Vari media russi commentano in questi giorni una nota del britannico The Sun, secondo cui la Russia, al pari degli Stati Uniti, si starebbe attrezzando per occupare un proprio spazio in Libia, accanto a quelli già noti di Italia, Francia, Gran Bretagna ecc. Il fatto che sia data ormai come certa la presenza russa (resta a vedere a quale livello) alla conferenza di Palermo del prossimo novembre sulla Libia, sembra confermare l’ipotesi britannica, per quanto, stando al Sun, la “soffiata” venga dai servizi segreti di sua maestà, quelli del “caso” Skripal, per intendersi. Nello specifico, il più noto quotidiano scandalistico in lingua inglese teorizza che obiettivo di Mosca sarebbe il controllo sulle rotte illegali dei migranti, quale ulteriore “strumento di pressione” sull’Europa.
A questo scopo, scrive il tabloid, “alcune unità” dell’intelligence militare (il cosiddetto GRU: quegli “odiosi colleghi degli avvelenatori di Sergej Skripal”, nota ironicamente Viktor Sokirko su Svobodnaja Pressa) e “una dozzina” di uomini dei reparti speciali sarebbero già stati trasferiti in Libia, per trasformarla nella “propria seconda Siria”, sostenendo l’esercito nazionale libico di Khalifa Haftar. Secondo The Sun, nelle aree di Tobruk e di Bengasi, sarebbero addirittura già operative due basi del “nuovo fronte russo anti-occidentale” e qua è là per il territorio libico, vagherebbero S-300 e sistemi missilistici antinave “Kalibr”. Tutto ciò, minaccerebbe seriamente gli interessi britannici, in generale e lo stretto di Gibilterra, in particolare.
In effetti, scrive Sokirko, un paio di centinaia di uomini di truppe aviotrasportate sono già su suolo africano, per prendere parte alle manovre russo-egiziane del 13-26 ottobre ed è previsto che a loro si uniscano un certo numero di paracadutisti della 45° Brigata speciale, che fa effettivamente capo al GRU. Ora, continua Sokirko, non è una novità per nessuno che Mosca sostenga Haftar, che questi sia stato più volte a Mosca, che l’intelligence USA abbia avvistato, lungo il confine libico-egiziano, reparti speciali “all’apparenza russi” ecc. E allora?
Secondo lo storico militare Boris Dzherelievskij, la Russia cerca di intrattenere contatti sia con Haftar, sia con Fayez al-Sarraj e, pur se nessuno a Mosca ha intenzione di intromettersi nel conflitto, “sarebbe ingenuo pensare che non sussista un interesse per questa regione”, soprattutto in campo petrolifero, le cui infrastrutture “necessitano anche di una sicurezza che solo una certa presenza militare può garantire”. All’epoca di Gheddafi, ricorda Sokirko, Mosca ha in effetti collaborato con la Libia, rifornendola abbondantemente di armi e istruttori militari; oggi però “le cose sono un po’ diverse”: è pensabile una presenza russa in Libia, stante la contrarietà internazionale (quantunque Haftar già lo scorso febbraio avesse sollecitato l’aiuto russo) che significherebbe invischiarsi in “una nuova guerra araba? Molto probabilmente sì, è pensabile” conclude, ma senza “grandi contingenti militari e costose incursione via terra. Appunto, solo a livello di “una dozzina” di agenti del GRU, proprio quegli odiosi avvelenatori di Skripal”.
E dunque: il petrolio, dice Dzherelievskij. Il cui prezzo sta continuando a crescere e martedì il Brent ha raggiunto quota 84,31 dollari al barile, che è il massimo dal novembre 2014 e che potrebbe arrivare ai 100 $ a fine anno: ciò anche per la riduzione delle esportazioni iraniane (meno di 1 milione di barili al giorno a inizio ottobre, contro 1,6 mln a settembre e addirittura 2,5 ad aprile), iniziata dopo le sanzioni yankee di maggio, di agosto e di quelle attese per inizio novembre e che riguardano direttamente anche i maggiori importatori del greggio iraniano: India, Cina, Giappone, Corea del Sud paesi UE, Sud Africa, ecc. Alla riduzione iraniana, osserva l’organo della “confindustria” russa, Kommersant, si aggiungono problemi in Venezuela, Libia e Nigeria, col risultato di una caduta delle estrazioni del 10% da inizio anno.
Ma, a parere del Ministro per l’energia russo, Aleksandr Novak, per la Russia non è poi così vantaggioso un prezzo del petrolio troppo alto; facendosi portavoce delle imprese petrolifere russe che lavorano sul mercato mondiale, Novak ha detto che queste preferiscono non tanto un prezzo altissimo, quanto stabile. Secondo il Ministro, un prezzo eccessivo, da un lato obbliga i consumatori a fare economie e passare ad altre fonti energetiche e, dall’altro, frena la crescita economica (per inciso: Kommersant la pensa diversamente). Commentando alcune dichiarazioni del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman Al Sa’ud, a proposito del fatto che dal 2030 la domanda di greggio cadrà bruscamente e paesi come Russia e Cina non giocheranno più un ruolo significativo nel settore petrolifero, Novak si è detto sicuro che la Russia “rimarrà ancora a lungo leader mondiale in campo energetico” e ha auspicato misure di stimolo all’estrazione. “La nostra strategia prevede il mantenimento dell’attuale livello di estrazione e anche un leggero aumento” ha dichiarato.
Su scala planetaria, l’aumento di estrazione da parte di Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi, anche se si sta avvicinando al tetto massimo previsto dall’OPEC, non è al momento in grado, secondo Kommersant, di compensare il “fattore iraniano”; tanto più che i sauditi non avrebbero intenzione di accrescere ulteriormente l’estrazione. Ciò, fa infuriare Trump che, se da un lato ha promesso di “distruggere l’Iran”, in vista delle elezioni di novembre ha anche giurato di non aumentare il prezzo della benzina, ma, per non mancare di parola, dovrebbe ricorrere alle scorte del Special Petroleum Reserve e questo gli attirerebbe i fulmini dei Democratici.
E dunque, in questo quadro, esiste un qualche interesse di Mosca a esser presente in Libia? Tripoli, in effetti, già lo scorso dicembre aveva rinnovato l’invito alle compagnie petrolifere russe a collaborare ad attività estrattive comuni, in vista dello sfruttamento del più grande giacimento del paese, “Elefante”. Al che Sergej Lavrov aveva risposto che avendo “esaminato dettagliatamente le prospettive di ripresa del commercio e della cooperazione economica tra i nostri paesi, siamo abbastanza ottimisti. Molte compagnie russe che lavoravano sul mercato libico sono interessate a tornare e partecipare a progetti in settori quali le infrastrutture energetiche, industriali e di trasporto”. E ancora qualche mese prima, la Compagnia nazionale libica (NOC) aveva sottoscritto vari accordi con “Rosneft” (leader mondiale tra le compagnie pubbliche, nell’estrazione di idrocarburi) per investimenti russi nel settore petrolifero libico, creazione di gruppi di lavoro congiunti per progetti di prospezione e estrazione petrolifera, oltre a un accordo per l’acquisto di greggio.
E allora, a cosa è interessata Mosca in Libia? Alle “rotte dei migranti”, di cui teme Londra, o a quelle energetiche? Gli osservatori di iarex.ru si chiedono addirittura come mai Mosca abbia deciso di intervenire come primo passo in Siria, dato che il quadrante libico è molto più importante, per tutta una serie di ragioni: come strumento di influenza volto a far accettare il “North Stream 2” anche a quei paesi europei che vi si oppongono; dalla Libia parte verso l’Italia l’importantissimo il gasdotto “Greenstream”; è geograficamente strategica per il controllo del Mediterraneo orientale e potrebbe effettivamente impensierire anche la base britannica di Gibilterra; il vincitore del conflitto libico disporrà di potenti strumenti di pressione sulle compagnie energetiche (e relativi governi) attive in Libia: americane, francesi, italiane, ecc.; il tutto, senza il fastidio di doversi accordare coi vicini, come accade in Siria con Turchia e Israele.
Non di “fiumi di latte, nettare e biondo miele” scriverebbe oggi Ovidio, ma di profluvi di moneta sonante che accompagnano “l’oro nero”.
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