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14/10/2013

Siria: la Turchia sostiene al Qaeda e le stragi, e Obama si arrabbia

Tutti - o quasi, perché in Italia la notizia non ha avuto la vasta eco che ha avuto all’estero - scoprono che le milizie jihadiste interne ed esterne al cosiddetto Esercito Siriano Libero non sono portatrici né di liberazione né di democrazia. Anzi. Human Rights Watch ieri ha diffuso un lungo rapporto, composto da ben 105 pagine fitte di testimonianze e documentazione di vario tipo, denunciando che all’inizio di agosto le milizie fondamentaliste legate e non ad Al Qaeda ma composte di sunniti siriani o esteri hanno assaltato una decina di villaggi alauiti nella regione di Latakia. Massacrando 190 civili e rapendone più di 200.

Ricorda giustamente Sibialiria, sito di informazione sul Medio Oriente, che dalla Siria si era già denunciato il massacro di Latakia  - http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1835 - da diversi mesi, e che quanto accaduto nella regione costiera della Siria potrebbe essere assai più grave di quanto racconta l’organizzazione statunitense. Perché alcuni dei bambini rapiti dai miliziani sunniti nei villaggi intorno a Latakia sarebbero stati uccisi e poi fotografati in modo che sembrassero vittime della strage del 21 agosto a Ghouta, quella con il gas Sarin che secondo testimonianze e confessioni degli stessi fondamentalisti islamici sarebbe stata provocata proprio dagli autori dell’altra strage, ‘rivelata al mondo’ ieri da Wall Street Journal.

Perché un’organizzazione non governativa non certo nemica dell’amministrazione Obama decide di puntare il dito contro la cosiddetta opposizione siriana? Qualche giorno fa la Casa Bianca ha fatto trapelare notizie riguardanti la decisione di diminuire o rallentare i finanziamenti internazionali alle milizie jihadiste per orientarli invece verso le milizie definite moderate, che nello stesso Esercito Siriano Libero ormai sarebbero una minoranza sempre più in rotta con quelle legate ad Al Qaeda.
A conferma di una tale strategia una notizia battuta ieri dalle agenzie internazionali secondo cui il presidente Barack Obama avrebbe avuto un duro scontro con il premier turco Recep Tayyip Erdogan sulla strategia da adottare in Siria. Secondo il solito Wall Street Journal, nel corso di un "difficile incontro" che si sarebbe tenuta a maggio a porte chiuse a Washington, Obama avrebbe espresso forti critiche a Erdogan per il sostegno, definito dagli USA ‘incondizionato’, che il regime di Ankara starebbe accordando ai gruppi islamisti radicali e addirittura a quelli vicini ad al-Qaeda. L'articolo riferisce che il capo dell'intelligence turca Hakan Fidan avrebbe messo in atto un piano per fornire soldi, supporto logistico e armi provenienti da Qatar e Arabia Saudita ai ribelli che combattono nel nord della Siria, dove sono più attivi anche gli islamisti radicali. Ankara ha più volte negato di fornire sostegno diretto ai ribelli, ma reporter con esperienza diretta nell'area di confine hanno più volte documentato il passaggio di combattenti, sia dell'Esercito siriano libero (Esl) che di gruppi jihadisti. Questi, dopo essere stati curati negli ospedali turchi, tornavano a combattere in territorio siriano. Nel sud della Turchia, nei mesi scorsi, esponenti dell’opposizione turca e rappresentanti dei rifugiati siriani scappati oltre frontiera dai combattimenti hanno più volte denunciato che i combattenti delle milizie dell’opposizione siriana vengono ospitati, addestrati e armati in appositi campi montati a pochi chilometri dal confine con Damasco.
Fino a qualche tempo fa l’amministrazione statunitense ha tollerato il sostegno turco ai ribelli islamisti, e secondo molte denunce vi ha anche partecipato. Salvo poi cambiare idea negli ultimi mesi, man mano che i piani di Washington nell’area sono saltati grazie all’intervento di Russia, Cina e Teheran.
La sensazione è che gli Stati Uniti siano entrati completamente nel pallone e non sappiano più bene come districarsi in un’area in cui sono obbligati a difendere la propria egemonia. Un’egemonia che però soffre la quantità di attori presenti sul campo, a partire da grandi potenze rivali, in particolare la Russia e la Cina, ma anche l’alleato/competitore francese, fino a tante potenze regionali - Turchia, Qatar, Israele e Arabia Saudita - che di obbedire a Washington proprio non ne vogliono sapere.

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