di Michele Giorgio – Il Manifesto
Esponente di spicco della società civile palestinese e storico sostenitore della resistenza popolare contro l’occupazione, Mustafa Baghouti
vede nella massiccia partecipazione a Gaza alla Grande Marcia del
Ritorno il nuovo orizzonte al quale la popolazione e le forze politiche
palestinesi dovranno guardare da oggi in poi. Lo abbiamo intervistato
mentre da Gaza giungevano continue notizie di morti e feriti.
Sangue e politica, Gaza dimostra ancora una volta la sua centralità nella questione palestinese.
Non è stato solo un giorno di morte e dolore di cui è responsabile
esclusivamente Israele. Ci sono due punti molto importanti emersi dalla
Grande Marcia del Ritorno. Il primo è che oggi (ieri, ndr) abbiamo
visto sul terreno una manifestazione concreta dell’unità palestinese.
Uomini, donne, ragazzi, bambini hanno partecipato a un’iniziativa che
per giorni gli israeliani hanno etichettato come violenta, aggressiva,
minacciosa e che invece voleva solo commemorare la Nakba e il Giorno
della terra e ribadire che i palestinesi non dimenticheranno mai i loro
diritti. L’unica aggressione è arrivata da Israele che ha schierato
carri armati, blindati e tiratori scelti contro civili disarmati che
manifestavano per i loro diritti e per difendere la loro memoria
storica.
Il secondo è che tutte le formazioni politiche palestinesi,
incluso Hamas, hanno adottato la resistenza popolare non violenta. Il
movimento islamico al di là dei suoi proclami e delle sue
manifestazioni di forza, in realtà ora comprende che solo la
mobilitazione popolare, non violenta, può raggiungere gli obiettivi che
sono di tutti i palestinesi. A cominciare dalla fine dell’assedio di
Gaza. Sono sicuro che vedremo sempre di più (nei Territori palestinesi
occupati) manifestazioni con migliaia e migliaia di persone.
Chiedete alla comunità internazionale di intervenire?
Condannare Israele è il minimo che è chiamata a fare ciò che
definiamo come la comunità internazionale. L’Europa, ad esempio, a
parole difende diritti e democrazia e poi resta in silenzio davanti ai
crimini e agli abusi che commette Israele. Non fiata e quando lo fa è
solo per ripetere slogan e formule sterili che non servono a nulla in
una situazione regionale e internazionale profondamente mutata in cui,
peraltro, gli Stati Uniti hanno adottato apertamente la politica (del
premier israeliano) Netanyahu proclamando Gerusalemme capitale di
Israele e disconoscendo la storia della città e le rivendicazioni
palestinesi.
Donald Trump probabilmente sarà di nuovo a Gerusalemme a metà
maggio, per partecipare all’apertura dell’ambasciata Usa nella città.
E quando sarà qui si renderà conto che i palestinesi non si arrendono
e continuano la lotta per i loro diritti malgrado debbano fare i conti
con un Paese molto potente come Israele e con la superpotenza
mondiale, l’America. Sono certo che la resistenza popolare vista a Gaza
e in Cisgiordania in queste ore non solo andrà avanti fino al 15
maggio, quando Trump dovrebbe essere qui, ma proseguirà dopo quella
data. Si trasformerà in un movimento di massa, pacifico ma molto
determinato contro l’occupazione. Questa è l’unica strada che abbiamo
per resistere all’oppressione israeliana e per liberarci di essa. Il
resto si è dimostrato fallimentare.
Ritiene l’Autorità nazionale palestinese ai margini, non
importante per la lotta popolare che lei si aspetta nelle prossime
settimane?
Non dico questo ma certo l’Anp dovrà cambiare radicalmente la sua
strategia e rinunciare al suo attaccamento agli Accordi di Oslo del
1993 e alla formula negoziale degli ultimi venti anni. Non ci crede più
nessuno e il governo Netanyahu utilizza quelle vecchie intese per
proseguire indisturbato le sue politiche di occupazione e
colonizzazione. La prima cosa che l’Anp dovrà fare è mettere fine alla
frattura (con Hamas, ndr) perché nessun palestinese la vuole e può
ancora tollerarla.
AGGIORNAMENTI
Al Mezan: due feriti (forse morti) sono da ieri a 150 metri dalle barriere di confine
Il Centro al Mezan per i diritti umani chiede che l’esercito israeliano
consenta di portare soccorso a due dimostranti, Mohammed Al Arabiyeh e
Musab Al Saloul, che si trovano Jahr Al Dik in Wadi Gaza, a circa 150
metri dalle barriere con Israele. I due sono stati feriti ieri e,
secondo al Mezan, potrebbero essere morti.
Esercito Israele: pronti a colpire anche dentro Gaza
Se le proteste continueranno Israele espanderà la sua reazione e
colpirà dentro Gaza. Lo ha detto il generale Ronen Manelis, portavoce
militare israeliano, all’indomani della Marcia del Ritorno e
dell’uccisione di 16 palestinesi.
Onu, Guterres: indagine indipendente su fatti Gaza
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres
vuole “un’indagine indipendente e trasparente” sui fatti di ieri a Gaza
mentre il Consiglio di sicurezza Onu sollecita moderazione e riduzione
delle tensioni ma non ha deciso alcuna azione dopo l’incontro
d’emergenza di ieri sera. L’ambasciatore palestinese Riyad Mansour si
dice deluso dal Consiglio di sicurezza Onu che non ha condannato
“l’orribile massacro compiuto da Israele”. Invece l’ambasciatore
israeliano al Palazzo di vetro, Danny Danon, parla di “un raduno di
terrore violento e ben organizzato”.
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