Nella competizione tra partiti è opportuno concentrarsi
sulle percentuali elettorali. In tal senso, le elezioni regionali del
Friuli Venezia Giulia dicono molto anche a livello nazionale: chi in
questa fase si presenta come opposizione ha tutto da
guadagnarci. Viceversa, per una comprensione maggiore del quadro
politico nel suo insieme, bisogna guardare ai dati assoluti. Leggendo i
quali, si scoprirebbe che la Lega ha perso, rispetto alle politiche di
marzo, 29.803 voti. Continuiamo a leggere di trionfi leghisti, eppure i
dati nudi e crudi parlano di una ritirata, non di un’espansione. Una
ritirata che però, bisogna evidenziare, è più contenuta del tracollo
Cinque stelle: rispetto alle politiche di marzo il partito grillino
perde 139.489 voti, passando da 169.299 voti addirittura a 29.810. Anche
questo dato illustra direttamente l’attuale stallo politico nazionale: a
differenza della Lega, per il M5S il tempo del governo è qui e ora. Le
elezioni friulane dovrebbero funzionare da bignami della strategia
politica, perché descrivono una traiettoria che i vari leader politici
conoscono bene. Da una parte c’è la Lega, a cui non interessa andare al
governo, ma scalzare Forza Italia quale pivot della coalizione ed
egemonizzare il centrodestra. Questo è l’obiettivo principale di
Salvini, un obiettivo raggiungibile anche – forse soprattutto –
con un ulteriore giro all’opposizione. Diverso il caso del M5S.
Presentandosi come partito avverso alle coalizioni, tentando di
raggiungere in solitaria la maggioranza parlamentare, non può che
spingere per cogliere l’occasione, probabilmente irripetibile, del
risultato elettorale di marzo. E’ vero che prossime eventuali elezioni
non cambierebbero di tanto i risultati di marzo. Ma l’enorme distacco
tra M5S e gli altri partiti sarà probabilmente destinato a ridursi più
che aumentare. Se già oggi è una strada impervia, con altri risultati
elettorali la via del governo per il M5S sarebbe definitivamente
sbarrata. Questo il motivo per cui il M5S, attraverso l’operazione Di
Maio – cioè la moderazione generalizzata del Movimento – ha come
obiettivo secondario anche la fagocitazione dell’elettorato democratico. Stupisce,
semmai, che ad accorgersi dell’Opa grillina sia solo Renzi. Questo
fatto la dice lunga sulla dispersione di competenze politiche del gruppo
dirigente ex Pci, oggi inalberato con l’ex segretario per la chiusura
totale ad una fiducia democratica ad un governo con il M5S.
Il ragionamento implicito della “dissidenza” democratica, quella dei
vari Emiliano, Boccia ma anche di Martina, è talmente illusorio da
sfiorare la provocazione: attraverso l’alleanza con il M5S facciamo
fuori Renzi e “riportiamo” il partito “a sinistra”, promuovendo il
ritorno del Pd quale coerente espressione della socialdemocrazia,
distante dalle rotture renziane che hanno fatto perdere ai democratici aderenza con la propria base elettorale. L’intervista di Renzi a Che tempo che fa ha
fatto scoppiare il casino: come si permette di rovinarci i piani?
Eppure, nonostante Renzi si possa considerare pacificamente il peggior
segretario della sinistra riformista dal Pci al Pd, la congrega di
sottoposti di cui si compone lo Stato maggiore del partito risulta
talmente incapace da rivalutare Renzi stesso. Mentre gli Emilianos
vorrebbero sfruttare Di Maio per far fuori Renzi, Renzi si accorge che è
il M5S che sta sfruttando la dissidenza interna per fagocitare quel che
rimane dell’elettorato Pd. Perché se un governo M5S-Pd dovesse andare
bene i meriti verrebbero raccolti unicamente dal socio di maggioranza,
dunque dai grillini, che a quel punto occuperebbero per intero il campo
oggi chiamato “centrosinistra”. Se, al contrario, dovesse andare male,
le colpe si riverserebbero unicamente sul Pd, al governo dal 2011 senza mai vincere un’elezione.
E in effetti l’idea di rimanere al governo nonostante la sconfitta,
dopo esserci rimasti per sette anni sfruttando l’onda lunga del golpe
montiano-europeista, può venire solo da personaggi incapaci di intendere
e di volere, quale in effetti sembrano i Martinas di turno.
Stupefacente che una dinamica logica di questo tipo possa essere colta
solo da Renzi. A meno che questi calcoli i dirigenti del Pd non se li
siano già fatti, e a muoverli sia piuttosto il muoia Sansone con tutti i filistei, che tradotto vuol dire riprendersi il partito anche al costo di ridurlo attorno al 10% elettorale.
In tutto questo bailamme c’è però l’Europa, l’Unione europea, i
“mercati”. Che al momento lasciano fare per un’unica ragione: al governo
c’è, e ci sarà per diverso tempo, ancora Gentiloni, dunque la stabilità
garantita dal pilota automatico europeista. Mattarella, a tal
proposito, è stato fin troppo chiaro: scordatevi nuove elezioni, senza
accordo politico si procede col “governo del presidente”, necessario
all’approvazione del bilancio e della prossima finanziaria, nonché per
riscrivere quella legge elettorale necessaria a garantire la stabilità
per mezzo degli accordi trasversali di coalizione. Staremo a vedere, di
certo l’eventuale ridimensionamento elettorale del M5S sarà destinato a
spalancare le porte alla Lega più che a milioni di proletari
anestetizzati dal populismo grillino ma che, una volta cessato
l’incantesimo, riprenderanno coscienza e svilupperanno una più coerente
lotta di classe. Più o meno questa è l’idea generale sul M5S, e il
populismo, “a sinistra”. Consigliamo una riunione con Emiliano per
stabilire le prossime tappe della riscossa democratica.
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