Quando Barack Obama all'università del Cairo pronunciò la storica frase Islam is a part of America,
indicammo chiaramente l'illusorietà dell'operazione mediatica che il
presidente Usa tentava allora di intraprendere. Oggi, dopo le sconfitte
occidentali in Iraq ed Afghanistan, l'intervento Nato in Libia, la
guerra civile esplosa in Siria, le preannunciate delusioni della
Primavera Araba, l'incombere di un attacco all'Iran - l'intervista che
Obama ha rilasciato lo scorso 2 marzo all'autorevole rivista the Atlantic
è realmente rivelatrice della posizione nella quale le amministrazioni
Usa, indipendentemente dal loro orientamento politico, si trovano
rispetto al Medio Oriente.
Si tratta, come nota Jeffrey Goldberg, il
giornalista che l'ha ottenuta da Obama, della "più lunga intervista mai
rilasciata dopo il profilarsi della crisi iraniana". Essa viene
pubblicata con una significativa scelta dei tempi, a pochi giorni dal
discorso annuale del presidente Usa davanti all'AIPAC, la più importante
lobby ebraica americana, e dal nuovo incontro con il primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu, in visita negli Usa la prossima
settimana.
L'intervista suona come una vera e propria rivendicazione
ufficiale del supporto fornito dall'amministrazione Obama allo Stato di
Israele, ancor più delle altre che lo hanno preceduto. "Il dato di fatto
- afferma Obama, è che abbiamo fatto un gran lavoro con Israele negli
ultimi tre anni. Io penso che il primo ministro [Benjamin Netanyahu] ed
il ministro della difesa [Ehud Barak] riconoscano che non abbiamo mai
avuto una cooperazione militare e di intelligence più stretta
di quella attuale. Quando si guardi a quello che io ho fatto per la
sicurezza di Israele, dalle esercitazioni e dall'addestramento
congiunto, che va oltre tutto quanto abbiamo mai fatto in passato, al
supporto finanziario e operativo nel programma Iron Dome [il
ben noto sistema anti-missile israeliano] che garantisce che le famiglie
israeliane siano meno vulnerabili ad attacchi missilistici, al fatto
che abbiamo assicurato la superiorità militare israeliana, alla lotta
contro la delegittimazioni di Israele, sia nel Consiglio dei Diritti
Umani che dinanzi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel caso
del rapporto Goldstone [il rapporto Onu che aveva duramente
stigmatizzato le violazioni israeliane durante l'attacco alla striscia
di Gaza nell'operazione Cast Lead nel dicembre 2008], così come dopo l'incidente della [freedom] flotilla - la verità è che il rapporto con Israele ha funzionato assai bene".
La
rivendicazione di questo speciale rapporto è espressamente collegata
dal presidente alla durissima polemica che i candidati repubblicani suoi
antagonisti nelle elezioni presidenziali di novembre hanno sollevato in
merito all'Iran, accusando Obama di non essere sufficientemente
pro-israeliano. Su questo punto, Obama si esprime in modo estremamente
chiaro, e perciò stesso drammaticamente rivelatore dell'enorme influenza
ormai acquisita dalla lobby israeliana nelle campagne presidenziali
Usa: "Non esistono valide ragioni per dubitare di me su questo punto
[quello cioè della sicurezza israeliana]. In parte la questione ha a che
vedere con il fatto che, nel nostro Paese e sui nostri media, la
questione diventa del tutto politica. Io non credo che questo sia un
segreto. Se avete un gruppo di esponenti politici che vogliono creare
tensione non tra gli Stati Uniti ed Israele, ma tra Barack Obama ed il
voto degli Ebrei Americani, che è stato sempre storicamente molto
influente nella sua candidatura, allora diventa utile cercare di destare
dubbi e di sollevare problemi".
È dunque in questo contesto
elettorale che dobbiamo collocare la posizione dell'amministrazione
Obama nei confronti dell'Iran, direttamente influenzata dalla necessità
di intercettare il pieno sostegno della lobby ebraica che più
attivamente sostiene Israele ed esercita una diretta pressione sugli
indirizzi della politica estera statunitense, e non solo relativamente
alle questioni del Medio Oriente.
Il presidente Usa ribadisce allora
la propria determinazione all'uso della forza militare come una fra le
quattro opzioni che compongono la strategia americana, insieme a quelle
politica, economica, diplomatica, concretizzatesi nel ricorso alle
sanzioni: le motivazioni ovviamente sono ben note - il rischio di una
proliferazione nucleare nella regione (ovviamente prescindendo dalle
2-300 testate che Israele ha già nei suoi arsenali), il pericolo di un
trasferimento di armi nucleari a non ben individuati "terroristi", le
ripetute prese di posizione iraniane contro l'esistenza dello Stato
ebraico.
La questione iraniana, sottolinea Obama, non riguarda
pertanto solo la sicurezza dello Stato ebraico, ma anche gli interessi
strategici degli Usa: "per questo, quando io affermo che nessuna opzione
è esclusa - sottolinea Obama, voglio dire proprio questo. Noi
continueremo ad esercitare una pressione fino a quando l'Iran non
adotterà una linea diversa".
Non troppo sibillinamente, Obama, quando
il giornalista gli chiede la sua opinione sull'eventualità che Israele
colpisca autonomamente l'Iran, risponde: "Io penso che negli Stati Uniti
istintivamente simpatizziamo per Israele". Come a dire che anche un
attacco preventivo non danneggerebbe la reputazione dello Stato ebraico
negli Usa. Un'affermazione certamente pericolosa per tutti in questo
momento.
Non sorprende quindi a questo punto nemmeno la chiara
connessione che Obama stabilisce fra la crisi del regime degli Assad in
Siria e l'esigenza di mutare il corso politico dell'Iran: ormai
abbandonata ogni retorica umanitarista e di democracy building,
si dice per la prima volta chiaramente che il regime baathista siriano
deve essere eliminato in quanto unico ed ultimo alleato dell'Iran fra i
Paesi arabi. Il senso strategico della destabilizzazione in atto in
Siria è quindi per la prima volta espresso senza infingimenti e deve
quindi fare riflettere sul significato reale di quanto è accaduto in
questo Paese nel corso del 2011 e di quanto potrà accadervi ancora: la
caduta del regime di Assad è fondamentale in quanto sarebbe soprattutto
"una grave perdita per l'Iran". Il popolo siriano è avvisato.
Fonte.
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