Nella mattina di giovedì 3 novembre, con la firma del consigliere comunale Giovanni Zannola, il Partito democratico ha «depositato una mozione urgente che chiede alla sindaca Raggi di sospendere il decreto legge Salvini, laddove si presenti controversa la sua applicazione a garanzia dei diritti umani dell’individuo e dei diritti alla sicurezza per i cittadini».
Nella nota rilasciata e firmata da altri numerosi esponenti locali, i dem affermano che «l’effetto (della legge, ndr) è solo quello di aumentare la confusione sui territori e di generare il caos negli enti locali, (…) il numero delle persone il cui status giuridico rimane incerto, nonché il numero di persone che non avranno uno status regolare».
In ultima istanza, «l’obiettivo non dichiarato è quello di aumentare il numero di invisibili». Il che è verissimo, del resto come denunciato da noi e non solo… Alla sindaca viene chiesto di seguire l’esempio del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, al centro del dibattito politico in questi giorni, in compagnia di altri sindaci, per aver espresso fermezza nella non applicazioni di una legge in «palese violazione dei diritti costituzionali».
Parole forti, quelle scritte nella mozione, a cui fa eco oggi dalle pagine dell’Avvenire l’ex ministro Graziano Delrio. Forti, sì, quanto prive di memoria, ma invece intrise di opportunismo politico nel tentativo di dar vigore a un partito pressoché cancellato dal registro politico “che conta” a seguito delle catastrofiche elezioni dello scorso 4 marzo.
La questione, ovviamente, non riguarda il merito del “decreto” Salvini, contro cui questo giornale si espresso in numerose occasioni.
E non riguarda neanche il doveroso sostegno a quella disobbedienza civile, espressa in questi giorni dai sindaci di alcune importanti città del paese, necessaria perché dal consenso ideologico (i moventi di Salvini) alla realtà concreta (gli effetti della legge), ci passano di mezzo centinaia di vite umane che hanno bisogno di essere tutelate, indipendente dalle volontà di potenza dello smargiasso di turno.
Semmai, il problema è che il Partito democratico, nella qualsivoglia forma si esprima, non può intestarsi questa battaglia. E non può perché, checché ne dica, la legge Salvini (in materia sia di immigrazione che di sicurezza) si inserisce nella traccia aperta dal pacchetto Minniti convertito in legge neanche 2 anni fa.
L’attacco al diverso, personificato dal migrante, già allora passava attraverso l’apertura di nuovi Cpr (ex Cie, solo rinominati), il contesto premiale con cui si poteva “guadagnare” il permesso di soggiorno (lavori di pubblica utilità), la sostituzione del normale processo civile con un rito camerale senza udienza, e cioè senza contraddittorio, a cui si andava ad aggiungere l’abolizione del secondo grado di giudizio in Corte d’Appello.
Perciò, ha ragione l’Unione sindacale di base quando ricorda che in questa battaglia il sostegno ai sindaci non deve confondersi con il tentativo dell’ex partito della nazione di rifarsi il trucco dinanzi alla popolazione.
E inoltre, dov’era il Pd quando già lo scorso novembre una delegazione formata da Usb, Potere al Popolo, Noi Restiamo, Comunità rifugiati sudanesi di Scorticabove, Alterego, chiedeva un incontro al Comune tutto, per aprire un confronto sull’allora Decreto che veniva discusso in Parlamento e al Senato?
A quell’incontro non si presentò, lo fece invece il capogruppo del M5S, che poi si intestarono (evidentemente un vizio comune in Campidoglio) la richiesta di apertura di un dialogo al ministro dell’Interno.
Il Pd chiede alla Raggi «un gesto politico. Di coraggio». Di certo c’è che a loro, il “coraggio”, a leggere queste dichiarazioni, non manca per nulla.
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