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01/04/2018

Mustafa Barghouti: “Unità e mobilitazione popolare”

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Esponente di spicco della società civile palestinese e storico sostenitore della resistenza ‎popolare contro l’occupazione, Mustafa Baghouti vede nella massiccia partecipazione a ‎Gaza alla Grande Marcia del Ritorno il nuovo orizzonte al quale la popolazione e le forze ‎politiche palestinesi dovranno guardare da oggi in poi. Lo abbiamo intervistato mentre da ‎Gaza giungevano continue notizie di morti e feriti.‎

Sangue e politica, Gaza dimostra ancora una volta la sua centralità nella questione ‎palestinese.
 
Non è stato solo un giorno di morte e dolore di cui è responsabile esclusivamente Israele. Ci sono due ‎punti molto importanti emersi dalla Grande Marcia del Ritorno. Il primo è che oggi ‎‎(ieri, ndr) abbiamo visto sul terreno una manifestazione concreta dell’unità palestinese. ‎Uomini, donne, ragazzi, bambini hanno partecipato a un’iniziativa che per giorni gli ‎israeliani hanno etichettato come violenta, aggressiva, minacciosa e che invece voleva solo ‎commemorare la Nakba e il Giorno della terra e ribadire che i palestinesi non ‎dimenticheranno mai i loro diritti. L’unica aggressione è arrivata da Israele che ha schierato ‎carri armati, blindati e tiratori scelti contro civili disarmati che manifestavano per i loro ‎diritti e per difendere la loro memoria storica.

Il secondo è che tutte le formazioni politiche ‎palestinesi, incluso Hamas, hanno adottato la resistenza popolare non violenta. Il ‎movimento islamico al di là dei suoi proclami e delle sue manifestazioni di forza, in realtà ‎ora comprende che solo la mobilitazione popolare, non violenta, può raggiungere gli ‎obiettivi che sono di tutti i palestinesi. A cominciare dalla fine dell’assedio di Gaza. Sono ‎sicuro che vedremo sempre di più (nei Territori palestinesi occupati) manifestazioni con ‎migliaia e migliaia di persone.‎

Chiedete alla comunità internazionale di intervenire?
 
Condannare Israele è il minimo che è chiamata a fare ciò che definiamo come la comunità ‎internazionale. L’Europa, ad esempio, a parole difende diritti e democrazia e poi resta in ‎silenzio davanti ai crimini e agli abusi che commette Israele. Non fiata e quando lo fa è solo ‎per ripetere slogan e formule sterili che non servono a nulla in una situazione regionale e ‎internazionale profondamente mutata in cui, peraltro, gli Stati Uniti hanno adottato ‎apertamente la politica (del premier israeliano) Netanyahu proclamando Gerusalemme ‎capitale di Israele e disconoscendo la storia della città e le rivendicazioni palestinesi.

Donald Trump probabilmente sarà di nuovo a Gerusalemme a metà maggio, per ‎partecipare all’apertura dell’ambasciata Usa nella città.‎
 
E quando sarà qui si renderà conto che i palestinesi non si arrendono e continuano la lotta ‎per i loro diritti malgrado debbano fare i conti con un Paese molto potente come Israele e ‎con la superpotenza mondiale, l’America. Sono certo che la resistenza popolare vista a Gaza ‎e in Cisgiordania in queste ore non solo andrà avanti fino al 15 maggio, quando Trump ‎dovrebbe essere qui, ma proseguirà dopo quella data. Si trasformerà in un movimento di ‎massa, pacifico ma molto determinato contro l’occupazione. Questa è l’unica strada che ‎abbiamo per resistere all’oppressione israeliana e per liberarci di essa. Il resto si è dimostrato ‎fallimentare.

Ritiene l’Autorità nazionale palestinese ai margini, non importante per la lotta ‎popolare che lei si aspetta nelle prossime settimane?
 
Non dico questo ma certo l’Anp dovrà cambiare radicalmente la sua strategia e rinunciare al ‎suo attaccamento agli Accordi di Oslo del 1993 e alla formula negoziale degli ultimi venti ‎anni. Non ci crede più nessuno e il governo Netanyahu utilizza quelle vecchie intese per ‎proseguire indisturbato le sue politiche di occupazione e colonizzazione. La prima cosa che ‎l’Anp dovrà fare è mettere fine alla frattura (con Hamas, ndr) perché nessun palestinese la ‎vuole e può ancora tollerarla.

AGGIORNAMENTI Al Mezan: due feriti (forse morti) sono da ieri a 150 metri dalle barriere di confine
 

Il Centro al Mezan per i diritti umani chiede che l’esercito israeliano consenta di portare soccorso a due dimostranti, Mohammed Al Arabiyeh e Musab Al Saloul, che si trovano Jahr Al Dik in Wadi Gaza, a circa 150 metri dalle barriere con Israele. I due sono stati feriti ieri e, secondo al Mezan, potrebbero essere morti.

Esercito Israele: pronti a colpire anche dentro Gaza
 
Se le proteste continueranno Israele espanderà la sua reazione e colpirà dentro Gaza. Lo ha detto il generale Ronen Manelis, portavoce militare israeliano, all’indomani della Marcia del Ritorno e dell’uccisione di 16 palestinesi.

Onu, Guterres: indagine indipendente su fatti Gaza
 
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres vuole “un’indagine indipendente e trasparente” sui fatti di ieri a Gaza mentre il Consiglio di sicurezza Onu sollecita moderazione e riduzione delle tensioni ma non ha deciso alcuna azione dopo l’incontro d’emergenza di ieri sera. L’ambasciatore palestinese Riyad Mansour si dice deluso dal Consiglio di sicurezza Onu che non ha condannato “l’orribile massacro compiuto da Israele”. Invece l’ambasciatore israeliano al Palazzo di vetro, Danny Danon, parla di  “un raduno di terrore violento e ben organizzato”.

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