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02/02/2019

La Cina abbandona la “carta” finanziaria

Si sono conclusi due giorni fa i colloqui tra Usa e Cina per risolvere la disputa sui dazi. Che qualcosa di grosso stesse succedendo lo si è potuto capire il pomeriggio del 29 gennaio, quando il sito in italiano di Radio Cina Internazionale batteva la notizia che, oltre allo stratega vice Premier Lui He, nella delegazione cinese vi era il Governatore della People’s Bank of China, la banca centrale cinese, Yi Gang e il vice Presidente della Commissione per le riforme e la pianificazione Jintze, cioè colui il quale decide i mega investimenti cinesi.

Poco si sa dei colloqui, tutto è rimandato ad un summit tra Trump e Xi Jinping a fine febbraio. In ogni caso la Cina negli stessi giorni comunicava che il 5 marzo l’Assemblea del Popolo avrebbe approvato una legge sugli investimenti esteri che permette agli operatori oltre confine di avere la maggioranza e di non trasferire tecnologia. Inoltre, sembra comunque che i servizi finanziari americani avranno accesso al mercato cinese.

Dunque, parte del risparmio cinese vola a Wall Street. Inflessibili i cinesi nel rifiutare qualsiasi modifica degli assetti strutturali della loro economia, basati sui colossi statali, che nel 2018 hanno fatturato 4300 miliardi di dollari, 1/3 del pil cinese.

Sembra non si sia parlato del debito pubblico americano, d’altronde è da più di un anno che la Cina non compra Treasury bond. Non vogliono più “la carta”, non sono più interessati al capitale produttivo di interesse, tant’è che dal 2017 vi è una feroce repressione del sistema finanziario ombra.

La scorsa settimana, su questo giornale, è stato pubblicato l’editoriale di Guido Salerno Aletta in cui si affermava che nell’ultimo decennio la Cina ha prodotto risparmi pari al 492% del pil, con il debito societario salito al 188% del pil.

La Cina vuole diminuire il rapporto del debito societario ed è probabile che parte del sistema finanziario ombra verrà gestito dagli americani (e forse dai londinesi). Si tratta di capire come allocare il resto del credito e dello stock di risparmio, visto che il tasso di risparmio è pari al 50% del pil.

Per diminuire la carta finanziaria e il debito societario i cinesi puntano a diminuire il fortissimo tasso di risparmio, molto dovuto a precauzione per far fronte a spese sanitarie e previdenziali.

Abbiamo già informato delle fortissime detrazioni e deduzioni ai lavoratori cinesi approvati il 24 dicembre. La Cina si appresta entro il 2020 a dare 3 medici generici ogni 10 mila abitanti a tutti i cinesi, comprese le aree rurali. Stanno studiando il sistema previdenziale italiano e francese ed è probabile che nei prossimi anni, accanto alle assicurazioni, ci sarà un pilastro pubblico.

Si gioca sul welfare per diminuire il tasso di risparmio e da qui il tasso di investimento e i debiti societari. Dove verrà allocata la massa di stock di risparmio?

Negli ultimi dieci anni la Cina ha aumentato il tasso di investimento pubblico per aumentare la produttività totale dei fattori produttivi e allinearla agli standard occidentali. Tale aumento ha consentito di reflazionare i salari e allargare il mercato, soprattutto dal lato dei consumi interni, che nel 2018 hanno contribuito per il 76% alla crescita del pil. E’ capitale industriale, in luogo di capitale produttivo di interesse, cioè “carta” finanziaria.

Ora replicano in Asia e Africa il modello: investimenti infrastrutturali, industrializzazione, aumento della produttività totale dei fattori produttivi, reflazione salariale, nascita di un mercato. Questo lungo la Via della Seta, contrapposta alla “carta” finanziaria americana ed europea.

I cinesi lasciano mano libera agli americani sul sistema finanziario ombra cinese, se qualche arricchito cinese vuole sbattere contro il muro lo faccia, sembra dire la dirigenza cinese. Loro, difendendo i colossi pubblici, le “corazzate del socialismo con caratteristiche cinesi”, propendono per il capitale industriale; marxianamente, l’unico che dia valore.

Accomodati, Occidente, nel falò della vanità della “carta”. Loro pensano alla produttività totale dei fattori produttivi e alla creazione di mercati alternativi a quelli occidentali. Il gioco del prossimo decennio.

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