Tra i suoi libri più famosi, “La scatola nera” e “In terra di Israele”. Le sue opere sono state pubblicate in 45 lingue in 47 paesi nel mondo e ha ricevuto numerosi premi e onorificenze.
Amos Oz è stato uno dei principali esponenti del così detto “sionismo morbido”, ovvero, quel sionismo “gentile” che pur propugnando un dialogo tra i due popoli, non ha mai rinnegato né le basi ideologiche, né i crimini del sionismo.
Oz si è dichiarato contrario all’attività colonizzatrice sin dall’inizio ed è stato tra i primi a sostenere gli Accordi di Oslo e le trattative con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Tuttavia, nei suoi discorsi e nei suoi saggi, Oz ha sempre duramente attaccato la sinistra antisionista ed ha rivendicato, ogni volta, la sua identità sionista. Molti osservatori di destra lo identificavano come il portavoce più eloquente della “sinistra sionista”.
Amos Oz si è schierato contro l’occupazione, ma solo contro quella avvenuta dopo il 1967. Amos Oz non ha mai pronunciato una benché minima parola di condanna contro il lento genocidio perpetrato ai danni del popolo palestinese, né sull’apartheid sul quale si fonda lo stato di Israele. Benché fondatore dell’organizzazione israeliana pacifista “Peace Now”, Amos Oz non ha mai speso una parola di condanna per ogni massacro perpetrato da Israele nei confronti del popolo palestinese.
Eppure Israele, dal 1967 in poi, si è macchiato di gravi crimini contro l’umanità. Anzi, quando 10 anni fa, l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” causò la morte di 1.800 palestinesi, di cui 410 bambini, più 5.300 feriti e 80.000 sfollati, Amos Oz, con i suoi scritti, giustificò quell’operazione quale “azione tesa a migliorare la sicurezza degli israeliani”. Del resto, insieme a David Grossman e Abraham B. Yehoshua, Oz aveva anche appoggiato la guerra israeliana in Libano del 2006.
Se, da un lato, Amos Oz ha sempre auspicato la nascita di due Stati, dall’altro non ha mai speso una parola di condanna per la brutale politica israeliana di costruzione di insediamenti dei coloni ebrei nei territori occupati e delle sistematiche violenze nei confronti dei civili palestinesi che caratterizzano questa attività.
Amos Oz aveva anche approvato pubblicamente il recente trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme.
Insomma, Amos Oz era un sionista.
Gideon Levy * lo ho ricordato così su Hareetz:
”Come puoi amare una persona così tanto quando le sue opinioni esprimono tutto ciò che odi della sinistra sionista? Come puoi amare un sionista giurato così pieno di una fede penetrante nella giustizia del sionismo? Come puoi amare un ottimista così incorreggibile? Come puoi amare il volto più bello del paese, un paese la cui immagine è stata trasformata in un’illusione? Come puoi amare una persona così raffinata, le cui frasi pronunciate sembrano provenire dal suo ultimo libro? Come poteva Amos Oz essere così amato; come poteva non essere così amato? Il segreto era nella sua personalità vincente e nel suo fascino, nella sua straordinaria modestia, nella sua magia. Ogni incontro con lui è stata un’esperienza mozzafiato; ogni conversazione telefonica era piena di speranza, incluso l’ultimo giorno, quando aveva promesso che, nel momento in cui la sua febbre fosse sparita, ci saremmo incontrati di nuovo. C’era qualcosa di indimenticabile in lui ogni volta che ci incontravamo.(Il Profeta Amos Oz è stato l’ultimo dei sionisti morali di Gideon Levy, da Haaretz del 30 dicembre 2018)
Questo fu chiaro fin dal giorno in cui gli portai la bozza di uno dei discorsi importanti su Shimon Peres. È stato chiaro nel Yom Kippur del 2002, quando ho seguito le orme di “Una storia d’amore e di tenebra”. Sono andato al 175 Ben Yehuda Street, dove vivevano sua madre e sua sorella, e da lì a Yefe Nof Street, il vicolo di Tel Aviv dove sua madre camminava prima di suicidarsi.
È stato chiaro alla cena del 2010 con AB Yehoshua e Mario Vargas Llosa, dove Oz immaginava che uno di loro avrebbe vinto il premio Nobel poche settimane dopo (Vargas Llosa ha vinto).
Israele sarà un paese diverso senza di lui. Non accadrà subito, ma improvvisamente vedremo che non è rimasto niente del paese che una volta pensavamo fosse bello e giusto. Che siamo rimasti con Miri Regev.
Abbiamo già una mini-Trumputopia qui, ma c’erano alcune vecchie luci distinguibili che illuminavano l’oscurità travolgente. Ora questi proiettori sono stati estinti. Abbiamo sempre saputo che, nonostante tutto, avevamo ancora Amos Oz. Non è più così.
Qualche mese fa mi diede una fotocopia di una lettera scritta decenni fa dal filosofo Yeshayahu Leibowitz all’editore del giornale Davar, Hannah Semer. “Sono vicino all’opinione di Amos Oz secondo cui l’occupazione dei” territori” – dove stiamo schiavizzando un milione e mezzo di arabi – distruggerà il popolo e il paese e ci corromperà come ebrei e come persone nella nostra natura nazionale, sociale, umanitaria e morale”, ha scritto Leibowitz. “E diventeremo una Rhodesia israeliana, condannata alla degenerazione e alla distruzione”.
La data era l’8 settembre 1967, tre mesi dopo la guerra dei sei giorni. Oz aveva 28 anni. Il profeta Amos nel 1989: “Il messianico, ignorante e crudele, che nasce da un angolo oscuro del giudaismo, minaccia di distruggere tutto ciò che ci è caro e santo per noi, per lanciare su di noi una follia rituale di spargimento di sangue... Nablus e Hebron sono solo i mezzi, solo le stazioni sul sentiero di Levinger e Kahane per diffondere il loro folle controllo su Tel Aviv, Gerusalemme e Dimona.“.
E il profeta Amos, nello stesso discorso: “Se non ti alzi – tu Mr. Shamir, e anche tu, signor Rabin, e chiami omicidio l’omicidio, anche tu non sarai immune dai proiettili degli assassini“.
Non aveva ragione su tutto. Credeva che gli ebrei e i palestinesi dovessero divorziare, come disse lui, adottando un approccio simmetrico verso entrambi i popoli, una simmetria che non è mai esistita in alcun modo.
In una delle sue ultime lezioni, che è diventata virale con più di 100.000 visualizzazioni su YouTube, ha attaccato la soluzione a uno stato che il suo buon amico Yehoshua aveva abbracciato, affermando che non ci sarebbe mai stato uno Stato binazionale, ma solo uno stato arabo con un Minoranza ebraica. In quel discorso è andato contro le mie descrizioni dell’apartheid.
L’ultimo dei sionisti morali non poteva credere che la situazione fosse diventata così grave e incorreggibile. Sì, Oz era l’ultimo dei sionisti morali. Esattamente come credeva l’altro giorno che ci saremmo incontrati per un caffè, credeva che il paese sarebbe stato diviso. Non è successo. Apparentemente non succederà mai. Che tristezza, che tristezza”.
* Gideon Levy
Nato nel 1955 a Tel Aviv, figlio di un’immigrata ceca e di padre tedesco che erano giunti in Palestina nel 1939, in fuga dal nazismo, e si erano stabiliti a Tel Aviv. Il padre, che era dottore in diritto, lavorò duramente perché Gideon ricevesse una buona istruzione, arrivando a trovare impiego come venditore ambulante di gelati. Nel 1974 Gideon Levy presta servizio militare alla radio dell’esercito israeliano, Galeu Tsahal.
Nel 1978, insieme a Yossi Beilin, è assistente di Shimon Peres in qualità di portavoce.
Comincia a lavorare come giornalista nei territori palestinesi occupati nel 1986, esperienza che modifica la sua visione del conflitto. È l’esordio di un’interessante carriera giornalistica e di un’evoluzione personale che lo porta a prendere posizioni diametralmente opposte a quelle precedenti.
Nel 1996 riceve il premio Emil Grunzweigh per i Diritti Umani. Da una ventina d’anni lavora al quotidiano israeliano Haaretz come giornalista ed editorialista. Molto critico nei confronti dell’occupazione israeliana, scrive per questa testata una rubrica settimanale intitolata “Twilight Zone” (“Zona d’Ombra”), nella quale descrive le difficili condizioni di vita della popolazione palestinese occupata e riporta le violazioni perpetuate quotidianamente contro i palestinesi dall’esercito e dalle autorità d’occupazione.
I suoi scritti sollevano grandi polemiche nella coscienza sopita della società israeliana, che Levy si propone di scuotere e risvegliare, e contrariano la classe dirigente. L’ex ministro della difesa Saul Mofaz soleva dire: “Ma come, non siamo una democrazia? Lasciamo scrivere Gideon Levy!”.
I suoi articoli che descrivono le tante umiliazioni, le violazioni quotidiane e gli abusi di tutti i tipi, non hanno mai potuto essere smentiti, per quanto siano criticati da molti colleghi e connazionali. “Sarajevo è a Rafah”, ha scritto in uno dei suoi articoli in risposta a coloro che paragonavano Siderot alla città bosniaca. “Negli ultimi cinque anni i missili artigianali dei palestinesi hanno ucciso due persone a Siderot, mentre solo a Gaza l’esercito israeliano ne ha uccise 3000. Dal 25 giugno del 2006 si sono aggiunte 200 vittime, un terzo delle quali è costituito da bambini”.
Levy ritiene che “l’occupazione sia un cancro che divora più del terrorismo”, e dice di sentirsi “profondamente in colpa” e di non poter sopportare “che in mio nome si compiano tante azioni inqualificabili”. Pensa che la sconfitta di Israele in Libano sia stata positiva perché la società si è finalmente “posta delle domande su se stessa”.
Diversamente da intellettuali e attivisti come Amos Oz o David Grossman, nel 2006 Levy si è opposto apertamente alla guerra dei 33 giorni in Libano. Ha espresso con forza le proprie critiche nell’articolo “Il vantaggio di una sconfitta”. (tratto da http://www.tlaxcala-int.org/biographie)
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento