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19/02/2015

Il piede sul tubo dell'ossigeno: Atene chiede sei mesi di proroga

Le schermaglie diplomatiche tra Unione Europea e Grecia stanno per finire. Anche gli Stati Uniti hanno fatto la loro solita ignobile parte, prima incoraggiando Atene a chiedere una fine dell'austerità, poi – ieri – spendendo il ministro dell'economia Lew in una telefonata minatoria al pari grado Yanis Varoufakis: “sbigatevi a firmare un accordo, ogni secondo di ritardo è pericoloso”. Notizia confermata dal ministro greco, che non ha mancato di ritorcere contro i “commissari dell'austerità” la responsabilità di un eventuale mancato accordo: "Il segretario del Tesoro Usa mi ha effettivamente detto che un mancato accordo danneggerebbe la Grecia", ma "ha aggiunto che danneggerebbe anche l'Europa. Un avvertimento a entrambe le parti". Comunque sia, come potenziali alleati esterni restano adesso solo Russia e Cina; ma invocarli ora sarebbe una dichiarazione di guerra. Non solo economica.

Stamattina il governo greco ha ufficialmente inviato a Bruxelles la richiesta di “estensione del programma di aiuti”. Di conseguenza Dijsselbloem ha convocato l'Eurogruppo per domani, altrimenti – come aveva già minacciato – avrebbe schiacciato il bottone dell'atomica finanziaria sulla Grecia.

Il problema, com'è ormai noto, è che ad Atene occorrono i finanziamenti necessari per svoltare questa prima fase; ma per prorogarli l'Unione Europea pretende che in cambio siano realizzate quelle “riforme strutturali” contro cui Syriza ha condotto, vincendola, la campagna elettorale.

Per chiarire – soprattutto al proprio elettorato – cosa aveva proposto fin qui il governo Tsipras nelle trattativa con l'Unione è stata resa pubblica la proposta avanzata al tavolo e respinta totalmente dal duo Schaeuble-Dijsselbloem.

Una proposta “articolata, che parte da quanto detto anche nelle dichiarazioni pubbliche di Tsipras e Varoufakis. E quindi:

- no ai livelli di surplus primario di bilancio da destinare al pagamento del debito, fin qui fissato dalla Troika al 3% per il 2015 e al 4,5% del Pil nel 2016: per Atene basta e avanza l'1,5%, il resto lo potrebbe così impegnare nella realizzazione di almeno parte del programma elettorale. Quasi divertente – ma avrà irritato moltissimo i due “boeri” dello strozzinaggio europeo – la sottolineatura del fatto che quei livelli di surplus sono da considerarsi «artificiali, senza precedenti storici e soprattutto senza sostegno da parte di nessun economista di fama». Insomma: invenzioni pensate per spremere di più la Grecia, non derivate di un qualche calcolo macroeconomico serio.

- al contrario di quanto imposto finora dalla Troika, Atene chiede di poter utilizzare le proprie risorse del Fondo ellenico di stabilizzazione bancaria per raggiungere effettivamente l'obiettivo di mettere finalmente in sicurezza il sistema bancario nazionale; in questo modo verrebbero ridotte le cosiddette “sofferenze” (crediti ormai diventati inesigibili), facendo riaprire i rubinetti dei prestiti all'economia.

- “riesame” del programma di privatizzazioni imposto dalla Troika, alla luce del fatto che dei previsti - dalla Troika stessa! - 50 miliardi di incasso ne sono arrivati in realtà appena 4,1; un modo come un altro, insomma, per derubare un paese a prezzi stracciati, a partire da stime false; ma soprattutto la verifica empirica della «impossibilità pratica di drenare risorse per pagare il debito nell'attuale contesto greco» di deflazione (magari riesci anche a vendere, ma non ci fai un euro).

- aumentare il tetto dei titoli di stato da emettere, con scadenza a tre mesi, oltre gli attuali 15 miliardi; in questo modo sarebbe stato anche più facile rispettare i debiti in scadenza (17 miliardi di euro quest'anno).

- incasso degli 1,9 miliardi guadagnati dalla Bce vendendo titoli greci secondo il programma Smp.

Niente di “rivoluzionario”, come si può vedere; giusto quel tanto di gioco di assestamento indispensabile a “passà a nuttata”. Ma anche questo sarebbe risultato intollerabile in una “Unione” in cui molti altri paesi – specie quelli che alle prossime elezioni politiche, entro la fine di quest'anno – rischiano di esser guidati da coalizioni simil-Syriza o ancora più radicali. Dare fiato poteva quindi sembrare una vittoria di Atene, che poteva entusiasmare altri oppositori dell'austerità – specie di sinistra – in un potenziale domino senza fine (anche a Berlino non mancano gli scontenti per la situazione economica interna).
A fronte di questa proposta (ovviamente più ricca di dettagli secondari), la contro proposta di mediazione avanzata dal commissario all'economia UE, il francese Pierre Moscovici, prevedeva un “piano di transizione di quattro mesi”, che per Varoufakis & co. sarebbe stato il fiato minimo necessario per organizzarsi meglio. Ma gente come Dijselbloem sembra aver in testa una sola cosa: tenere il piede sul tubo dell'ossigeno fino alla resa della vittima. E infatti al posto della “bozza Moscovici” ha presentato l'ormai famoso ultimatum: si prosegue come prima o niente.

La portata della partita è dunque tutta politica. Il governo Syriza non può materialmente accettare di fare quel che faceva Samaras, esploderebbe in un attimo (Syriza è una coalizione, non una “caserma” o un monolite) per evidente inutilità di funzione. Il malessere popolare finora coagulato intorno alle sue proposte di riforma prenderebbe decisamente altre direzioni (forse più sulla destra che non in direzione dei comunisti immobili del Kke) e finirebbe per condizionare anche le altre scadenza elettorali europee. Obiettivo che non ci sembra affatto estraneo, ripetiamo, agli insistiti richiami al “rispetto delle regole” che provengono dai piani alti di Ue, Bce, Fmi.

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