In questi giorni, a Mosca, le varie sigle comuniste e altre forze di sinistra si ritrovano nell’area dello stadio “Krasnaja Presnja”, a commemorare i difensori del palazzo del Soviet Supremo russo.
Il piccolo stadio è alle spalle dell’edificio e lì i pretoriani eltsiniani fucilarono centinaia di prigionieri, arresisi dopo due giorni di cannoneggiamenti golpisti – e altri morti nelle giornate del 3-4 ottobre 1993. A esser presi a cannonate, furono soprattutto quei deputati che, appena tre anni prima, avevano appoggiato Eltsin nella sua “dichiarazione di sovranità russa” dall’URSS e che poi gli erano diventati di ostacolo. Ma anche migliaia di semplici cittadini, migliaia di comunisti, subirono fucilate e mitragliate sui viali che conducono al palazzo o nella zona della torre televisiva, e soccombettero poi alla repressione golpista.
Dopo il famigerato decreto N°1400 “Sulla riforma costituzionale nella Federazione Russa”, con cui Boris Eltsin il 21 settembre 1993 scioglieva il parlamento, si arrivò agli scontri sanguinosi del 3 ottobre e alle cannonate del 4 ottobre contro il Soviet Supremo.
Non mostrano alcun pudore coloro che, anche in Italia, scrivono ora di “decine di militanti comunisti e nostalgici dell’Unione Sovietica” che ieri “hanno commemorato a Mosca il 25esimo anniversario del fallito colpo di stato del 3 e 4 ottobre 1993, quando il parlamento imbracciò le armi per impedire il suo scioglimento deciso da Boris Eltsin”. Per quei signori, il golpe diventa così quello di chi tentava di impedirlo!
Prima dell’ottobre 1993, c’era stato l’ottobre 1991, con l’avvio della famigerata “terapia shock”, la politica dei “voucher di privatizzazione” inaugurata da Anatolij Čubajs, il congelamento degli assegni sociali, l’abbaglio del “diventare tutti proprietari”. Qualcuno, con quei voucher, divenne “padrone” di una bottiglia di vodka; qualcuno dell’appartamento in cui viveva, salvo poi esserne derubato dalle gang affaristiche; qualcuno, in particolare giovani rampanti della ex Gioventù Comunista, arraffò fabbriche, complessi industriali, miniere, flotte navali.
Sono trascorsi venticinque anni da quel 1993, che hanno visto alternarsi alla presidenza russa prima Eltsin, poi Vladimir Putin, seguito da Dmitrij Medvedev e poi ancora Putin. Cosa è cambiato nella politica sociale russa in questo quarto di secolo?
Ieri, Aleksej Larin arrivava a dire su iarex.ru che per la Russia furono un bene le cannonate di Eltsin e l’affermarsi del potere presidenziale. Dopo “aver sconfitto il Soviet Supremo”, scriveva Larin, “Eltsin stabilì uno stile di governo quasi monarchico, o meglio, cesaristico. Gettò le basi dell’autocrazia e un rigido modello di gestione centralizzata, che tuttavia non potè usare. Ha però potuto farlo Putin, la cui comparsa è stata possibile solo in tale modello cesaristico. In una repubblica parlamentare, Putin non avrebbe avuto possibilità”.
Nelle settimane scorse sono stati declassificati numerosi documenti dalla biblioteca dell’ex presidente USA Bill Clinton; tra gli altri, frammenti di colloqui Clinton-Eltsin dall’aprile 1996 al dicembre 1999, compresa la registrazione dell’8 settembre 1999, durante la quale Eltsin presentava al suo omonimo yankee il proprio successore. “Ho avuto bisogno di molto tempo” diceva il golpista russo, “per valutare chi potesse essere il prossimo presidente nel 2000. Alla fine, mi sono imbattuto in lui, Putin”. E lo raccomandava al padrone di casa: “Ho capito che è una persona sicura, ben consapevole di ciò che rientra nella sua sfera di responsabilità. Allo stesso tempo è concreto e forte, molto socievole. E può facilmente instaurare buone relazioni e contatti con i partner. Sono sicuro che Lei lo troverà un partner altamente qualificato”.
La cosa era fatta. A differenza dei vecchi leader democristiani che, una volta insediati a Palazzo Chigi, volavano a Washington a ricevere l’investitura, Vladimir Vladimirovic la otteneva in anticipo.
Uno dei più sicuri sponsor di Vladimir Putin, oltre a Boris Eltsin, è considerato quell’Anatolij Čubajs che a inizio anni ’90 dirigeva il Comitato statale per i beni demaniali, era autore e coordinatore del programma di privatizzazioni; in seguito direttore generale della Compagnia per le Nanotecnologie e oggi presidente del consiglio di amministrazione di “RUSNANO”.
Nel 2015, in occasione del suo 60° compleanno, la Tass riportava alcune “perle” da sue dichiarazioni: “Il paese ha superato il passaggio dal piano al mercato: non è stato indolore; ma il passaggio dal totalitarismo alla democrazia il paese non l’ha superato”. E anche: “Odio il potere sovietico. Di più: ci sono poche cose nella vita che odi quanto il potere sovietico”; “La privatizzazione in Russia, fino al 1997 non è stata un processo economico. Ha adempiuto il compito principale: arrestare il comunismo. E questo compito lo abbiamo adempiuto”; “Credo che Boris Eltsin abbia fatto l’impossibile: ci ha condotti dalla non libertà alla libertà”; “Oggi non esiste Presidente migliore. E’ chiaro come Putin sia il più forte, il più appropriato e il più giusto”.
Appunto: Čubajs e Putin. I comunisti del VKPB (Partito comunista dei bolscevichi di tutta l’Unione) di Nina Andreeva sostengono ad esempio che Vladimir Vladimirovic “sia stato e rimanga uno dei leader della banda liberale che ha preso il potere nell’URSS. Singoli individui vanno e vengono dalla banda, ma l’essenza sociale e politica di essa resta invariata. Il compito di Putin è semplice, tenendo conto dell’opinione delle masse, garantire a quella banda di rimanere seduta sul collo delle masse anche in in futuro”. Fortunatamente, “il punto di vista delle masse, in questi 25 anni, è cambiato: i termini “liberale” o “democratico” hanno assunto un significato negativo tra le masse e la gente ha capito che l’unico obiettivo dei “democratici” è saccheggiare il popolo. Il momento in cui il popolo si solleverà è però ancora molto, molto lontano”.
Qual è la posizione di alcuni di quei “democratici” russi? La loro analisi, pur incentrata, come si conviene a dei liberali, sulle persone che sembrano “fare e disfare” la politica di Mosca, sull’onnipotenza e onnipresenza di singoli personaggi e non sui rapporti di classe dell’odierna società russa, tra quei “proprietari” auspicati da Čubajs e le decine di milioni di lavoratori, piccola-borghesia (medici, insegnanti, ecc.) con salari e pensioni (Putin ha firmato ieri il definitivo innalzamento dell’età pensionistica) da fame, non manca di alcuni spunti curiosi.
Nella traduzione dell’intervista che proponiamo, si sono volutamente saltati, qua e là, gli accenni alla politica estera, ai rapporti USA-UE, o le valutazioni su “chi minacci chi”, apertamente “democratiche” (non una parola, ad esempio, sulle minacce della NATO e sulle manovre militari che si svolgono ormai senza soluzione di continuità attorno ai confini russi: dal 25 ottobre al 7 novembre, per esempio, tornano le annuali “Trident Juncture”, che quest’anno, tra Norvegia, mar Baltico e Atlantico settentrionale, vedranno impegnati 45.000 uomini di 31 paesi) e ci siamo concentrati sulle considerazioni interne, ancorché infarcite di personalismi e considerazioni liberal.
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Intervistato da Russkij Monitor, il giornalista e politologo Dmitrij Zapolskij (negli anni ’90 era segretario della commissione sui diritti dell’uomo della municipalità di Leningrado) afferma senza mezzi termini che “Putin non è che il manager stipendiato della società per azioni denominata Federazione Russa”.
Russkij Monitor: Si può dire che il numero crescente di materiali che smascherano Putin e la sua cerchia, apparsi ultimamente sui media liberali russi e stranieri, suggerisca che nel paese sia iniziato il processo di cambio della élite?
Dimitrij Zapolskij: No, non si può. Tutto ciò testimonia solo la stanchezza di alcune élite, ma per ora non è in corso alcun ricambio. Io direi piuttosto che è in corso una crisi, ma è una crisi personale di Putin, il suo personale vicolo cieco, non del sistema nato più o meno nel 1990. Allora fu intrapreso il corso volto alla creazione di una “classe di proprietari” e al trasferimento di patrimoni e risorse a coloro che, dal punto di vista del gruppo Čubajs (a cui in seguito si avvicinò Putin), erano in grado di difendere armi alla mano la “giovane democrazia russa”. Poi, Putin fu scelto come custode del sistema, ma egli non è il suo creatore. I veri padroni di Putin e di tutti questi Rotenberg e compagnia, sono stati Čubajs, Nečayev, Fridman, Abramovic – tutti coloro che negli anni ’90 agitavano lo slogan “Solo una forte e feroce classe di proprietari capitalisti senza scrupoli (banditi), sotto il controllo di KGB-FSK-FSB, può proteggere la nuova Russia dai comunisti”.
Nel 1992 ho diretto la commissione statale per le indagini sulla privatizzazione illegale della Compagnia di navigazione del Baltico a Pietroburgo. I risultati del lavoro furono: 187 vascelli sottratti alla Compagnia, rubati una dozzina di edifici di valore e l’enorme base “Baltiets”. Portai tre faldoni di materiali all’allora mio amico e capo del “Goskomimuščestvo” (il demanio, ndt) Anatolij Čubajs: “Bisogna annullare al più presto la privatizzazione, hanno rubato l’intera flotta, centinaia di vascelli, mezzo miliardo di dollari; là ci sono dei banditi, agenti stranieri, è il caos!”. Era quasi notte, nell’ufficio che era stato di Brežnev, nella Piazza Vecchia, a Mosca, alla luce fioca di una lampadina, sorseggiamo il tè, Čubajs è esausto; a quel tempo lavorava giornate intere. “No, Dima, non l’annulleremo; tu, naturalmente, sei un eroe, ad aver condotto una tale indagine, ma non annulleremo la privatizzazione della Compagnia del Baltico. Abbiamo bisogno di una classe di proprietari, perfidi, forti, aggressivi. Altrimenti, saremo spazzati via dai comunisti e da altri mostri. Dopo faremo chiarezza su cosa è stato dato e a chi. Se non sei d’accordo, vai da Gajdar, ma Egor ti dirà la stessa cosa!”. Vado da Gajdar. “Egor Timurovic, la gente non ce lo perdonerà, la compagnia di Piter, una città di mare, la finestra sull’Europa, migliaia di posti di lavoro!”. E Gajdar, schioccando le labbra: “Non ci perdoneranno se falliremo la riforma e abbandoneremo il potere! Perciò, lascia che la proprietà se la prenda chi è in grado di gestirla; nessun ripensamento!”.
Molti anni dopo, chiesi a Putin, che dirigeva l’Ufficio di controllo del presidente, se fosse vero che lui e altri della cerchia di Sobčak guardavano a Čubajs come al loro leader. E Putin mi rispose del tutto seriamente che, sì, Čubajs è il leader più all’altezza “della nostra squadra”. Vale a dire, nel 1999, Putin si considerava membro della squadra di Čubajs. E andò alle elezioni come “uno dei”. Ora i politologi hanno la pappa nel cervello e i giornalisti ancor più, soprattutto gli ucraini. Putin non è un dittatore, un usurpatore, un capo-mafia o un “padrino”. Come per il passato, egli è “uno della squadra di Čubajs”. Uno di quelli che presero il potere in Russia nei primi anni ’90 e lo mantengono finora. Come prova più evidente di ciò, si può riportare il fatto che Čubajs, Gref, Kudrin, Medvedev, Mutko sono tutti in affari, tutti appagati e contenti. Naturalmente, oltre alla squadra “di Piter”, c’è anche la componente “Vološin”, cioè la squadra della “famiglia Eltsin”. Già da 25 anni in Russia conserva il potere un determinato gruppo di persone, che lavorano su determinati interessi e facendo perno su determinati strati della società. Si possono analizzare tutte queste componenti: quali strati, chi fa parte del gruppo, chi sono gli interessati. Ma considerare Putin capo di un clan mafioso è una semplificazione molto forte. Primitivismo politico.
Qual è oggi il reale ruolo di Putin?
Io lo inquadro così: Putin è presidente del consiglio di amministrazione della società per azioni “Federazione Russa”, ma lui è un azionista di minoranza, che diventa gradualmente azionista di maggioranza. Ed è anche un eccellente manager di una società che attraversa momenti difficili. Vale a dire: gli azionisti sono del tutto soddisfatti del suo lavoro; perlomeno, fino a pochissimo tempo fa, il suo lavoro li soddisfaceva al cento per cento. Ora, forse, questo gradimento è diminuito, ma non ha ancora raggiunto un livello critico. Quando stava per concludersi il primo mandato di Boris Eltsin (il cui rating era al 3%!), divenne chiaro che in Russia, come in tutti i paesi dell’Europa orientale, dopo il democratico carismatico, sarebbe venuto un comunista o un socialista, a correggere le distorsioni e gli errori predecessore. Ma ciò avrebbe significato la revisione delle privatizzazioni e, come minimo, un processo contro Čubajs, Gajdar e gli altri. E forse, anche contro lo stesso Eltsin, che aveva affidato loro il potere! Naturalmente, ciò provocò uno shock nelle file della più alta élite finanziaria e politica. Di fronte a tale minaccia, i più ricchi e i più forti furono costretti a far fronte comune. Parlando delle persone, ricordiamoci chi sponsorizzò il secondo mandato di Eltsin: i cosiddetti “Sette banchieri”: Fridman, Aven, Potanin, Gusinskij, Berezovskij, Khodorkovskij, Smolenskij. Nel 1996 essi controllavano il 51% dell’economia russa. Conclusero un patto originale con la famiglia Eltsin, dando vita a un’alleanza, garantendo l’inviolabilità dei capitali di quella famiglia e il proseguimento del corso di Eltsin.
Poi, nel gruppo entrarono Abramovic, in qualità di “portafoglio” di famiglia, Čubajs e Vološin, come amministratori (Čubajs anche quale collegamento con determinati circoli USA), e una serie di altre figure. Nonostante fosse lacerato da contraddizioni interne, tale gruppo teneva tenacemente il potere. Fin dall’inizio del suo secondo mandato, Eltsin fu di fatto estraniato dalle autentiche leve di direzione per motivi di salute e il gruppo (possiamo proprio chiamarlo “junta”) si mise attivamente in cerca del successore. Ci fu un casting prolungato. Eltsin e Naina Iosifovna (sua moglie, ndt) sognavano di portare al Cremlino Nemtsov, per i legami familiari con Naina. Vološin puntava su Stepašin. Si guardò a Lebed (Aleksandr Lebed, eroe del conflitto in Transnistria e poi della guerra in Cecenia, ndt), all’oftalmologo Fëdorov e al casting partecipò addirittura Nikita Mikhalkov; si cercò di “scolpire” un candidato dal nulla, si considerarono anche opzioni molto esotiche, del tipo dell’incoronazione del pupillo della famiglia Hohenzollern, con Čubajs come reggente. Il quale ultimo avrebbe voluto, ma non potè, a causa della sua reputazione di scaltro e subdolo ingannatore. Nel 1998 il rublo crolla, l’intera economia va all’inferno, falliscono Inkombank di Vinogradov, Most-Bank di Gusinskij e SBS-Agro di Smolenskij. Restano a galla Berezovskij, Khodorkovskij, Abramovic, Aven, Fridman, Čubajs e Vološin; il gruppo si rafforza con l’ingresso di Primakov. Prendono in mano la direzione e la junta inizia, con forza raddoppiata, a cercare il successore per il Cremlino. (...)
Come risultato di questo casting, fu trovato Putin. A proporlo a Eltsin fu proprio Čubajs, e non Berezovskij o qualche altro “banchiere ortodosso”. Naturalmente, la cosa fu concordata con l’establishment americano. La candidatura andava bene a tutti. La “famiglia” valutò positivamente Putin e la decisione fu presa abbastanza in fretta. Fu così che divenne il successore al trono eltsiniano, facente funzioni di presidente ed entrò facilmente al Cremlino. Nel frattempo, all’interno della junta erano sorte contraddizioni; due uomini, Berezovskij e Khodorkovskij, avevano cominciato a tirare dalla propria parte: un’azione questa, come mostrarono gli eventi successivi, non troppo ponderata. Ben presto, per decisione collettiva, Berezovskij e Khodorkovskij vengono esclusi dal gioco e, ai posti liberatisi, nelle fila dell’oligarchia entrano nuovi membri – i vari Rotenberg, Kovalčuk, Šamalov, vale a dire la cooperativa “Ozero” (i liberali la associano a Putin e a Medvedev, ndt). Ma gli obblighi per Putin rimangono e lui li rispetta fedelmente: Berezovskij non viene eliminato e gli si offre l’opportunità di fuggire in Inghilterra; Khodorkovskij si rifiuta di emigrare e viene messo in manette. Credo che le decisioni in tal senso non siano state adottate personalmente da Putin, ma collegialmente da chi lo ha prodotto: Vološin, Čubajs, Fridman, Aven, Primakov e le élite straniere, i cui interessi sono rappresentati da Čubajs e Primakov. Questi sono gli azionisti di maggioranza.
Lei ha parlato delle élite straniere tra gli azionisti di maggioranza; al momento, sta cambiando il loro atteggiamento verso Putin?
Penso che le stesse élite straniere mutino, insieme alla loro visione dell’ordine mondiale. Naturalmente, l’atteggiamento verso Putin è cambiato, ma ciò è per lo più una commedia: Putin sta facendo quanto nessuno abbia fatto per le élite politiche occidentali, e soprattutto per gli Stati Uniti. Non è difficile ricordare il mondo di cinque anni fa. L’influenza USA in Europa era minima, la NATO andava avanti per inerzia, nel Baltico si rafforzavano le forze pro-russe, tutta l’Europa era ostaggio della Russia con il suo gas, petrolio e (cosa principale!) mercato di consumo praticamente sconfinato. Oggi, la NATO è come una fenice che rinasce dalle ceneri, l’Europa si consolida, l’influenza degli Stati Uniti quale unica speranza in caso di conflitto è cresciuta come ai tempi di Khruščëv. Per alcune élite occidentali e americane, Putin è una manna! Proprio a Putin, la Georgia è debitrice della sua “rivoluzione delle rose”, l’Ucraina di due majdan, la Turchia del suo verosimile ingresso tra qualche anno nella UE. (...)
Tornando all’elenco degli azionisti di casa che Lei ha rammentato, qualcuno di essi è pronto a votare contro Putin?
Difficile a dirsi. Credo, nessuno. Per prima cosa, Putin ha dimostrato al suo entourage che non abbandona nessuno, adempie a tutti i suoi obblighi in modo dettagliato e puntuale. In secondo luogo, essi sono interessati alla stabilità della situazione. Tutto è tranquillo, stabile e va a gonfie vele per Potanin, Fridman, Aven, Čubajs, Abramovic; e ora anche Prokhorov si è guadagnato il diritto a entrare come candidato in questo “Politburo”. Perché votare contro? Perché cambiarlo? Proprio dalla sua cerchia io non vedo alcuna minaccia per Putin. Sottolineo ancora una volta: quando le élite europee e americane cominceranno il processo di esclusione di Putin, sotto sanzioni finiranno i veri azionisti della SpA “Federazione Russa” e non il management di medio livello, che attinge ai bonus dei vari Rotenberg e Kovalčuk. Quando sotto le sanzioni finiranno “Rosnano” e Čubais, allora si potrà scrivere che tutto è perduto. Ma per il momento, si tratta solo di mosse rituali. Per ora, Putin non minaccia nulla né all’esterno né all’interno.
Speculazioni di varia natura sull’onnipotenza di Čubais ce n’erano a sufficienza alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, ma è difficile credere che oggi nella gerarchia del Cremlino Čubais sia al di sopra di Rotenberg.
Incommensurabilmente più in alto! Che si provi Rotenberg, in una qualsiasi cena di lavoro, a dire che ha un sacco di soldi. Una settimana dopo, si ritroverebbe a mendicare, dopo aver trasferito lui stesso i propri beni a un qualche aiutante, del tipo di Secin. Contro Čubais ha timidamente abbaiato solo Dvorkovic. Ricordate le parole di Putin: “è il più degno di noi”. E’ cambiato qualcosa da allora? Ha cambiato posto di lavoro e moglie. E allora? Si raccapezza forse peggio nelle nanotecnologie che nel coseno a circuito chiuso? Era il reggente e tale rimane.
Tutto ciò non sembra cospirologia?
No. Nessuna cospirazione, nessuna teoria del complotto: è tutto palese. Quando il potere nel 1991-1994 era appeso a un filo, quando in qualsiasi momento poteva esserci un colpo di stato militare, disordini operai di massa, scontri armati con la folla che va all’assalto di un odierno Smolnij/Palazzo d’Inverno, la questione dell’approvvigionamento del paese fu decisa dagli americani e dai paesi NATO. Si dette vita ai cosiddetti aiuti umanitari, si trasportavano senza sosta cosce di pollo, alcol, sigarette e latte in polvere, per scongiurare sul nascere le manifestazioni popolari. In cambio, come è noto, Eltsin nominò Andrej Kozyrev al Ministero degli esteri e Čubais alle privatizzazioni.
Ricordate come il ministro Bakatin trasmise agli americani lo schema di intercettazione nel nuovo edificio dell’ambasciata USA? L’intero settore industriale strategico fu non ufficialmente declassificato attraverso il Goskomimuščestvo, cui erano stati trasferiti tutti i documenti del Gosplan per decidere sulle privatizzazioni. Il processo analitico fu condotto da consiglieri americani: non è affatto un segreto. Guidava il gruppo Jonathan Haye, diventato poi famoso, anche negli Stati Uniti, per essere finito in tribunale per frode, nonostante fosse membro effettivo dell’intelligence. Non c’è alcuna cospirazione; semplicemente, a nessuno piace ricordare... Da allora, la Russia si è alzata dall’essere in ginocchio; ma nessuno ha cancellato i risultati delle privatizzazioni, nessuno è stato condannato, nemmeno a parole. (...)
D’altra parte, l’Occidente non ha seguito meno attentamente i progressi delle riforme in altri paesi del blocco orientale. Ma lì la cosa non ha portato a conseguenze così penose. Perché la Russia non è diventata membro della NATO, perché non è diventata quantomeno membro candidato per l’adesione alla UE, anche con scadenze di adesione incerte, come la Turchia?
Questa è una domanda molto interessante! Ricordiamo che all’inizio del primo mandato, la Russia non faceva altro che chiedere l’adesione alla NATO; Putin lo ha dichiarato apertamente. Era stata messa a punto una piattaforma transitoria e creata una struttura comune. Da entrambe le parti ci si preparava all’ingresso. Poi improvvisamente tutto andò in frantumi. Credo che abbiano agito due fattori: da un lato, la cricca dirigente in Russia non riuscì a mettersi d’accordo con i generali e l’industria militare, dato che si sarebbe dovuto riequipaggiare completamente l’esercito secondo gli standard NATO e ciò significava abbandonare un enorme flusso di tangenti. (...) Se la Russia fosse entrata nella NATO, tutti questi ordinativi sarebbero diventati trasparenti. Putin stesso a suo tempo rimase sbalordito da queste perdite colossali, allorché incaricò il finanziere Serdjukov di occuparsi della faccenda. E poi fu costretto a sacrificarlo sotto la pressione di generali e industria militare. Questa fu la prima ragione per rifiutare di aderire alla NATO. La seconda ragione è che la leadership russa si ritenne ingannata quando fallì il piano di Kučma (Leonid Kučma: presidente ucraino dal 1994 al 2005, ndt) in Ucraina. Allora fu chiaro che a Kiev operavano i servizi occidentali... Le élite russe si sentirono minacciate. E poi ci fu la rivoluzione filoamericana in Georgia, e ancora gli scandali spionistici con la Gran Bretagna...
La domanda più interessante qui è un’altra: la cosa non era così concepita fin dall’inizio? Cioè, l’Occidente voleva giocare alla partnership con la Russia, sedurla e poi lasciarla. Proprio per poter disporre di un “nemico” deliberatamente debole.
Le ragioni del rifiuto della Russia di aderire alla NATO all’inizio del 2000 sono che l’establishment americano, guidato dal non brillante presidente Bush, chiuse semplicemente la porta a questa opportunità unica per tutta l’umanità. Avrebbero potuto comprare i generali russi, come quelli iracheni, ma non lo fecero. Molto probabilmente, a causa dell’avidità, giocando sull’aumento di prezzo del petrolio.
Per quanto riguarda l’adesione alla UE, fu sin dall’inizio fuori questione: essere membro dell’Unione europea, significa porre sotto controllo collettivo tutti i flussi finanziari, il che contraddice direttamente con l’idea della junta di non condividere niente con la società.
All’inizio della nostra intervista, Lei ha detto che negli anni ’90 fu deciso di creare una “classe di proprietari” e di trasferire patrimoni e risorse sotto il controllo del KGB. Lei sostiene che Putin non è nemmeno l’azionista di maggioranza, che Čubajs gli è addirittura superiore nella gerarchia e che dietro a Čubajs stava il FSB; ma, lo stesso Putin era a capo di questa struttura. Come si lega tutto questo?
Putin divenne capo del FSB quando la sua candidatura era già stata approvata. Cioè, era solo una tappa. In generale, si ritiene che il FSB sin dai tempi di Bakatin fosse sotto controllo del gruppo Čubajs e che tutto ciò che è avvenuto in seguito andasse nella direzione dovuta. Ma il SVR (Služba vnešnej razvedki: Servizio di intelligence estero, ndt) l’ex Primo Direttorato del KGB, rimase fuori dalla sfera del gruppo, ricadendo sotto il controllo di Primakov. Ricordate come Berezovskij “fece fuori” Primakov (e Lužkov) prima dell’elezione di Putin. Fu una lotta tra servizi speciali. Per qualche ragione, tutti dimenticano che Berezovskij nel 1997-’98 era vice segretario del Consiglio di sicurezza russo, cioè, di fatto controllava il FSB. Tra l’altro, alla vigilia delle presidenziali, Primakov tentò di arrestarlo, con l’accusa di frode.
E in che modo il gruppo Čubajs riuscì a prendere il controllo del FSB?
Sin dall’inizio, più di ogni altra cosa Eltsin aveva paura del KGB e tutta la sua squadra aveva paura di rivelazioni d’archivio. Molti erano agenti segreti, qualcuno collaborava con l’intelligence occidentale. Insomma, la prima cosa dopo il crollo dell’URSS fu la creazione di un nuovo servizio speciale, a cui poi fu associato ciò che rimaneva del KGB. Tutto questo processo fu curato da Sergej Stepašin. Ero in ottimi rapporti con lui e mi ha raccontato cose interessanti. Stepašin era vicino a Čubajs e alla sua squadra. Sebbene in seguito abbia preso le distanze dai democratici entrando a far parte di “Jabloko”, quando Javlinskij (Grigorij Javlinskij: economista liberale, vice primo ministro della RSFSR nel 1990, ndt) gli promise di rimetterlo al posto di primo ministro se avesse vinto le elezioni presidenziali. Gli costò la carriera: Sergej Vadimovic fu allontanato dal FSB e la struttura fu trasferita a Putin. Naturalmente, la faccenda fu curata da Čubajs che, insieme a Vološin, dal 1995 stava dietro a tutti i problemi interni. E fu Čubajs a eliminare Stepašin, per mettere al suo posto Putin. In breve, il FSB è stato creato sotto Čubajs e la sua squadra. Di nuovo, nessun segreto, sono fatti storici evidenti.
D’altra parte, se il quadro che Lei ha delineato è vicino alla realtà, allora perché questo “consiglio degli azionisti” non rimuove Putin, quando le sue mosse politiche avvicinano sempre più la Russia a un conflitto militare con l’Occidente, in cui Putin, con ogni evidenza, fallirà. Cosa darà tutto ciò a Fridman e Prokhorov e ai loro compagni?
Fonti pubbliche affermano che Čubajs ha fatto parte per lungo tempo del consiglio internazionale della banca J.P.Morgan Chase; ora è stato sostituito da Gherman Gref, figura a lui vicina e ne fanno parte, tra gli altri, Tony Blair e Henry Kissinger. Si ritiene che Čubajs rappresenti quella parte dell’establishment americano, che fa affidamento non su Israele, ma sul resto del mondo. Quindi, Čubajs è un protetto del più influente gruppo imprenditoriale transnazionale che sostiene la Federal Reserve statunitense. Detta così, suona abbastanza terribile; di fatto, egli è un abile lobbista di uno dei più potenti gruppi finanziario-industriali USA in Russia. E non c’è nulla di criminale in ciò. La prima economia mondiale ha il diritto di avere rappresentanti dei propri interessi nei paesi creati dagli americani o da essi salvati da un crollo militare o economico.
E, a proposito dell’approssimarsi di un collasso militare, non vedo un simile approssimarsi. In senso militare, la Russia è in evidente ritardo rispetto al blocco NATO; la flotta è al sesto posto nel mondo dopo India, Cina e Giappone. E la flotta americana è più forte di tutti gli altri messi insieme. Anche nelle armi offensive, non siamo molto avanti, come in tutti gli armamenti in generale, tranne che per la triade nucleare, che è ancora in grado di colpire gli Stati Uniti e i loro alleati. E poi? La guerra nucleare mondiale è uno spauracchio, non è uno scenario che abbia senso prendere in considerazione, perché dopo di esso non ci sarà storia, l’umanità cesserà di esistere nella forma che esiste ora. E, nonostante il fatto che l’inverno nucleare sia più un’invenzione di propaganda che uno scenario reale, dopo uno scambio di colpi nucleari nessuna delle forze politiche e dei regimi in tutto il mondo sarà in grado di rimanere invariato e funzionare normalmente.
Pertanto, una guerra nucleare (da non confondere con il ricorso all’arma nucleare tattica) fa parte degli incubi notturni dell’umanità.
Spaventare con la bomba è possibile e anche vantaggioso, ma usare forze strategiche è irrealistico, non ha senso. E Putin non lo farà, così come non lo ha fatto Khruščëv e non lo avrebbe fatto Stalin. Ma in qualità di spauracchio, con una bomba arrugginita in mano, Putin è la figura ideale per USA e Europa. Ripeto: cinque o sette anni fa, molti economisti credevano seriamente che il dollaro sarebbe caduto in rapporto all’euro, che l’America si sarebbe impantanata nella bolla del debito e che si andasse incontro a una lunga recessione, come negli anni ’30. Si andava davvero in quella direzione; poi, come per magia, Medvedev mandò i carri armati a Tbilisi. Ecco che l’esistenza della NATO in Europa acquista un senso. Putin torna al potere e tira fuori dalla naftalina i bombardieri strategici dei tempi di Očakov e della conquista della Crimea (espressione letteraria da “Che disgrazia l’ingegno” di Aleksandr Griboedov, ndt). E si poi arriva alla vera conquista della Crimea, e gli Stati Uniti tornano improvvisamente a essere leader del mondo libero – arrivederci crisi! E se non fosse per Putin, probabilmente ora un dollaro varrebbe 30 centesimi di euro... Niente preoccupa né Fridman, né Aven, né Čubajs. Non c’è motivo di preoccupazione, il regime in Russia può durare almeno altri cinque anni in questa forma. E poi, secondo l’usanza russa, trasformarsi tranquillamente in qualcosa dal volto umano. E Fridman o Čubajs non c’entreranno niente: di cosa si dovrebbero accusare? Persone cristalline... Ecco, Abramovic, di’ quello che vuoi, ma per la legge britannica è lindo come una lacrima di bambino. Ed è così per l’intera camarilla, tutti ugualmente senza peccato come il Papa. E cosa sarà di Putin? Difficile dirlo. Molto probabilmente, la junta lo considera il sovrano perenne della Russia. Ahimè...
E quali sono i membri della junta che hanno conservato la loro influenza?
Credo che la cerchia sia la stessa, con un piccolo allargamento e un difetto “naturale”: Čubajs, Vološin con le sue “quote familiari”, Fridman, Abramovic, Potanin, come principali azionisti. Medvedev, il gruppo “Ozero” (tutti di secondo piano, ma come gruppo sono piuttosto influenti), Ivanov, Miller, Sečin, come azionisti di minoranza. Certo, ci sono i detentori di una o due azioni, hanno persino accesso alle assemblee degli azionisti, ma il pacchetto di controllo resta alla “vecchia guardia” e a Putin stesso. Non sono uno specialista. Constato solamente che Putin non è uno zar, non è un padrone, non un autocrate. E’ un manager salariato, anche se riceve bonus sotto forma di azioni della sua Società per Azioni. Non credo nei suoi miliardi di dollari, nascosti in chissà quali banche segrete. Ritengo in generale impossibile che possieda denaro e patrimoni, dato che non c’è per lui un’uscita personale dal sistema del suo potere, e se non c’è uscita, allora perché accumulare? È del tutto possibile che lasci dopo di sé una decina di abiti, una dozzina di scarpe, (riferimento a Stalin che, si dice, alla morte non possedeva che un uniforme da generalissimus e un cappotto militare, ndt) una pistola premio con il profilo di Dzeržinskij e una siringa con Botox.
Dunque, di fatto la configurazione non è cambiata?
E’ la stessa di prima. Putin rispetta fedelmente i propri obblighi, cercando in ogni modo di mantenere l’unità del Paese, l’unità del governo e se stesso come garante. Sacrifica la propria cerchia, i propri amici, i seguaci, ma non tradisce coloro che sin dall’inizio detengono il pacchetto di controllo: Čubajs (e tutta la sua squadra, da Gref e Kudrin, a Gozman, fino all’ultimo impiegato) Abramovic, Potanin, il gruppo-Alfa. E lui non si arrenderà mai. E neanche loro lo abbandoneranno. Si ritiene che il gruppo-Alfa costituisca un’opposizione alternativa a Putin, mentre la squadra-Čubajs risolve con successo i problemi con l’America, in modo che Putin non finisca del tutto fuori bordo. In fin dei conti, è chiaro a tutti il ruolo della Russia quale potenza regionale. Tutto il resto, Crimea, Janukovic, e altro, sono tutti giochi a uso interno.
Il loro effetto reale è il consolidamento della NATO, il rafforzamento del ruolo USA in Europa, la spinta dei paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale vero la UE. Tutto come prima, senza nessun cambiamento. Semplicemente, tutti i partecipanti a questo processo sono molto stanchi, invecchiati e l’obiettivo più importante è quasi raggiunto: la CSI è crollata, la Russia non è più leader nello spazio post-sovietico, l’Europa non è più ostaggio di Gazprom. Beh, quasi non più ostaggio, rimane ancora un po’ da fare. (...)
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