I padroni stanno facendo i conti con la madre di tutte le contraddizioni, quella che potremmo sintetizzare “botte piena e moglie ubriaca”. Da un lato le controriforme del sistema previdenziale hanno allungato l’età pensionabile tenendo in attività i lavoratori “fino all’ultimo battito utile”, dall’altra le innovazioni tecnologiche richiedono lavoratori più giovani e più preparati a misurarcisi, che però non trovano spazio nel mercato del lavoro.
Cuore della contraddizione – ma guai a dirlo ai “prenditori” che altrimenti si offendono – è che questi giovani lavoratori vengono pagati sempre meno, anche avendo a disposizione conoscenze elevate, mentre i refrain sul taglio dei costi della spesa pubblica (inclusa quella pensionistica) si scontrano con il fatto che i lavoratori anziani vengono tenuti in attività per sempre maggior tempo. I padroni vorrebbero risolverla facile con due semplici equazioni: tagliare le pensioni pur mantenendo l’allungamento dell’età pensionabile per stornare risorse oggi destinate alla spesa pubblica e pagare sempre meno i nuovi lavoratori che entrano in produzione. A fare gli imprenditori così saremmo capaci anche noi che non abbiamo certo lo spirito degli “entrepreneur”. Per questo ci viene istintivo definirli come “prenditori” piuttosto che come soggetti che rischiano di proprio sul mercato.
La situazione del mercato del lavoro in Italia, è stata radiografata oggi dal Sole 24 Ore, e l’immagine che restituisce visualizza bene la contraddizione in cui si dibattono i “prenditori” nostrani.
Nel 2007 il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni era del 24,2%, dieci anni dopo è scesa al 17,7%. Una caduta ancora più accentuata per la fascia 25-34 anni il cui tasso di occupazione è passato dal 70,4% al 60,8%.
Contestualmente è aumentata l’occupazione degli over 50: se nel 2007 il tasso di occupazione tra i 50 e i 64 anni era del 46,9%, oggi è salito al 59,4%. Una contraddizione? No, è una situazione allineata con gli altri paesi europei, solo il dato sui lavoratori giovani appare ancora un poco sotto la media europea.
Ma che tipo di lavoro è? Il numero di lavoratori occupati a tempo determinato è cresciuto dai 2,27 milioni del 2007 ai 2,92 milioni di oggi (pari al 28,6%, quasi un terzo e con un tasso più elevato della media europea). Quello dei lavoratori occupati a tempo indeterminato è cresciuto molto meno da 14,85 milioni a 14,93 milioni, pari allo 0,6%. Balza agli occhi la bassa occupazione femminile. Anche se, nel corso degli ultimi 10 anni, complice la crisi che ha visto decine di migliaia di famiglie perdere la propria unica fonte di reddito, il trend sta cambiando. Se nel 2007 il tasso di occupazione femminile era del 47,1% oggi è salita al 49,2%.
L’anomalia che continua a persistere è l’elevato numero di persone che le statistiche considerano come “inattive”. Con questo termine si intendono coloro che non hanno una occupazione o che non sono alla ricerca di lavoro. Un parametro molto controverso che tiene dentro condizioni assai diverse tra loro (dai pensionati ai lavoratori “in nero”, dai giovani “Neet” ai cosiddetti “scoraggiati”). Questo blocco di persone era sempre stato superiore ai 14 milioni di persone, negli ultimi dieci anni si è assistito ad un calo. Tra il 2007 ed oggi infatti il tasso di inattività è passato dal 37,1% (14,3 milioni) al 34,7% (13,4 milioni), con un calo di circa un milione di unità.
Sul piano delle qualifiche si segnala che a partire dal 2007 il numero di operai si è ridotto di oltre 1 milione di unità, e soprattutto si sono ridotti gli operai in professioni tecniche e qualificate di circa 500mila unità. Nello stesso arco di tempo si è assistito alla crescita sia di personale non qualificato (480mila occupati) sia di lavoratori in professioni esecutive nel commercio e nei servizi.
Ma un ulteriore sconquassamento di questo quadro, può venire dalla crescente automazione della produzione e di molte funzioni lavorative oggi svolte da persone in carne ed ossa. Secondo una prima previsione dell’OCSE circa il 10% dei posti di lavoro sono ormai ad alto rischio di automazione e il 34% sarebbero soggetti ad un profondo cambiamento delle mansioni a causa dell’automazione.
L’introduzione di nuove tecnologie e l’automazione, si scontrano con il basso tasso di ricambio generazionale nel mondo del lavoro. Recenti dati della Banca Centrale Europea ipotizzano che se nel 2016 le persone nella fascia d’età tra i 15 e i 64 (quindi in età lavorativa) erano il 64,8%, nel 2030 saranno il 60,4% e nel 2070 il 56% (l’allungamento dell’età pensionabile crea questo effetto). Ma si scontra anche con la domanda di lavoratori con maggiori conoscenze da parte delle imprese. Un rapporto di Unioncamere afferma che circa il 25% delle posizioni ricercate dalle imprese è di difficile reperimento, mentre Confindustria lamenta la mancanza di 280mila tecnici per rispondere agli investimenti tecnologici incentivati dal “Piano Impresa 4.0”.
Ma i “prenditori” associati in Confindustria o Unioncamere non sembrano porsi la domanda: perché mai un tecnico, che spesso ne sa più del padrone, dovrebbe accettare i miseri salari che le imprese oggi mettono a disposizione?
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