia (in particolare le strutture che sono subentrate alla storica “colombaia” del servizio militare, all’escopost eccetera) con un blando coordinamento affidato al consigliere militare presso la Presidenza del Consiglio. E’ ragionevole pensare che, con lo sviluppo del cyber spazio si pensi a potenziare ed unificare le attività di controllo del settore. Resta da capire se questo debba dar luogo ad un servizio (comunque chiamato) specifico e direttamente dipendente dalla Presidenza del Consiglio o, piuttosto una sezione di coordinamento presso il Dis, dotato di maggiori poteri rispetto a quelli attuali. Ma, il punto è che la questione, nel ragionamento di Renzi, non è separabile dalla persona che dovrà dirigere questa attività che lui identifica nel suo amico Carrai. Basti riportare qualche sua dichiarazione:
Marco è una persona con cui lavoro da più di dieci anni. Gli ho chiesto di venire a darmi una mano nel settore dei big data che uno dei settori più interessanti al momento. Io vorrei venisse a lavorare con noi. Nel caso in cui Marco accettasse e con un blind trust smettesse di prendere tutti i soldi che prende, la sua vita peggiorerebbe e la nostra migliorerebbe.Il guaio è che Carrai è un esterno al mondo della sicurezza che lo vede come un intruso e forse c’è anche altro di cui non sappiamo e non immaginiamo. Certo è che la sparata di D’Alema, di cui dicemmo a suo tempo, che accusava, non sappiamo con quanto fondamento, Renzi di essere uomo di Israele lascia perplessi.
Di molte di queste ragioni contro la nomina di Carrai si fece interprete il direttore del Dis Giampiero Massolo dinanzi al Copasir il 27 gennaio, quando si pensava di istituire addirittura un’agenzia di intelligence ad hoc da creare a Palazzo Chigi, pur essendoci una legge che regola il comparto. Massolo sostenne che «serve un decreto non solo per nominare un super consulente di Palazzo Chigi alla cyber security, ma anche per affidargli il settore in questione, ora appannaggio del consigliere militare della presidenza del Consiglio. Inoltre la persona o la struttura che si occupa di sicurezza cibernetica (versante intelligence) al momento deve far parte dei Servizi». Cosa che Carrai non è.
Massolo, fra i vari responsabili in scadenza sembrava quello di più sicura riconferma: compirà 62 anni in ottobre, dunque non è in età da pensione, nessuno ha mai sollevato obiezioni sul suo operato, era gradito a Mattarella, tutti erano convinti – compreso l’interessato – della riconferma e sino a poche ore dalle riunione del Consiglio dei Ministri che lo ha sostituito. Ora si dice che andrà a dirigere la Fincantieri. Sembra che il nome poi scaturito, quello di Alessandro Pansa che lascia il posto di capo della Polizia a Franco Gabrielli, sia circolato all’improvviso nel primo pomeriggio con una serie di telefonate del sottosegretario delegato all’intelligence, Marco Minniti: che l’ha presentata come una scelta personale del presidente del Consiglio. C’è chi dice che questo passaggio sarebbe stato reso necessario per liberare la poltrona per Franco Gabrielli. Forse è così, ma i conti quadrano poco lo stesso: di Gabrielli alla polizia si era parlato già da giorni, ma non sembrava Massolo quello destinato ad essere sacrificato, anche perché riscuoteva il gradimento del Quirinale che condivideva le sue obiezioni alla nomina di Carrai.
La sera del 28 Renzi è stato a cena dal Presidente Mattarella, proprio per parlare delle nomine: gli ha parlato o no dell’intenzione di sostituire Massolo? Se si è strano come nel giorno dopo non ne siano stati informati tanto il Copasir quanto lo stesso Massolo. Se no e Mattarella è stato tenuto all’oscuro di tutto, sarebbe un grave sgarbo istituzionale e induce a chiedersi il perché di tanto mistero. Non sapremo mai come sono andate effettivamente le cose, ma la seconda ipotesi ci sembra più probabile così come ci sembra ragionevole che la decisione di giubilare Massolo, più che con il problema Gabrielli, abbia a che fare con la sua opposizione a Carrai e serva anche di esempio per gli altri.
Ora la nomina di Carrai è slittata a questa settimana e, sembra, avverrà sotto forma di consulenza, nello staff del Presidente del Consiglio. Insomma, Renzi ci tiene proprio a questa posizione.
Infine la nomina del generale Giorgio Toschi, attuale comandante in seconda, della Guardia di Finanza promosso alla prima posizione al posto di Saverio Capolupo che andrà in pensione tra poco. Anche questa è stata una nomina fortemente voluta personalmente da Renzi nonostante i dubbi del Quirinale a proposito dell’inchiesta in cui è coinvolto il fratello Andrea, ex presidente della banca Arner, arrestato due anni fa nell’ambito dell’inchiesta Sopaf.
D’altro canto, è ovvio che il comando generale della GdF sia una casella molto importante, soprattutto in tempi di scandali bancari (Etruria, CariMarche, Popolare Vicenza…) ed occorre scegliere bene.
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