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19/03/2020

Spagna, Sanchez al Congresso: “Stato sociale e Spagna unita”

Quando la dura realtà dei fatti comincia a prendere una forma nitida, quando si registra un “sentimento comune” rispetto all’evolversi di una certa realtà, quando alcune precise parole d’ordine prendono il sopravvento su quello che si professava fino a pochi giorni fa, allora non c’è “pezzo di realtà”, o se volete, di società di un data parte di mondo, che possa sfuggire a quest’ondata.

Senza per questo lasciarsi andare a facili entusiasmi, a quest’ondata partecipa a buon diritto il Presidente del Governo (dello Stato plurinazionale) spagnolo, Pedro Sanchez, che ieri mattina è intervenuto lungamente alla sessione plenaria straordinaria del Congresso dei Deputati al Palazzo delle Corti di Madrid in merito alla crisi di Covid-19.

Il – come si direbbe da noi – “capo politico” del Partito socialista ha usato parole importanti, mirate a sottolineare il bisogno di un rilancio del settore pubblico in generale, e in particolare di quello sanitario.

«Il governo presenterà un bilancio di ricostruzione sociale ed economica. L’obiettivo come paese deve essere la protezione dello Stato sociale, del sistema pubblico e la protezione della società e dell’economia», ha dichiarato Sanchez dinanzi a un emiciclo semivuoto per via degli standard di sicurezza imposti dallo Stato di emergenza dichiarato lo scorso sabato, 14 marzo. Non è di certo stata una “svista retorica” l’aver posto la dimensione economica alle spalle di quelle più spiccatamente sociali, come il welfare state o la salute generale. «La sanità e lo Stato sociale sono il bene più prezioso della Spagna».

Il cambio di registro è stato “imposto” dall’ammissione delle carenze dei servizi pubblici quando si è dovuta affrontare l’esplosione dell’emergenza da contagio anche nella penisola iberica, e dunque dalla richiesta che sembra emergere nella maggioranza degli abitanti di questa parte di continente. La crisi ha infatti dimostrato l’inefficacia di una certa gestione della “cosa pubblica”, e «di fronte a un’epidemia, la protezione dello Stato sociale è la cosa più preziosa che un paese dovrebbe avere: le preferenze e le priorità del Paese sono cambiate, è tempo di valorizzare il pubblico, di riconoscere e rafforzare il valore della nostra salute».

Un’autentica dichiarazione di fallimento di un “modello sociale”, comune (con gradi e sfumature diverse) ai maggiori paesi dell’Unione europea, di fronte al baratro di una guerra, come l’ha definita più volte Macron, che tuttavia oltre che un nemico invisibile come il coronavirus, vede fronteggiare gli impacciati governi attuali la fine di un’“Era politica” che avevano pedissequamente sostenuto, fino alla sua imposizione con la forza.

Nonostante le aperture, come sulla possibilità di requisire la sanità privata per il bisogno collettivo, non si placano le proteste nei confronti del Governo, formatosi poche settimane fa grazie a una colazione tra Psoe, Podemos e Izquierda Unida, per aver sottovalutato l’arrivo dell’epidemia nel continente prima, e nello Stato poi (alle 19 di ieri sera si contavano 14mila contagi “refertati” e più di 600 decessi). Solo dieci giorni fa infatti per le strade di Madrid sfilavano migliaia di persone nell’imponente corteo per la giornata internazionale delle donne (tra cui la moglie di Sanchez, ora risultata positiva al tampone), e Madrid forse non a caso a oggi è la città-focolaio più importante tra le varie presenti nella penisola (quasi il 50% dei casi sono nella capitale).

Il presidente ha ammesso che si sarebbe potuto agire prima, ma ha poi ribadito che «lo “stato di emergenza” è stato decretato quando era certo che fosse il momento, per la rilevanza dei diritti che limita». Limitazioni che sono anche queste al centro delle polemiche, specialmente con le rappresentanze delle comunità autonome basca e catalana, dove tuttavia a una prima presa di posizione contro la decisione del duo Sanchez-Iglesias di commissariare le autonomie locali sottoponendole agli ordini di Madrid, ora la Generalitat catalana chiede di rafforzare le misure di isolamento del proprio territorio. «Questa situazione eccezionale sarà temporanea – ha detto Sanchez – l’accentramento di alcuni poteri non è stato eseguito a causa di rimproveri o denunce allo Stato autonomo, di cui sono un grande difensore».

Qui si è consumato l’altro passaggio decisivo del discorso del presidente quando ha individuato nel virus il nemico comune di tutti i cittadini: «chiedo l’unità politica e cittadina. Una pandemia non distingue tra colori e idee e deve essere combattuta da tutti». L’appello è proseguito verso «insegnanti, giovani volontari, con piccoli e grandi gesti, per il coraggio di aiutare gli altri, di prendersi cura degli anziani e dei bambini. La stiamo vivendo come una calamità collettiva, è così, ma ne usciremo più forti e oggi, in questo Congresso, non siamo rivali e i 47 milioni di cittadini, diversi, con lingue diverse, sono un’unica comunità». Richiamo per tutti, senza distinzione alcuna, all’unità nazionale, per combattere il nemico. «Lo más duro está por llegar» (il peggio deve ancora venire).

È però difficile che possano venir dimenticati “in un baleno” gli eventi che negli ultimi due anni e mezzo hanno invaso politicamente la penisola, con la spinta indipendentista della maggioranza catalana che ha smosso fin nelle fondamenta quello Stato erede diretto della dittatura franchista, risvegliando nostalgie e nazionalismi degni successori della feccia fascista che nella transizione alla democrazia ha, fino a oggi, trovato il suo certificato di garanzia per la continuità con la dittatura.

Inoltre, se questa spinta ha registrato un oggettivo calo d’intensità (che fine ha fatto “Tsunami democratic”?), la magistratura invece continua a macinare numeri da stato di agitazione permanente, con “Alerta Solidària” che denuncia l’apertura negli ultimi 6 mesi di procedimenti per 600 tra militanti e cittadini, protagonisti delle mobilitazioni contro le condanne dei dirigenti indipendentisti, la liberazione dei prigionieri politici e la regressione fascista dello Stato.

Un altro dato pesa su questo passaggio di inizio legislatura, e cioè quello che vede protagonista Re Felipe VI nello scandalo che ha coinvolto il padre, Juan Carlos di Borbone, ultimo beneficiario secondo la magistratura elvetica di una donazione di ben 100 milioni di euro da parte del sovrano saudita Abdullah bin Adbul Aziz Al Saud; quest’ultimo avrebbe depositato la somma su un conto svizzero presso la banca Mirabaud ad un fondazione riconducibile proprio all’attuale monarca Felipe VI in cambio dell’opera di convincimento da parte di Juan Carlos verso alcune imprese spagnole per ribassare il costo dell’alta velocità verso la città santa de La Mecca. Ma sulla vicenda il Partito Socialista ha fatto quadrato, difendendo il fatto che «il Re è al di sopra della legge e non può essere indagato o giudicato».

Il vento che spira allora tra le parole di Sanchez risulta ancora inquinato dal conformismo che trasuda la visione dell’organizzazione sociale così come riportata nell’ultimo virgolettato. Su questo, ha trovato sponda facile il leader dell’opposizione, Pablo Casado, leader del Partido Popular, quando nel dichiarare piena volontà di collaborazione alla risoluzione di questa crisi, afferma che «un vincolo morale ci unisce tutti, è l’ora della Spagna eterna, di quelli che sono stati, sono e saranno, cominciamo a fondare la patria dei nostri figli».

In questo quadro, Anticapitalistas (scissione a sinistra di Podemos successiva all’entrata nella maggioranza di Iglesias) sottolinea come «Sanchez stabilisce il rapporto diretto del governo con ogni individuo residente nel territorio spagnolo e non conta sui sindacati e le organizzazioni sociali o sui governi delle comunità. Questo significa una ricentralizzazione unitaria che tenta di autogovernare, soprattutto in Euskadi, Galizia e Catalogna, dove i pochi diritti nazionali conquistati sono violati. Sanchez ha preferito imporre il percorso “ordine e comando” alla presidenza del coordinamento».

Di altro ordine le critiche di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc, formazione di centrosinistra indipendentista catalana), quando per bocca d Gabriel Rufián dichiara che «quando la situazione si normalizzerà il suo partito chiederà spiegazioni e che l’intero caso della fortuna nascosta in altri paesi del re emerito Juan Carlos I sarà indagato».

Insomma, anche quello “spagnolo” appare come un quadro in pieno mutamento, con la risposta all’epidemia che sembra uniformarsi al (probabile) superamento del paradigma neoliberale che ha spadroneggiato negli ultimi decenni, affossando la qualità e la speranze di vita di grosse fette di popolazioni, e che tuttavia trova nell’elemento più reazionario e nazionalistico un punto di ricaduta ben radicato negli apparati istituzionali del Regno.

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