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13/07/2018

Moruno: “Il governo Sánchez e l’accordo con Melenchon. Vi spiego la nuova Podemos”

intervista a Jorge Moruno di Giacomo Russo Spena

“Podemos deve accompagnare, fare pressione e marcare stretto il governo Sánchez senza cadere in nessuno dei due rischi: diventarne una stampella o rimanere in un angolo”. Jorge Moruno, 35 anni, sociologo, è stato membro della segreteria del partito, ora è impegnato nelle amministrative del 2019 dove sta coordinando la campagna elettorale nella circoscrizione di Madrid. “In Spagna nessuno gode più della maggioranza assoluta; qualsiasi scenario è possibile, anche vincere a Madrid dopo 23 anni di dominio dei popolari” afferma Moruno che, pur consapevole dell’azzardo, spiega come Podemos non poteva esimersi dal cacciare il corrotto Rajoy a vantaggio del governo Sanchez: “Sono stati i nostri elettori a chiedercelo, era una questione di salute democratica rimuovere il Pp dalle istituzioni”.

Con la caduta di Rajoy e la nascita del governo di Pedro Sánchez la Spagna è in una fase nuova. Podemos ha il difficile ruolo di garantire l’appoggio esterno al nuovo esecutivo senza farsi schiacciare da esso. Non crede sia difficile, se non impossibile?

Siamo sull’orlo di un precipizio. Abbiamo intrapreso questa strada ben consapevoli del rischio. Dobbiamo mettere in campo una concorrenza virtuosa col Psoe.

Ovvero?

Una sorta di opposizione costruttiva. Siamo vivendo una fase di passaggio e noi, come Podemos, abbiamo cambiato strategia: siamo consapevoli che il governo socialista non rappresenti la trasformazione democratica di cui la Spagna avrebbe bisogno ma era prioritario sconfiggere le destre. Adesso che è stato cacciato Rajoy, dobbiamo gareggiare coi socialisti per affermare un’alternativa credibile e mettere in pratica el cambio atteso dai cittadini.

Come si fa la concorrenza virtuosa? Se una legge proposta da Sánchez non vi va bene, cosa farete? La votate obtorto collo o farete cadere il governo?

Il rischio è quello di rimanere incastrati o essere messi in disparte. La sfida è quella di seguire un percorso – ma noi vogliamo arrivare più in là – per compiere progressi sul terreno dei diritti sociali e sulla precarietà. Ogni piccolo cambiamento fa in modo che quello successivo risulti più facile. E ciò alimenta un maggior desiderio di cambiamento.

A quanto sta Podemos nei sondaggi?

Intorno al 18/19 per cento. La destra, in questi ultimi anni, ha messo in piedi una competizione virtuosa tra Pp e Ciudadanos che in termini di voti ha funzionato. Dobbiamo fare lo stesso nel campo progressista: cavalcare l’ondata di speranza creata dalla cacciata del Pp, spingere il nuovo governo verso il cambiamento e, allo stesso tempo, aprire alla possibilità di un più ambizioso scenario futuro di trasformazione della società.

Ma se Sánchez governerà bene, il Psoe ne beneficerà alle prossime elezioni; se governerà male ne uscirà avvantaggiato Ciudadanos che rappresenta la maggiore forza all’opposizione. Podemos non sta in una morsa?

Se l’esecutivo socialista governerà male, difficilmente Podemos ne trarrà benefici. Se, invece, Sanchez sarà di parola e manterrà quel poco di cambiamento promesso allora ne beneficeremo entrambi.

Il vostro elettorato è contento della nuova strategia di Podemos?

I nostri votanti sono quelli che più ci hanno spinto in questa direzione. Nel Paese era immenso il desiderio di allontanare Rajoy dal potere. Ora ci sono nuove aspettative che non dobbiamo deludere.

Secondo il sociologo Joan Subirats il governo Sánchez è migliore di quello Rajoy per quanto riguarda i diritti civili e sui migranti ma per il resto, sul piano economico, non ci sono differenze tra i due. Che ne pensa?

Può essere vero ma bisogna considerare che in Spagna si tornerà al voto nel 2020 – dove si giocherà la vera partita – e da questo governo nessuno si aspetta riforme strutturali. È un esecutivo di transizione che deve apportare qualche miglioria sociale, per dimostrare un minimo di discontinuità con le destre. Non è previsto un nuovo patto sociale né un New Deal per la Spagna, cioè nessuno si aspetta che i grandi problemi sociali saranno risolti. Detto questo, il vero problema è l’Europa.

A proposito di Europa, Podemos ha siglato con il francese Jean-Luc Mélenchon e col Bloque de Izquierda un documento per opporsi alle tecnocrazie di Bruxelles. Qual è il senso di questa alleanza?

L’Europa, per come l’avevamo immaginata, non esiste più. Con la scusa della crisi e dei piani di aggiustamento, le oligarchie hanno preteso di smantellare i sistemi di diritti e protezione sociale conquistati in decenni di lotte. Hanno condannato generazioni di giovani all’emigrazione, alla disoccupazione, alla precarietà, alla povertà. Hanno colpito con particolare crudezza i più vulnerabili, quelli che più hanno bisogno della politica e dello stato. Hanno preteso di abituarci al fatto che ogni elezione diventi un plebiscito tra lo status quo neoliberista e la minaccia dell’estrema destra. Con uno spirito di disobbedienza di fronte all’esistente, scommettendo su un ordine democratico, con fiducia nella capacità democratica dei nostri popoli di fronte al progetto fallito dell’élite di Bruxelles, abbiamo lanciato insieme a Melenchon e al Bloque portoghese un appello ai popoli d’Europa perché si uniscano alla sfida di costruire un movimento politico internazionale, popolare e democratico.

Secondo lei, è ancora possibile cambiare l’Europa o è necessario riformulare l’europeismo di sinistra tornando ad un nazionalismo democratico in cui si recupera sovranità?

Resto un europeista convinto. Ma, ad oggi, non ci sono gli strumenti politici per cambiare l’Ue: la questione risiede nei rapporti di forza (tra Stati) che si creano a Bruxelles e, quindi, il piano nazionale è prioritario per un cambiamento in prospettiva europeo. È impossibile opporci all’internazionale xenofoba di Orban, Le Pen, Salvini, senza che si affermino forze progressiste a livello nazionale: se si consolidano in Francia, Spagna, Portogallo sarà poi più semplice cambiare l’Europa.

Melenchon è appena uscito dalla Sinistra Europea dicendosi incompatibile con la Syriza di Tsipras, la Linke è a rischio scissione tra chi è per una svolta sovranista e chi rimane convinto europeista, poi c’è Diem25 di Varoufakis... A sinistra sembra regnare il caos.

La situazione è tragica. Lì il problema è che Syriza è stata lasciata sola dai Renzi e dagli Hollande (e ovviamente dai Rajoy) nel braccio di ferro con la Troika. Che altro poteva fare Tsipras? Non lo dico con cinismo. Poi, certo, si è piegato ai memorandum e non ha mantenuto le promesse di cambiamento. Ritorniamo al discorso di prima: dipende sempre dai rapporti di forza in campo e la Grecia è rimasta isolata durante le trattative.

Alla fine, a sinistra, si farà una lista unitaria transnazionale? E Podemos con chi starà?

È difficile dare una risposta al momento. Più che la polemica tra sovranisti ed europeisti, mi interessa costruire un’alleanza popolare e con soggetti capaci di avere ambizioni nazionali ed europee.

Dalla Spagna, come giudica il governo Lega/M5S?

Sono preoccupato perché ci sembra abbia vinto la narrazione salviniana di guerra tra poveri. Basta vedere la campagna sui porti chiusi. Comunque la la sinistra italiana mi sembra abbia gravi responsabilità perché non è riuscita ad intercettare, e a rappresentare, l’indignazione popolare che stava montando nel Paese. A quella rabbia sociale si poteva dare una risposta progressista e di reale cambiamento, invece – essendoci un vuoto politico – ha assunto le sembianze più reazionarie e xenofobe ben incarnate dal governo Lega/M5S.

A parte l’Italia, un po’ ovunque si stanno affermando forze xenofobe e di destra. Come si contrasta questa internazionale nera?

Le destre nazionaliste fanno leva sulle paure, sull’insicurezza della gente. Il discorso che fanno contro l’arrivo dei migranti è immediato, facile da comprendere per chiunque. La sinistra, invece, nel dire anche giustamente “accogliamo chi fugge da guerre e carestie” non riesce a costruire una narrazione ugualmente efficace e fruibile per un cittadino in stato di crisi economica o che fatica ad arrivare a fine mese. Quella della sinistra è una posizione più di testa, meno di pancia, ma gli esseri umani pensano con il corpo. E le destre xenofobe europee parlano proprio alle viscere dei cittadini. Ci vorrà tempo per uscire da questa situazione, è necessaria una battaglia culturale. La menzogna non si combatte con la verità ma si combatte costruendo immaginari più forti di quello attuale. Il peso dell’immigrazione in Italia è molto più basso di quanto viene percepito dalla popolazione: la verità assoluta non sempre corrisponde con la verità percepita.

Torniamo in Spagna. Qual è il rapporto tra Podemos e Ada Colau?

Ottimo, è una speranza per il futuro. A Barcellona sta governando molto bene e l’obiettivo è rinconfermarsi alle prossime amministrative del 2019.

Tra Podemos e Colau c’è una sana concorrenza?

Piuttosto parlerei di una cooperazione virtuosa.

A capo di Podemos resta Pablo Iglesias?

È ciò che abbiamo deciso nell’ultimo congresso di Vistalegre II: non sono previsti cambi né nuove nomine. Ci attende una fase in cui dobbiamo essere virtuosi, se non ci vogliamo appellare alla mera fortuna.

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