Sta cambiando l’egemonia economica nel mondo. Ma da queste parti si continua a ragionare come se il baricentro del pianeta fosse ancora qui, o al massimo intorno Washington.
La giornata di ieri sui mercati finanziari, invece, dà un quadro più fedele, se la si osserva da vicino. Per normali motivi geografici, le prime borse a mettersi in moto sono quelle asiatiche. Le quali festeggiano alla grande la maxi-iniezione di liquidità decisa dalla Banca centrale cinese: 84 miliardi di dollari, così, sull’unghia.
Quando il testimone passa alle piazze europee – qualche ora dopo – l’euforia frena e si raffredda perchè nelle stesse ore la Bce ha reso vincolante la nuova normativa sugli Npl (non perferming loans, prestiti che non verranno restituiti o “incagliati”) in mano alle banche: copertura al 100%, con relativi accantonamenti, e quindi restrizione assoluta nella disponibilità degli istituti di credito a concedere nuovi prestiti a famiglie e imprese. Conseguenza logica: ulteriore freno a una dinamica economica già di nuovo sulle soglie della recessione.
Ma c’è qualcosa di più, su questo tema, che riprenderemo tra un attimo, dopo aver terminato la cronaca della giornata.
Le borse europee rischiano addirittura di trasformare in tristissima una giornata iniziata molto bene, e si guarda al rapporto annuale del presidente della Bce al Parlamento europeo. Mario Draghi si dilunga sui segnali di debolezza che stanno durando “più a lungo di quanto avessimo previsto alla Bce”, al punto da attendersi un “rallentamento” che “non diventerà recessione”.
Entrando nei dettagli, come Draghi ama fare, “parte di questo indebolimento era dovuto a fattori temporanei in alcuni settori, ad esempio nell’auto, ma poi abbiamo detto che ci sono cause più permanenti e queste, fondamentalmente, persistono”. Tra l’altro “il 2017 è stato un anno piuttosto eccezionale e siamo tornati a tassi di crescita più bassi. Ma la domanda da porsi è se si sia trattato di una derapata o se ci stiamo dirigendo verso una recessione. E la risposta è che è un rallentamento e non una recessione, e che sul quanto durerà bisognerà vedere quali siano i fattori alla sua base”.
Ciò nonostante, oggi “sotto molti aspetti abbiamo una Unione monetaria più forte di quanto lo fosse nel 2008”.
Se voleva essere rassicurante, non lo è stato affatto. I mercati stavolta non hanno mostrato alcuna reazione alle sue parole. Come se quello che fa la Bce, ormai, contasse molto meno di qualche anno fa (il “whatever it takes” è rimasto proverbiale). Invece quando si muove la Cina è un segnale per tutti. In questo, pare evidente, c’è uno spostamento di attenzione che corrisponde al cambiamento di “peso” tra le economie, conseguenti anche alla diversità di “modello”.
Da un lato, infatti, c’è una superpotenza economica che sta reagendo alla crisi costruendo e consolidando il mercato interno, con un taglio radicale delle tasse sui salari e le piccole imprese, liberando investimenti per le amministrazioni locali, progettando infrastrutture ultramoderne in grande quantità, iniettando liquidità nel sistema. Dall’altra una eurozona stanca, satura, senza idee e scarsa innovazione, orientata strategicamente dalla Germania, immobile nel difendere un modello mercantilista – bassi salari per favorire le esportazioni – che in tempi di crisi non può funzionare.
In questa differenza di prospettive e aspettative, la Bce agisce come detto: fine delle iniezioni di liquidità e vincoli di copertura sugli Npl. Il meccanismo è così semplice – e negativo – che quasi non ci si può credere. In pratica, se tutte le banche sono obbligate a “coprirsi”, saranno costrette a svendere (“cartolarizzare) questi crediti ad altre società.
Come spiega Giuseppe Masala, “il sistema bancario italiano ha venduto in pochissimi anni al 20% del valore facciale del debito, il che significa che un debito in sofferenza di 100mila euro viene venduto ad una società terza a 20mila euro. Il prezzo appare troppo basso, perché non sono debiti all’americana privi di garanzia. Ma in genere si tratta di debiti coperti da ipoteche immobiliari su capannoni o immobili residenziali. Allora, queste società terze grazie all’escussione dei valori immobiliari posti a ipoteca se in cinque anni riuscissero a recuperare il 40% del valore facciale del debito farebbero un guadagno stellare del 100%, il 20% all’anno. Un’enormità.”
Sarebbe interessante sapere di chi sono queste società che comprano crediti deteriorati, ma sono ben “coperte”, in un altro senso. Un nome italiano si conosce, però: Corrado Passera. Titolare di una lunga serie di “ex” (direttore generale della Cir di De Benedetti, a.d. del gruppo Repubblica-L’Espresso, a.d. dell’Olivetti, del Banco Ambroveneto, Banca Intesa, Poste Italiane – che trasforma in banca – advisor nella privatizzazione di Alitalia, ministro nel governo Monti), recentemente ha fondato Illimity e Spaxs. Di fatto, una banca “specializzata nell’acquisto di crediti deteriorati”.
Una carriera che spiega come funziona il capitale finanziario europeo, in cui si creano i problemi, si fa un “salto in politica” per ridisegnare le nuove regole, e si ritorna nella finanza per beneficiare delle regole modificate.
Ma torniamo alle banche che svendono Npl. Visto che il loro capitale – svendendo i crediti – risulta diminuito, dovrebbero in teoria ricapitalizzare. Ma, spiega ancora Masala, “chi ricapitalizza? Nessuno sarebbe così pazzo da ricapitalizzare le banche italiane. E allora? Bail-in o ricapitalizzazione precauzionale statale. Ovvero paghiamo noi, o come contribuenti dello Stato o come risparmiatori che magari hanno acquistato obbligazioni subordinate.
In sostanza, questa svendita degli NPL a prezzi stracciati è il saccheggio del risparmio degli italiani. Oltre che delle casse dello Stato. A vantaggio di queste persone occulte che si nascondono dietro queste società estere. Che noi non sappiamo chi sono. Chiaro cosa ha fatto la BCE di Draghi?”
Se questo è l’andazzo europeo – e lo è – non si fa fatica a capire perché persino “i mercati” ormai guardino ad Oriente per vedere un po’ di futuro.
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