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14/10/2016

Iraq: Usa e sauditi proteggono le milizie di Daesh

La situazione in Iraq comincia a diventare complicata come quella in Siria. Le catastrofiche sconfitte dell’esercito iracheno, nel 2014, portarono alla sorprendente ascesa di Daesh, che qui è nato, con la conquista della provincia di Anbar (Fallujah, Tikrit e Ramadi) e con l’occupazione della città di Mosul, diventata capitale dello Stato Islamico in territorio iracheno.

Nel 2015 il governo centrale, presieduto dal neo premier sciita Haider Al Abadi, ha faticato a risistemare una situazione che rischiava di disintegrare la nazione irachena. Rimangono indelebili nella memoria le immagini dei militari di Baghdad che scappavano da quei territori, abbandonando armi ed equipaggiamenti alle milizie jihadiste o al massacro i civili yazidi nel nord.

Nonostante oggi in Iraq, da un punto di vista politico, ci siano ancora degli enormi problemi legati al nuovo sistema confessionale e alle conseguenti rivolte per l’eccessivo clientelismo delle cariche, da un punto di vista militare, al contrario, il primo ministro Al Abadi ha tentato di riorganizzare l’apparato di sicurezza con una scelta vincente: coinvolgere tutte le forze politiche e tutte le confessioni del paese.

Le Forze di Mobilitazione Popolare (in arabo Hashd Shaabi), formate nel giugno 2014, sono costituite sia dai vecchi apparati militari sia dalle differenti milizie confessionali. Il carattere multiconfessionale delle FMP è sicuramente il punto di forza che ha cambiato le sorti della lotta contro Daesh: quello che le popolazioni sunnite del nord poco tolleravano era, infatti, la netta predominanza di comandanti sciiti nelle loro aree rurali. All’interno delle milizie ci sono ora tutte le formazioni militari di tutte le confessioni del paese: gli sciiti, i sunniti, i cristiani, gli yazidi e il coordinamento delle forze curde. Dal 2015 ad oggi sono state numerose le vittorie da parte delle FMP fino alla completa liberazione della provincia di Anbar e all’accerchiamento dell’unica città rimasta nelle mani delle milizie di Al Baghdadi: Mosul.

Secondo le informazioni vicine alle forze curde, “i peshmerga e le truppe irachene si preparano ad una vasta operazione militare per la liberazione di Mosul tra la fine di ottobre ed i primi di novembre” (fonte Al Manar). In un’intervista rilasciata all’agenzia russa Sputnik, Said Mamuzini, portavoce del PDK (Partito Democratico Curdo), dichiara che “Daesh sta preparando la città per un’ultima difesa con trincee e mine, mentre numerosi suoi miliziani stanno scappando dalla città verso la Siria orientale (Deir Ez-zor, ndr)”. Secondo testimonianze provenienti da Mosul, lo stesso leader di Daesh, Abu Bakr Al Baghdadi, avrebbe adottato una nuova strategia imponendo ai suoi quadri un ultimatum: “se potete combattere per Mosul, combattete, altrimenti preparate delle trappole-bomba, distruggete la città e fuggite”.

Sempre secondo Sputnik, che cita una fonte diplomatica russa, l’intelligence Usa e quella saudita avrebbero garantito un corridoio d’uscita ai miliziani di Daesh verso la Siria orientale. Una notizia simile confermerebbe le affermazioni della settimana scorsa del segretario generale di Hezbollah, Nasrallah, che ha dichiarato “i servizi segreti americani e quelli sauditi garantiscono un’uscita sicura da Mosul per i miliziani di Daesh prima che cominci l’attacco ed il bombardamento delle forze della coalizione internazionale”. L’obiettivo sarebbe quello di far evacuare oltre 9mila jihadisti che potrebbero combattere a Deir Ez-zor fino a riconquistare la città di Palmira, centro strategico per le vie di comunicazione all’interno della Siria. Una simile azione, infatti, rimetterebbe in discussione tutte le conquiste delle truppe lealiste di Damasco e dei suoi alleati sul campo (Hezbollah, iraniani e russi). Rimarrebbe così confermata la strategia del dipartimento di Stato Usa che auspicava la creazione di una zona jihadista nella parte orientale della Siria per indebolire l’asse sciita della resistenza: Iran, Iraq, Libano e Siria.

Le stesse fonti libanesi di Hezbollah avrebbero messo in allarme il governo iracheno dalle reali intenzioni statunitensi. Gli USA “vorrebbero ostacolare o veicolare la vittoria irachena contro Daesh” e utilizzarla per i loro scopi geopolitici nella regione. Un simile sospetto è rafforzato da due episodi. Il primo è legato al fatto che, nella liberazione di giugno di Fallujah, le truppe statunitensi fecero la stessa cosa. In quell’occasione un migliaio di miliziani riuscì a scappare indisturbato verso la Siria senza essere ostacolato o bombardato dall’aviazione statunitense. Il secondo è legato alle recenti frizioni tra il governo di Al Abadi e quello turco di Erdogan. Le truppe turche, circa 2mila, restano nel territorio iracheno nella base curda di Bashiqa ufficialmente per “addestrare i peshmerga contro Daesh”. Sicuramente la stessa potenza turca mira a non rimanere fuori dalla battaglia per Mosul, cercando, inoltre, di indebolire il governo di Baghdad.

La strategia turca è, infatti, quella di favorire le divisioni etniche e confessionali all’interno dello stato iracheno sostenendo, paradossalmente, i curdi iracheni. La battaglia per Mosul deve ancora cominciare, ma la situazione irachena sembra assumere gli stessi connotati di quella siriana: una guerra d’interessi tra potenze locali, nazionali e mondiali.

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