Nel libro "Le mani sulla città"
(Chiarelettere 2011), Lei e Gianni Barbacetto sostenete che,
contrariamente al luogo comune secondo cui la mafia è una cosa del Sud,
anche a Milano c'è un problema di criminalità organizzata...
Sì, c'è una presenza inquietante della malavita organizzata.
Infiltrazioni?
Non si può parlare più solo di infiltrazioni. La 'ndrangheta è una
presenza che si è sedimentata negli anni, e dal 2008 a oggi è anche
all'interno del tessuto legale.
Come è possibile?
I padrini della 'ndrangheta arrivano in Lombardia negli anni '70. Fino
ai grandi processi degli anni '90, l'organizzazione rimane prettamente
criminale: fa sequestri omicidi, traffico di droga - soprattutto di
eroina prima e di cocaina in seguito...
E poi?
Dalla fine dei '90 in poi, molti di loro sono stati arrestati e ci sono
stati pure degli ergastoli. Ma molti sono rimasti fuori. La 'ndrangheta
si è "inabissata", ha allargato le braccia e posto le sue strutture per
dare avvio alla fase successiva: quella della penetrazione nel tessuto
locale. Lo raccontano le inchieste dal 2008.
Cosa significa di preciso?
Che moltissimi politici lombardi hanno avuto contatti con la Calabria e i suoi malavitosi. Nel libro facciamo i loro nomi.
I politici padani sono conniventi?
A esser buoni, si può dire che ci sia stata una sottovalutazione del
problema. Ma le carte e le intercettazioni raccontano che spesso c'è
stata connivenza: certi consiglieri comunali o regionali - vedi il caso
di Massimo Ponzoni - sapevano benissimo quali persone portavano loro i
voti.
E le imprese?
Difficile parlare di sottovalutazione, ancor più se si parla di
imprenditori. Saprebbero chi occorre tenere lontano, ma poi collaborano o
cedono. Un po' per i metodi mafiosi e le intimidazioni che subiscono,
ma anche perché un imprenditore pulito sa che, per gli appalti, chi ha
dietro clan come quelli dei Papalia, o dei Barbaro, ha la strada
spianata.
Invece, proprio come al Sud, sono pochissimi a denunciare.
Ivan Lobello di Confindustria Sicilia mi ha raccontato che parlare di
mafia a Palermo, negli anni '80 e '90, significava per molti diffamare
il territorio. Oggi, se si dice che a Buccinasco c'è la malavita
organizzata, per esempio, si ha la stessa reazione: ci si sente
rispondere che la mafia non c'è.
E invece c'è?
Sì, la cosa che avveniva in Meridione, la rivediamo in Lombardia. Il
paradosso è che per consapevolezza del problema, la regione è indietro,
rispetto alla Sicilia e alla Calabria.
Cosa si può fare per cambiare le cose?
Occorre prendere atto del problema. Poi, dall'altro lato, occorre che
Assolombarda prenda decisioni ferme: anche gli imprenditori che non
denunciano le 'ndrine, i suoi membri e i suoi boss, vanno sanzionati. La
vicenda dell'imprenditore Maurizio Luraghi, in questo senso, è
esemplare...
Cosa gli è successo?
È stato condannato per associazione mafiosa. Ma in realtà è una vittima
che si è trasformata in complice: il vizio sta nel fatto che non ha
denunciato di esser stato sotto scacco. La sua è una storia esemplare,
ma ciononostante non c'è la fila di imprenditori che denunciano i
malavitosi.
Cosa dovrebbero fare i politici?
Alla politica dobbiamo chiedere uno scatto in più. Se ci sono contatti
diretti con malavitosi, per esempio, anche se non ci sono gli estremi
per un'azione penale, va valutata la responsabilità di un cittadino che
ha un ruolo pubblico.
Come vede la creazione della Commissione antimafia della giunta di Giuliano Pisapia?
Sulla carta è una cosa positiva. Ma bisogna ascoltare quel che dicono i
magistrati, anzitutto: una colonizzazione di questa portata non può
essere fermata solo dalle commissioni.
Qual è l'urgenza maggiore?
L'Expo (l'esposizione universale del 2015 che si terrà a Milano, ndr),
perchè ci sono molti soldi e interessi intorno. Lo sviluppo dell'azione
della 'ndrangheta sarà enorme: dal 2008 a oggi abbiamo visto solo il 2-
3% di quello che succederà.
Non è possibile tenere fuori le 'ndrine?
Difficile. Le faccio un esempio: uno dei primi appalti per l'Expo è
stato vinto da una cooperativa emiliana che già aveva ottenuto quello
per la costruzione della Fiera di Rho, intorno al 2005. In
quell'occasione, fu accertato che per gli emiliani lavoravano i camion
delle cosche. È quasi inevitabile che vada così.
Perché?
Perché chi vince gli appalti in Lombardia, spesso non usa mezzi o
strumenti propri - camion, ruspe... - ma si serve di quelli che trova in
loco. E questi strumenti li mettono a disposizione aziende colluse. Non
si scappa.
Fonte.
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