All’indomani della presentazione del Def, come spesso accade, le reazioni di giornali, media, trasmissioni di approfondimento e social, non hanno certo brillato per equilibrio e razionalità. Si va, in pratica, dall’isterismo fobico-depressivo all’esaltazione maniacale di affettata ed eccessiva felicità. Siamo, insomma – parlando in termini di eziopatogenesi – alla sindrome bipolare di natura politica, all’interno dello psicosoma popolare/elettorale italico. Un processo degenerativo, al quale, purtroppo, non riescono a sottrarsi neanche, in taluni casi, le intelligenze più avvedute della sponda marxista e culturalmente meglio equipaggiata. E sì, che gli strumenti per leggere, con spassionata obiettività, i dati reali, da quelle (queste) parti non dovrebbero difettare.
Chi parla di rivoluzione, chi di collasso. Per qualcuno siamo ad un passo dal socialismo realizzato; per qualcun altro alle soglie del paternalismo assistenziale fascista. Nessuno, insomma, preso nel vortice della comunicazione immediata e del pensiero social ad ogni costo, si ferma un attimo a riflettere. Così, le tifoserie si spaccano e si possono leggere e ascoltare dichiarazioni ai limiti dell’assurdo. Siamo, in parole povere, immersi, da qualche giorno, in un continuo delirio Def!
E allora, chiariamo, pur non essendo degli economisti, che il cosiddetto governo del cambiamento non ha sforato un bel niente. Il rapporto Deficit/Pil resta ben al di sotto del 3%, come previsto dal Fiscal Compact in Costituzione. Fiscal Compact – vero e primo problema per le tasche degli italiani – che non si tocca, come non si tocca l’euro.
In pratica, malgrado i proclami, non si scalfisce minimamente l’intelaiatura su cui si fonda il potere sovranazionale di un’ Europa, costruita rispondendo alle inique leggi di Mercato, fondata sui parametri monetaristi previsti da Milton Friedman e dalla sua Scuola di Chicago e, pertanto, in deroga alle esigenze dei popoli e dei loro lavoratori. D’altronde, come ha dichiarato lo stesso Di Maio, nessuno ha intenzione di uscire dall’eurozona.
I gialloverdi, con la conclusiva resa di Tria, hanno, dunque, semplicemente portato l’asticella della spesa più su di uno 0,4, rispetto ai parametri da fame, raccomandati dall’Europa stessa: cioè, non oltre il 2%. E Di Maio/Peron, in tal senso, può finalmente esultare per un po’ di elemosina fatta cadere “a pioggia” sugli strati sociali più bisognosi. Una buona cosa, rispetto alle precedenti manovre lacrime e sangue, ma non certo il socialismo. E neanche paragonabile a certi Def di democristiana o pentapartitica memoria.
Ciò detto, da comunista, più del dato economico mi preoccupa quello politico, con tutte le sue implicazioni future. Non sono convinto, infatti, che si aprano, per la sinistra antagonista e per il suo blocco sociale, autostrade per un reale conflitto di classe, da far deflagrare in seno alla borghesia, e alle sue contraddizioni, nazionialistiche o globaliste che siano. È più probabile, invece, visti i tempi – la Storia, parafrasando Benjamin, bisognerebbe esercitarla come monito e senza mai perdere di vista i contesti epocali – che Lega e Cinquestelle continueranno a fare il pieno di voti alle prossime elezioni, lucrando su migranti, xenofobia e un po’ di spesa, propagandata come il “più grande investimento nella storia d’Italia”. Ridicolo solo a sentirsi!
A questo punto, però, la domanda da porsi è un’altra. L’Europa che farà? A mio modesto avviso, qualunque dovesse essere il giudizio che verrà espresso da Bruxelles, si può star certi che Lega e Movimento 5 Stelle sapranno volgerlo a proprio vantaggio. Se la Commissione presieduta da Junker, infatti, boccerà il Def, si autocelebreranno come l’ unico baluardo continentale contro il neoliberismo e l’odiosa impalcatura tecnocratica, rappresentata dall’Ue. Viceversa, in caso di approvazione, diranno che l’Europa si è dovuta piegare alla loro determinazione e alla loro forza di persuasione. Passando così, nella percezione comune, per gli unici difensori del popolo, dei lavoratori e dei ceti più deboli.
Un risultato pericolosissimo – soprattutto in considerazione delle culture espresse dai due movimenti al potere – di cui bisogna ringraziare, in primo luogo, la sinistra istituzionale. Dal Pd a Leu, passando anche per i tantissimi errori commessi, negli anni, da Rifondazione e Pdci. Errori che, ci vogliamo augurare, un nuovo soggetto politico come Potere al Popolo saprà evitare, facendo chiarezza al suo interno su statuto e linea politica. Condizione imprescindibile per agire con credibilità sul terreno del conflitto sociale, aspro e duro, che andrà costruito.
Ciò detto, tornando invece all’imminente giudizio che l’Ue si accinge a pronunciare sul Def, in ogni caso, comunque, credo si assisterà al più classico e pirandelliano giuoco delle parti. Con l’Europa che – come con Orbàn – bacchetterà, farà innalzare un po’ lo spread, minaccerà ritorsioni (utilizzando anche l’ambiguo e ricattatorio strumento delle agenzie di rating) ma che, alla fine, troverà accordi sotto banco col governo italiano e i suoi sponsor: su mercati, import-export, transazioni finanziarie, speculazioni borsistiche e indici azionari.
Insomma, il problema non è, come sempre, quel che si fa. Ma chi lo fa e come. E le destre – tale è il governo gialloverde – sono sempre state al servizio del padronato (quelle estreme) e della finanza (quelle liberiste).
La competizione globale, insomma, si riduce – come sempre nella storia delle società umane, per dirla con Marx – ad una guerra tra bande al servizio di borghesie internazionali e settori di padronato nazionale. Gli uni globalisti, gli altri protezionisti. E, in questa guerra, le classi popolari sono tagliate fuori ed utilizzate esclusivamente come pedine da muovere sulla scacchiera del consenso politico. O come carne da macello, su cui apporre a fuoco il proprio marchio.
In parole povere, quello che qui si vuol sostenere è il principio marxista e rivoluzionario secondo cui o si sovverte radicalmente il sistema di produzione e di accumulazione capitalistico, o si continuano a porre in essere, semplicemente, transitori quanto inutili dispositivi di carattere keynesiano o, peggio, ascrivibili al mero e più deleterio assistenzialismo. Con minime redistribuzioni di ricchezza pubblica che, alla fine, si tradurranno in nuovo debito gravante, nel tempo, sulle spalle della classe lavoratrice e dei ceti popolari.
D’altronde, anche nella manovra grottescamente definita “anti povertà”, dando fiato alle trombe della propaganda, la Flat Tax dovrebbe bilanciare, nell’ottica del più aggressivo neoliberismo, il Reddito di Cittadinanza. Cui vanno ad aggiungersi sgravi fiscali alle imprese (già esistenti e varati dal governo Renzi-Gentiloni), condoni e dispositivi di facilitazione per permettere ai più ricchi e ai redditi da capitale di aggirare/eludere le tasse.
Un colpo al cerchio e un altro alla botte, in poche parole, nella più ferrea logica liberale. Una Flat Tax che, se applicata, suonerà come un sovrapprezzo di insulto e una clamorosa presa per i fondelli della classe lavoratrice, del lavoro salariato, del lavoro dipendente, i cui oneri sono dedotti alla fonte e delle masse più povere. Le quali continueranno a versare il dovuto – se non addirittura di più – mentre ai cittadini dei piani alti e, a maggior ragione, dell’attico, sarà consentito di risparmiare enormi quote di ricchezza accumulata.
E non si venga a parlare di sgravi alle famiglie, perché nell’aliquota al 15% sarebbero contemplati i nuclei familiari che vivono di stenti e sacrifici accanto a quelli il cui reddito si aggira intorno agli 80.000 € annui. Anche un bambino di terza elementare si rende conto della profonda ingiustizia che si vuole perpetrare, spacciando il tutto come una manovra contro la povertà.
Siamo alla solita, ingannevole, truffaldina teoria della mano invisibile, formulata dall’economista liberale, di origine scozzese, Adam Smith. Secondo questa teoria, studiata apposta per rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, la Mano Invisibile sarebbe da identificare nella Provvidenza (in qualche modo immanente), grazie alla quale, nel libero mercato, la ricerca egoistica del proprio interesse gioverebbe all’interesse dell’intera società e mirerebbe a trasformare quelli che costituiscono “vizi privati” in “pubbliche virtù”, portando all’equilibrio economico generale. Un infame tranello, insomma.
Per quanto fin qui scritto, quindi, non paragoniamo il Def varato dall’attuale governo ad un Titanic, che sta per andare a cozzare, con tutti i suoi passeggeri, contro l’iceberg dei Mercati e dell’Europa; ma neanche ci strappiamo le vesti, gridando al nuovo miracolo economico, in salsa gialloverde. Invitiamo, semplicemente ed esercitando un po’ di buon senso, a guardare le cose nella loro dimensione reale. Valutandone, specie come soggettività antagoniste, i pro e i contro.
Perché l’unica cosa che ci può e ci deve interessare è proseguire sulla strada della creazione di un conflitto sociale e di classe, che porti il livello dello scontro fin dentro le istituzioni europee e i palazzi della Troika, Bce-Ue-Fmi. Cancellare il Fiscal Compact, uscire dall’euro, rompere la gabbia dell’unione europea e riappropriarsi della sovranità popolare, in una prospettiva internazionalista e che tenga insieme i paesi dell’area mediterranea e del Sud del mondo, è l’unica opzione praticabile per delle forze che si richiamino al pensiero marxista e che si pongano l’obiettivo sacrosanto di rovesciare il criminale e criminogeno sistema capitalista e i suoi comitati d’affari governativi.
Un obiettivo che bisogna perseguire per restituire dignità, giustizia sociale e libertà alle classi lavoratrici, ai ceti popolari e alle fasce sociali più deboli e povere. La Storia non è ancora finita!
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