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06/02/2012

Come svedesi e norvegesi hanno schiacciato il potere dell'1 per cento

Se molti di noi stanno lavorando per assicurare che il movimento Occupy abbia un impatto durevole, vale la pena considerare altri paesi in cui masse di persone sono riuscite a instaurare in modo non violento un alto grado di democrazia e di giustizia economica. La Svezia e la Norvegia, ad esempio, hanno visto un drastico cambiamento di potere negli anni ’30 dopo una prolungata lotta non violenta. Hanno “licenziato” l’elite dell’1 per cento della popolazione che determinava la direzione della società e hanno creato la base per qualcosa di diverso.

I due stati avevano una storia di orrenda povertà. Quando l’1 per cento era al potere, centinaia di migliaia di persone emigravano per evitare la fame. Sotto la leadership della classe operaia, invece, entrambi i paesi hanno costruito economie robuste e di successo che hanno quasi eliminato la povertà, ampliato l’accesso all’istruzione universitaria gratuita, abolito i quartieri poveri, fornito un eccellente servizio sanitario accessibile a tutti e creato un sistema di pieno impiego. Contrariamente ai norvegesi, gli svedesi non hanno trovato il petrolio, ma questo non ha loro impedito di costruire quello che il più recente World Factbook della CIA definisce “un invidiabile standard di vita”.
Nessuno di questi paesi è un’utopia, come sapranno i lettori dei libri “crime” di Stieg Larsson, Kurt Wallender e Jo Nesbro. Gli autori critici di sinistra come loro cercano di spingere la Svezia e la Norvegia verso società ancor più giuste. Tuttavia, da attivista americano che ha visitato la Norvegia da studente per la prima volta nel 1959 imparandone parte della lingua e della cultura, i risultati che ho visto mi hanno stupito. Ricordo, per esempio, di essere andato in bicicletta per ore attraverso una piccola città industriale, cercando invano delle abitazioni sotto standard. A volte resistendo alla prova di ciò che vedevano i miei occhi, ho inventato storie che “giustificassero” le differenze che vedevo: “piccolo stato”, “omogeneo”, “un consenso di valore”. Ho infine rinunciato a imporre i miei schemi a questi stati, imparando la vera ragione: le loro storie.
Poi ho cominciato ad apprendere che gli svedesi e i norvegesi hanno pagato un prezzo per il loro tenore di vita attraverso la lotta non violenta. C’è stato un periodo in cui i lavoratori scandinavi non si aspettavano che l’arena elettorale potesse portare ai cambiamenti in cui credevano. Compresero che, con l’1 per cento al potere, la “democrazia” elettorale era diretta contro di loro, quindi serviva un’azione diretta non violenta per esercitare il potere di cambiamento.
In entrambi gli stati le truppe furono schierate per difendere l’1 per cento; morirono delle persone. Il premiato regista svedese Bo Widerberg ha raccontato vividamente la storia della Svezia nel film Adalen 31, che narra dei lavoratori uccisi nel 1931 e dell’inizio di uno sciopero generale in tutta la nazione. (Sull’argomento, lette anche un articolo di Max Rennebohm nel Global Nonviolent Action Database).
I norvegesi hanno avuto vita più dura nell’organizzare un movimento popolare coeso, perché la scarsa popolazione della Norvegia – circa tre milioni di persone– era sparsa su un territorio grande quanto la Gran Bretagna. Le persone erano separate da fiordi e montagne, e parlavano dialetti regionali nelle valli isolate. Nel diciannovesimo secolo la Norvegia era sotto il governo della Danimarca, poi sotto quello della Svezia; nel contesto europeo i norvegesi erano i “provincialotti di campagna”, gente di poca importanza. La Norvegia non è diventata indipendente fino al 1905.
Quando i lavoratori dettero vita ai sindacati all’inizio del ‘900, si rivolsero in gran parte al Marxismo, organizzandosi per la rivoluzione oltre che per risultati immediati. Gioirono per il rovesciamento del regime dello zar di Russia, e il Partito Laburista Norvegese si affiliò all’Internazionale Comunista organizzata da Lenin. Ma i laburisti non ci rimasero a lungo. Una ragione per cui la maggior parte dei norvegesi divergeva dalla strategia leninista era l’approccio alla violenza: i norvegesi volevano vincere la loro rivoluzione con una lotta collettiva non violenta, oltre ad instaurare cooperative e a utilizzare l’arena elettorale.
Negli anni ’20 l’intensità degli scioperi aumentò. La città di Hammerfest formò una comune nel 1921, guidata da consigli di lavoratori; intervenne l’esercito per annientarla. La risposta dei lavoratori si spostò verso uno sciopero generale nazionale. I datori di lavoro, con il sostegno dello stato, combatterono lo sciopero, ma i lavoratori intrapresero nuovamente lo sciopero degli operai metallurgici del 1923-24.
L’1 per cento norvegese decise di non fare affidamento solo sull’esercito; nel 1926 formò un movimento sociale chiamato la Lega Patriottica che reclutò principalmente gli appartenenti al ceto medio. A partire dagli anni ’30, la Lega contava nientemeno che centomila persone per la protezione armata degli oppositori agli scioperi, e si parla di un paese di appena tre milioni di persone!
Il Partito Laburista, nel frattempo, aprì le iscrizioni a tutti, sia che fossero o meno in un posto di lavoro sindacalizzato. I marxisti del ceto medio e alcuni riformisti si iscrissero al partito. Molti lavoratori delle fattorie rurali si associarono al Partito Laburista, come pure alcuni piccoli proprietari terrieri. La dirigenza laburista comprese che, in una lotta protratta, erano necessarie una costante solidarietà e un’organizzazione per una campagna non violenta. Nel mezzo di una crescente polarizzazione, i lavoratori norvegesi lanciarono un’altra ondata di scioperi e boicottaggi nel 1928.
La depressione toccò il fondo nel 1931. C’erano più persone disoccupate che qualsiasi altro stato nordico. Contrariamente agli Stati Uniti, il movimento sindacale norvegese mantenne come soci le persone che avevano perso il lavoro, anche se non potevano pagare le quote. Tale decisione portò come risultato a mobilitazioni di massa. Quando la federazione dei datori di lavoro chiuse gli operai fuori dalle fabbriche per cercare di costringerli a una riduzione degli stipendi, i lavoratori risposero con massicce dimostrazioni.
Molte persone scoprirono allora che i propri mutui erano a repentaglio (suona familiare?) La crisi proseguì mentre gli agricoltori non erano più in grado di continuare a ripagare i propri debiti. Quando la turbolenza colpì il settore rurale, si riunirono gruppi non violenti per scongiurare lo sfratto delle famiglie dalle loro fattorie. Il Partito Agrario, che comprendeva i grandi agricoltori ed era stato precedentemente un alleato del Partito Conservatore, iniziò a distanziarsi dall’1 per cento; qualcuno poté intravedere che l’abilità dei pochi di governare i molti era in dubbio.
Nel 1935 la Norvegia era sull’orlo del crollo. Il governo guidato dai Conservatori perdeva legittimità di giorno in giorno; l’1 per cento diventava sempre più disperato mentre cresceva l’attivismo tra lavoratori e agricoltori. Un completo rovesciamento sarebbe potuto avvenire in un paio d’anni appena, pensarono i lavoratori radicali. Tuttavia, la miseria degli indigenti divenne quotidianamente più urgente e il Partito Laburista sentì crescere la pressione da parte dei suoi membri per alleviarne le sofferenze, cosa che poteva fare solamente se avesse preso le redini del governo in un accordo di compromesso con la controparte.
E così fece. Con una trattativa che consentì ai proprietari di conservare il diritto di possedere e gestire le proprie ditte, la sinistra nel 1935 salì al governo in coalizione col Partito Agrario. Ampliarono l’economia e avviarono progetti di spesa pubblica per favorire una politica del pieno impiego che era diventata la pietra di volta della politica economica norvegese. Il successo del Partito Laburista e il protratto attivismo dei lavoratori permisero regolari incursioni contro i privilegi dell’1 per cento, fino al punto che la maggioranza delle proprietà delle grandi aziende fu rilevata nell’interesse pubblico. (C’è un articolo anche su questo argomento nel Global Nonviolent Action Database).
L’1 per cento perse pertanto il potere storico di dominio sull’economia e sulla società. Solo tre decenni più tardi i Conservatori poterono tornare in un governo di coalizione, avendo accettato le nuove regole del gioco, una quota elevata della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, una tassazione estremamente progressista, una forte regolamentazione dell’economia per il bene comune e la letterale abolizione della povertà. Quando i Conservatori tentarono alla fine un flirt con le politiche neoliberiste, l’economia generò una bolla, dirigendosi verso il disastro. (Suona familiare?)
I Laburisti sono quindi entrati in campo, hanno preso le tre banche più grandi, licenziato i top manager, lasciato gli azionisti senza un centesimo e si sono rifiutati di salvare alcuna delle banche più piccole. Il purificato settore finanziario norvegese non è stato uno di quelli che hanno vacillato nella crisi del 2008; attentamente regolato e in gran parte nazionalizzato, il settore era solido.
Sebbene i norvegesi non ve lo diranno la prima volta che li incontrerete, rimane il fatto che l’alto livello di libertà e di prosperità ampiamente condivisa della loro società è iniziato quando i lavoratori e gli agricoltori, insieme agli alleati della classe borghese, hanno intrapreso una lotta non violenta che ha dato potere alla gente di governare per il bene comune.

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