L’uccisione di Ugo Russo – quindicenne napoletano freddato da un carabiniere fuori servizio, durante un tentativo di rapina – ci ha svelato una parte del mondo in cui ci tocca vivere, tentando di cambiarlo.
Di questo lato oscuro del mondo non colpisce solo o tanto la dinamica dei fatti, troppo simile ad altri, sui quali la cronaca è stata spesso distratta o allineata alle veline ufficiali.
Colpiscono molto, invece, le reazioni di fronte ad ogni tentativo razionale di inserire un fatto dentro un contesto. E colpisce che questa decontestualizzazione, o l’assunzione acritica dell’implacabilità dell’ordine costituito, inclusa la pena di morte immediata in mezzo alla strada come “manifestazione legittima della legalità”, coinvolga e convinca anche gente che si dice “di sinistra”. E che magari lo è anche stata, in passato e ritiene di esserlo tuttora.
Diventa oggi evidente che nei decenni, e negli anni più recenti in modo più marcato, è avvenuta una mutazione genetica – se volete: antropologica – di una parte della società. La quale ha assunto via via la “ragion di Stato” come unica possibilità di contrapposizione alla grande e piccola criminalità, rinunciando con questo ad ogni distanza tra visione/soggetto del cambiamento e gli apparati repressivi costruiti proprio per impedirlo.
Indubbiamente, la prima identificazione tra “sinistra” e Stato risale alle scelte fatte dal Pci ai tempi dell’“emergenza terrorismo”, ossia alla cultura securitaria disseminata dal Pci in ampi strati della società.
Ricordate la visione fuorviante e consolatoria per cui ci “doveva essere” un “doppio Stato”? Uno buono e costituzionale, un secondo invece “infedele” oscuro, colluso con le stragi, i fascisti, la mafia e quant’altro.
In realtà, ci dicono la Storia e persino gli atti giudiziari, questa separazione non è mai esistita; esistono momenti e fasi in cui una visione e un interesse prevale sull’altro. In alcuni momenti prevale il deep state e il lavoro sporco (basti pensare alle stragi di Stato o alla trattativa Stato-mafia), in altri il rispetto formale dell’impianto costituzionale e la destrutturazione materiale dei suoi effetti progressivi.
Ma in entrambi i casi a prevalere è la ragion di Stato nel suo complesso. Ad essa si piegano funzionari corretti e dirigenti con le mani sporche, funzionari perbene e specialisti del lavoro infame.
Per decenni in nome dell’antimafia (ruvidamente contestata da teste pensanti come Leonardo Sciascia) o dell’antiterrorismo, si è fatta strada una cultura che ha prodotto totem sbirreschi come Saviano, magistrati in carriera, eroi civili dipinti come “isolati” ma onnipresenti nelle televisioni e nelle case editrici.
Su questo combinato disposto si sono formate generazioni e un “senso comune” pronto a indignarsi a comando, a invocare la legalità anche come vendetta, allontanando da sé ogni domanda o visione più articolata.
Come diceva giustamente Peppino Impastato “la mafia è una montagna di merda” e la criminalità insopportabile. Troppo spesso è la piccola e piccolissima criminalità ad essere più vicina, più visibile, più prossima, più fastidiosa. Subire una rapina per strada, un furto in casa o in negozio, o uno scippo, è uno shock più diffuso e capillare di chi deve invece fare i conti con la malavita organizzata, spesso invisibile ai più e tormento per alcuni.
Tra l’altro con il massiccio ritorno dell’eroina nelle città italiane, è prevedibile che assisteremo ad una impennata della microcriminalità nelle strade. E allora? Ci consoleremo dietro lo scudo e l’auspicio di qualche carabiniere dalla pistola sempre a portata di mano o pretenderemo che contro lo spaccio di droga si facciano scelte coraggiose che depotenzino il mercato in mano alla criminalità prosciugandone i canali di vendita e finanziamento illegali?
Ed infine il quindicenne Ugo Russo che ha tentato a Napoli una rapina con una pistola giocattolo e ci ha lasciato la vita, a che mondo appartiene? Al nostro o ad un altro?
In Italia i ragazzi come Ugo Russo esistono e sono tanti. Secondo l’Istat, sono 2.116.000. Vengono definiti “Neet”. Il famigerato acronimo compare per la prima volta in uno studio della Social Exclusion Unit, un dipartimento del governo britannico preoccupato che questi giovani “Not in Education, Employment or Training” fossero in una condizione di esclusione tale da favorire l’avvio di carriere criminali.
Il nesso è fin troppo evidente. Se hai lasciato negli anni due milioni di ragazzi a se stessi o a nuclei familiari in severe difficoltà a gestire il quotidiano e il futuro, questa contraddizione prima o poi non potrà che palesarsi.
Noi preferiamo e agiamo affinché, magari, si mettano in azione sul sentiero dell’antagonismo politico e organizzato (ma in questo caso lo Stato ti viene contro con il bulldozer). Nei quartieri di Napoli, nelle periferie metropolitane di Roma, Torino, Milano o nel Meridione, la “via d’uscita” da una condizione di esclusione e subalternità trova però anche altre strade. Apparentemente più veloci, concretamente più brevi e talvolta letali.
Ugo Russo sicuramente non era affiliato ad una organizzazione criminale o comunque non lo era ancora. Era figlio di una condizione sociale senza prospettive di riscatto visibili, possibili, praticabili. “Ci ha provato e gli è andata male”, come si dice nelle nostre periferie. Fare una rapina per strada, con una pistola giocattolo, strappare ad un altra persona un bene rivendibile per qualche centinaio di euro non ti indica un futuro, ti appiattisce solo sul presente, magari su una o due serate con un po’ di soldi in tasca che si volatilizzano rapidamente.
Ma, viene da chiedersi, in un sistema che teorizza e sancisce che solo “Uno su mille ce la fa”, perché è il migliore, il più competitivo, il più spregiudicato, dov’è una visione ampia del futuro che non sia limitata al presente?
E allora, veramente, la differenza tra un improvvisato rapinatore di strada e quello che aspira a diventare un avvoltoio della finanza o un tagliatore di teste aziendale dove sta? Che il primo è destinato alla pubblica deplorazione – e talvolta a morire o finire in galera – il secondo è destinatario di rispetto. Il primo danneggia alcune persone, spesso non messe economicamente meglio di lui, il secondo ne danneggia scientificamente migliaia. Ma il primo è destinato a diventare bersaglio e feticcio di voglie di rivalsa e vendetta, il secondo rimane invisibile. Il primo fa i conti con la mano dura dello Stato, il secondo ne incontra la complicità.
È per questo che di fronte a un drammatico fatto di cronaca come l’uccisione di Ugo Russo sono in parecchi a non volersi porre o evitare di fare domande.
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