di Chiara Cruciati – il Manifesto
Il processo-farsa del
secolo è iniziato ieri. Teatro della presa in giro è Riyadh. Sul banco
degli imputati undici sauditi sospettati dell’uccisione del giornalista
Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul lo
scorso 2 ottobre.
Ovviamente su quel banco non c’è il regime. Il regime è
quello che processa gli autori del delitto che più di un attore
internazionale (dalla Cia ai servizi turchi fino al Congresso degli
Stati Uniti) considera ordinato dalla casa regnante.
Per cinque di loro, la procura di Stato intende chiedere la pena di
morte, sfidando Ankara che vuole estradare responsabili perché vede nel
processo appena aperto (e soprattutto nella pena capitale) il miglior
modo per lavare – e far sparire – i panni sporchi in famiglia.
Morti gli esecutori, il mandante è al sicuro. Mohammed bin
Salman prova così a salvarsi in corner da una vicenda che ha messo in
ginocchio la «credibilità» della petromonarchia. Perché va bene
violare sistematicamente i diritti dei lavoratori stranieri e
incarcerare gli attivisti per un tweet; va bene declassare le donne a
cittadine di serie b non degne di diritti al pari dell’uomo; va bene
reggere uno dei regimi più medievali al mondo, un mix di conservatorismo
religioso e patriarcato misogino e razzista; va bene anche distruggere
un paese, lo Yemen, a suon di bombe e finanziare gruppi islamisti
radicali di mezzo mondo. Ma fare a pezzi un giornalista no.
Eppure Khashoggi, il cui corpo ha tanto ottenuto da morto (inchieste
contro MbS per l’«avventura» yemenita in Argentina e Tunisia, la
sospensione della vendita di armi da parte di Germania, Finlandia e
Danimarca, lo storico voto del Senato Usa contro il sostegno
all’operazione in Yemen), non è ancora riuscito nell’impresa più
difficile: fare della petromonarchia uno Stato pariah.
Gli interessi sono tanti, troppi: sono politici e militari (vedi il
ruolo nel conflitto a bassa intensità di Trump e Israele contro l’Iran) e
sono economici.
Nonostante le casse saudite piangano un po’, il paese resta un punto di riferimento energetico e il miglior acquirente di armi
(terzo al mondo dopo Stati Uniti e Cina, con una popolazione di 33
milioni di persone, un decimo di quella Usa e un quarantesimo di quella
cinese) e la sua borsa finanzia compagnie di tutto il globo, nelle
costruzioni, il turismo, l’high-tech, le infrastrutture e pure lo sport.
L’Occidente finanzia la natura stessa del regime e arma il suo boia,
quello che ogni anno decapita decine, centinaia di detenuti e che ora
vuole fare altrettanto con i bracci armati di MbS.
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