di Giorgio Bona
Al primo colpo di tosse, al primo mal di gola, scatta la paura. La
causa sta in quella fabbrica che nel 1907 aprì a Casale Monferrato il
più grande stabilimento Eternit d’Europa. Lì cominciava la produzione di
fibrocemento, una mistura di cemento e amianto usata nell’edilizia.
Casale. Capitale storica del Monferrato, adagiata tra la pianura e la
collina e attraversata dal maestoso e regale passaggio del Po conobbe i
fasti regali con i Paleologi prima e i Gonzaga poi, seguita da famiglie
di nobili e da una ricca borghesia industriale.
Poi arrivarono i pionieri dell’amianto e la città cominciò a vivere
la violenza e l’arroganza di questa nuova dinastia padronale, che diede
vita all’insediamento produttivo Eternit su un’area di 94.000 mq, di cui
circa 50.000 erano coperti con lastre di fibrocemento.
L’attività produttiva ebbe inizio nel 1907 e durò quasi ottant’anni,
cessando completamente nel 1986. Durante questo interminabile periodo le
assunzioni furono circa 5000 con presenza simultanea che arrivava a
3500 addetti.
Soltanto a partire dagli anni '60 si cominciò a rilevare un
forte inquinamento con la fase di trasporto dell’amianto grezzo in
arrivo allo stabilimento e dei prodotti finiti in partenza dai magazzini
generali. Queste operazioni venivano fatte con mezzi scoperti che
attraversavano da un lato all’altro la città, lungo un percorso sempre
uguale. Per non parlare di rilevamenti fatti sul Lungo Po, inquinato
dagli scarti liquidi e dalla pulitura delle macchine che attraverso un
canale raggiungevano il fiume. Per oltre mezzo secolo le acque intrise
di amianto avevano lasciato una spiaggia contaminata da scorie.
Inoltre, vecchissimi filmati dell’Istituto Luce raccontavano di un
trenino a scartamento ridotto che collegava Via Oggero, sede
dell’Eternit, con la stazione ferroviaria distante circa un paio di
chilometri, dove arrivavano sui binari dedicati i convogli carichi di
materiale. All’inizio erano sacchi di iuta, poi di carta e, infine, di
strutture plastificate.
Un opuscolo elaborato dall’azienda riportava: ecco a voi la pietra artificiale.
Questa immagine si era imposta agli occhi dei casalesi. A quei tempi
tutto quello che era eternit, sapeva di miracolo. I bambini lo
utilizzavano per costruirsi le capanne nei giochi, gli adulti per
delimitare orti e giardini e piantumare cortili. Inoltre molti ne
avevano approfittato per costruire casette senza concessione edilizia in
riva al Po che rappresentavano l’evasione dalla città.
Fu il sindaco di allora, Riccardo Coppo, che con una ordinanza nel
1987 chiuse lo stabilimento, vietando l’uso di amianto su tutto il
territorio comunale, e con una successiva ordinanza avrebbe fatto
rimuovere come costruzioni abusive.
L’ordinanza numero 83 del 1 dicembre 1987, infatti, segnò la fine di
quella che venne chiamata la fabbrica della morte perchè il Registro
tumori del Piemonte e della Valle d’Aosta e il Servizio di
Epidemioligica dei Tumori dell’USL, convenzionato con l’università di
Torino, fecero rilevare una alta ricorrenza di decessi per causa di
cancro alla pleura nel comune di Casale Monferrato e che la fibra era
sicuramente la causa principale di questa catastrofe.
Il fenomeno incriminato, oltre alle coperture di amianto, era quello
dei famosi battuti e polverini. Tutte le strade dei comuni nei dintorni
di Casale erano pavimentate con questo materiale, coperto da uno strato
di asfalto o cemento.
Le insidie erano ovunque.
Bernardino Zanella, un prete operaio, aveva scritto nel lontano 1976
alla proprietà, chiedendo a chiare lettere “se un morto al giorno poteva
essere sufficiente”. Non ebbe risposta. La lettera di Zanella era un
segnale premonitore di quello che stava accadendo.
Verso la fine degli anni '70 cominciò a prendere credito la
convinzione che l’attività lavorativa della ditta Eternit fosse
accompagnata da una drammatica sequenza di patologie professionali che
vennero successivamente confermate. La ditta rispose con un comunicato
che si poteva leggere all’interno del posto di lavoro; si è
appurato che l’amianto possa avere effetti cancerogeni, come il fumo
delle sigarette. Pertanto invitiamo i nostri dipendenti a non fumare.
Quindi l’Eternit continuò, nonostante fossero accertate le gravi
conseguenze ambientali e peggio ancora la compromissione della salute
dei lavoratori, a produrre amianto con drammatiche conseguenze fino alla
chiusura.
Le malattie provocate dalla fibra, la più grave, mesotelioma
pleurico, hanno un periodo di incubazione dai 25 ai 30 anni e colpirono e
tuttora colpiscono non soltanto chi in fabbrica ci ha lavorato, a
contatto con l’amianto, ma anche gli abitanti che ne sono venuti a
contatto senza aver mai messo piede all’Eternit, perché l’amianto è
stato usato in tutta la città e nei paesi intorno.
Circa 1800 decessi non sono pochi e non è ancora finita.
Gli esperti dicono che l’onda lunga delle morti di tumore ai polmoni
ha iniziato ad abbattersi alla fine del 2015 e andrà avanti per oltre un
decennio. 50 nuove diagnosi di mesotellioma pleurico ogni anno, una
alla settimana.
Casale, nonostante la chiusura della fabbrica che allora aveva in
forza ancora 350 lavoratori, è seduta su una bomba a orologeria pronta
ad esplodere.
Dal 2014, anno in cui il processo per disastro ambientale è stato
prescritto in cassazione, ci sono stati altri processi che dovevano
accertare la responsabilità dell’azienda, ma nessuno è arrivato a
sentenza definitiva.
In questi giorni lo scenario giuridico apre il processo Eternit bis
dal momento che il picco dei morti e incredibilmente aumentato.
Da qui all’Eternit. Cronaca di un disastro annunciato.
(continua)
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