Io non dimentico il pericolo scampato col Referendum costituzionale e il tentativo di sovvertire gli equilibri tra i poteri dello Stato con tanto di etichetta di “accozzaglia” verso gli oppositori.
I due Decreti Minniti (poi trasformati in legge a colpi di fiducia) sul decoro e sull’immigrazione che hanno trasformato la povertà e l’indigenza in questione di ordine pubblico e sacrificato sull’altare della sicurezza e del decoro lo Stato di diritto e il principio di eguaglianza, sottraendo ai migranti un grado di giudizio, istituendo i giudici speciali (esplicitamente vietati dalla Costituzione) e il lavoro gratuito per le e i migranti.
Leggi che hanno militarizzato le professioni di operatori sociali, servizi di igiene ambientale, trasporti pubblici e cercato di mettere la museruola alle lotte e criminalizzato gli attivisti con un bel foglio di via, in barba ai principi penali.
Io non dimentico lo psicoreato del questore di Roma (facente capo a Minniti al Viminale) e la verifica sui manifestanti in base agli “orientamenti ideologici” e quel 25 marzo 2017 in cui decine di pullman da tutta Italia vennero fermati alle porte di Roma e in oltre 150 vennero trattenuti senza alcun fondamento giuridico dentro un centro di identificazione per non consentire loro di arrivare a un corteo.
Io non dimentico il 30 marzo 2017 quando, sempre alle porte di Roma, i pullman delle precarie e dei precari in sciopero per la stabilizzazione dei contratti vennero fermati, e sempre gli stessi precari/e vennero filmati/e e schedati uno per uno.
Io non dimentico le mazzate ai movimenti di piazza, agli studenti e ai sindacati di base contro il Governo Renzi e Voltaire, comodamente citato da casa per difendere il Salvini-pensiero quando ancora era possibile fermare la sua ascesa politica in ambito nazionale.
Io non dimentico Ventimiglia con le ordinanze anticibo a firma PD, riconducibili ai teoremi del decoro, Minniti dixit.
Io non dimentico Macerata, quando si tentò l’operazione-equiparazione degli “opposti estremismi” e sempre l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti fece di tutto per vietare la manifestazione antifascista, ma in migliaia si ribellarono ai diktat dei vertici associativi e sfidarono il divieto rischiando mazzate e denunce.
Io non dimentico Milano: i concerti nazirock, i volantinaggi e i banchetti di Forza Nuova e CasaPound, con tanto di pacchi di pasta al mercato, l’apologia del fascismo persino in un luogo sacro come il Cimitero, il revisionismo storico su Ramelli.
Io non dimentico gli accordi con la Libia che hanno trasformato un Paese in un lager a cielo aperto e occhio non vede, cuore non duole.
Io non dimentico la stretta di mano ad Al Sisi e Giulio Regeni che si rivolta nella tomba e i desaparecidos delle lotte che marciscono nelle carceri egiziane.
Io non dimentico Marchionne osannato come modello, con buona pace dei suicidi alla FCA e dei licenziati politici.
Io non dimentico la repressione di tutte le lotte a difesa dei territori, dalla Sicilia alla Val Susa, passando per il Salento e centinaia di compagni indagati coi teoremi fantasisti e ridicolizzati sulla stampa.
Io non dimentico le trivelle e la presa per i fondelli a reti unificate per chi non voleva i purtusi in mare.
Io non dimentico i presidi permanenti per la chiusura delle fabbriche, i licenziamenti al San Raffaele, alla Marcegaglia, all’Almaviva, al Policlinico e al binario 21 per gli ottocento lavoratori dei treni notte.
Non dimentico i grandi assenti di quelle notti al freddo e al caldo. Certo, non potevano mica esserci.
Erano a scrivere ed emanare il Jobs act e a portare l’Italia nell’Ottocento dei diritti, con gli operai che vanno a lavoro con il pannolino pur di non interrompere la catena di montaggio per le cause fisiologiche, le catene del controllo a distanza e tutte le tutele calanti.
A scrivere ed emanare a colpi di fiducia la Buona scuola e i super poteri dei presidi.
A scrivere ed emanare a colpi di fiducia l’Alternanza scuola-lavoro, mettendo a rischio la salute se non addirittura la vita di ragazzi giovani e senza formazione, da alfabetizzare al più presto al lavoro gratuito per essere i perfetti e docili sfruttati del domani.
A giustificare coi loro accademici altisonanti le norme che restringono il diritto di sciopero infilandole dentro una finanziaria, con il sempre presente concime mediatico che mette in contrapposizione scioperanti e cittadini comuni.
A fare le maratone natalizie per la firma dei peggiori contratti collettivi nazionali della Storia, con tanto di norma antidemocratica che lascia fuori dalle trattative e dai tavoli sindacali chi non firma i contratti e briciole retributive dopo anni di blocco contrattuale, ma “non lamentarti se non recuperi manco l’inflazione persa, che fuori c’è chi lavora pure gratis”.
A portare a compimento Brunetta, emanare una riforma della PA che continua a denigrare il lavoratore del pubblico impiego come “fannullone” e darci le sculacciate a reti unificate, creando i mostri del Colosseo e dei vigili urbani a Roma.
A ratificare il vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione, fautore della demolizione dello stato sociale e della competitività a ogni costo, ottima bolla di inganno per legittimare la cessione ai privati di servizi e ambiti pubblici.
Ad approvare in massa la Fornero sulle pensioni e “aiuto, è l’Europa che ce lo chiede”.
A tirare fuori dal cilindro la politica del decoro e della sicurezza e a guardare muti come pesci – quando non come sceriffi contenti – gli sgomberi di migranti, spazi sociali, occupazioni abitative a Roma, Milano, Bologna e altrove.
A usare la paura per comprimere i diritti politici, instillando nella popolazione italiana il senso di colpa per quello che ha ottenuto con anni di lotte e vai di ristrutturazioni e smantellamenti in nome di sua maestà lo Spread.
A creare zone rosse, chiudere pezzi di città per impedire le contestazioni alle feste dell’Unità e mettere il filo spinato ai cantieri e le reti ai Muostri.
A fregarsene delle periferie abbandonate a se stesse salvo poi fare proclami senza attuazione.
A non realizzare una politica fiscale equa e a consentire il rientro dei capitali illeciti dall’estero con la Voluntary Disclosure.
A emanare stati di emergenza a go go per legittimare deroghe alle norme e sminuire i poteri di controllo con tanta gioia di mafiosi e imprenditori con la bava alla bocca.
Erano loro a metterci già gli uni contro gli altri: giovani contro meno giovani, lavoratori pubblici contro lavoratori privati, garantiti e non garantiti.
Erano sempre loro a ignorare le piazze ribelli, a cercare di spegnere ogni forma di conflitto e di dissenso, con le modalità salottiere e accentratrici. Erano e sono sempre loro a invisibilizzare le lotte reali e grazie tante alla stampa mainstream, che orienta od omette il centimetro quadrato in piazza e oggi nell’immaginario collettivo si fa gran confusione.
Sono stati loro a iniziare quello che Salvini e questo Governo stanno portando a compimento: l’invidia sociale verso il basso e l’altrove come arma di distrazione di massa. A sottovalutare i rigurgiti fascisti denunciati dalle piazze e dai movimenti e trasformare la guerra tra poveri, sulla quale i venti del profitto e del razzismo da sempre speculano, in guerra ai poveri.
Chi fa parte del problema non può essere la soluzione. Dovrebbe chiedere scusa senza cercare di riciclarsi approfittando di un momento storico che non è un’emergenza: è la fase acuta di uno sdoganamento razzista e fascista iniziato, molto ma molto prima.
Senza memoria non c’è futuro non è uno slogan: è uno dei modi per cambiare veramente le cose e invertire i fattori produttivi dei risultati finali.
Oggi fa comodo parlare di odio, categoria non politica ma emotiva, che parla lo stesso linguaggio della pancia di chi a parole si vorrebbe contrastare. Nossignori, non conta la dimensione emotiva ma quella politica, fatta di leggi, provvedimenti, scelte, silenzi, condanne mediatiche, redistribuzione del reddito, Stato sociale e il colpevole cono d’ombra puntato su chi da sempre alza la testa per i diritti, l’uguaglianza, la giustizia sociale.
La vostra politica ha normalizzato la competitività, la concentrazione dei poteri, l’invidia sociale, la precarietà, i tagli allo Stato sociale, la repressione, il filo spinato ai cantieri e creato le premesse subculturali per dividerci e creare la linea generica immaginaria tra un noi e un loro.
Cari (nel senso che ci costate cari in termini contributivi) signori della sinistra sinistrata, la piazza non è una dimensione estetica per farsi i selfie della candeggina, né un raccoglitore automatico di consensi e percentuali da spendere alle prossime elezioni come fossimo un laboratorio chimico.
Come diciamo a Catania i maccaruni inchinu a panza e le nostre pance sono vuote anche grazie a voi. Il bue è bello che scappato dalla stalla. Non sarà facile ricucire la ferita creata da anni e anni di martellamento ma una cosa per me è certa: non sarete voi a liberarci da questo Medioevo disumano.
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