di Michele Giorgio
L’Albania, una decina di
giorni fa, è stato l’ultimo paese ad unirsi a Stati Uniti, Bahrein,
Arabia Saudita, Regno Unito e Australia, l’alleanza che giovedì
da Manama ha dato il via all’“Operazione Sentinella”. Si tratta di una
task force navale che ufficialmente dovrà proteggere con pattugliamenti,
scorte e controlli il trasporto marittimo, soprattutto quello
petrolifero, nelle acque del Golfo e nel Mar Arabico, la parte
nord-occidentale dell’oceano Indiano. Ma il vero scopo è quello di
tenere sotto pressione l’Iran, al quale Washington attribuisce
la responsabilità degli attacchi ad alcune petroliere in transito nel
Golfo avvenuti a partire dallo scorso maggio e di aver poi colpito, lo
scorso 17 settembre, con droni e missili due importanti impianti
petroliferi sauditi. Tehran ha sempre negato il suo coinvolgimento e ha
avanzato proprie proposte per rafforzare la sicurezza del Golfo che
escludono la presenza di paesi che non siano quelli della regione.
«Questa operazione non ha componenti offensive, le parti si
impegnano a difendersi in caso di attacco», ha precisato Jim Malloy,
comandante delle forze navali degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Le rassicurazioni di Malloy lasciano il tempo che trovano. Un incidente
nel Golfo, stretto e affollato, potrebbe innescare reazioni immediate,
trasformando la «difesa» della navigazione di cui parla l’ufficiale
americano in un attacco massiccio contro Tehran. L’“Operazione
Sentinella” perciò sembra presentare più rischi che garantire sicurezza
al traffico marittimo. Il comando, affidato al contrammiraglio Alvin Holsey, avrà il suo centro di coordinamento in Bahrain,
già base della V Flotta Usa e della Combined Maritime Forces (33
paesi). Le petroliere e le altre navi commerciali saranno scortate da
unità da guerra dal Golfo verso lo Stretto di Bab el Mandeb.
Cacciatorpedinieri e fregate sorveglieranno le strozzature, le navi più
piccole invece pattuglieranno, con l’appoggio degli aerei, le principali
vie di transito. «Il nostro impegno nei confronti della regione non è
di breve durata, opereremo per tutto il tempo necessario, fintanto che
incomberà la minaccia», ha avvertito Malloy.
I sorrisi e le strette di mano tra comandanti in alta uniforme non bastano a nascondere la delusione di Washington per la scarsa partecipazione a questa ennesima missione militare nel Golfo.
La presenza dell’Australia conta fino ad un certo punto – segue sempre a
ruota gli alleati statunitensi – mentre il Regno Unito e l’Albania sono
i soli paesi europei ad aver accettato di inviare le loro navi da
guerra (ma Tirana quante ne possiede di moderne ed efficienti?). La
maggior parte dei governi europei è riluttante a partecipare alla
coalizione navale, temendo di compromettere gli sforzi per salvare
l’accordo nucleare con l’Iran, firmato nel 2015. Francia,
Germania, Belgio garantiscono solo un appoggio simbolico e tecnico. E
Londra vicina alla Brexit alla missione sembra partecipare più per
prendere le distanze dalla politica estera dell’Ue che per tutelare la
navigazione del Golfo in seguito al sequestro di una sua petroliera da
parte dell’Iran.
Non sorprende perciò che annunciata in estate con le fanfare,
l’Operazione Sentinella sia cominciata qualche giorno fa senza neppure
uno squillo di tromba. «Il leone ha dato alla luce un topo», ha scritto venerdì l’autorevole giornale arabo online raialyoum.com citando
un proverbio arabo simile ad uno nostro. «Il piccolo numero di paesi
che partecipano a questa coalizione riflette chiaramente il declino
dell’influenza degli Stati Uniti. L’era in cui le Amministrazioni
statunitensi formavano coalizioni di trenta o sessanta paesi, come
quelle che hanno condotto guerre in Libia, Siria e Afghanistan, è
evidentemente passata, per non tornare mai più», ha aggiunto il giornale
sottolineando che alla missione non partecipano tre Stati del
Golfo – Kuwait, Oman e Qatar – che non sostengono l’escalation contro
l’Iran e, senza poterlo dire apertamente, pensano che la causa della
tensione nell’area sia stato il ritiro immotivato dell’Amministrazione
Trump dall’accordo sul nucleare iraniano. Tehran non si mostra preoccupata, ma l’escalation militare non è affatto scongiurata.
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